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Carrie di Stephen King

Ted Gioia BIGSUR, Cinema, Recensioni

Ogni settimana Ted Gioia legge e recensisce sul suo blog Conceptual Fiction un classico della letteratura horror. Pubblichiamo qui il suo saggio sul romanzo d’esordio di Stephen King, Carrie. Ringraziamo l’autore.

di Ted Gioia
traduzione di Chiara Gualandrini

Stephen King esordì sulla scena letteraria il 5 aprile 1974 con poco clamore. L’editore Doubleday aveva stampato 30.000 copie di Carrie, ma la prima edizione del romanzo ne vendette solo 13.000. L’autore aveva ricevuto un anticipo di 2500 dollari per i suoi sforzi: una cifra ragionevole trattandosi di un esordiente, ma non abbastanza consistente da permettere a King di lasciare il lavoro di professore alle scuole superiori.

Oggi, se voleste comprare una di quelle prime edizioni, preparatevi a sborsare più di mille dollari. Se poi la copia in questione dovesse essere autografata da Stephen King in persona, il prezzo potrebbe avvicinarsi a cinque testoni. Stephen King, che all’epoca era uno scrittore senza esperienza, è diventato il più importante scrittore horror dell’ultimo quarto del secolo scorso, ha venduto più di 350 milioni di libri e ha accumulato un guadagno netto di 400 milioni di dollari. All’epoca di Carrie viveva in una roulotte e scriveva con una macchina da scrivere che si era fatto prestare. Ora possiede tre case, fra cui la famosa villa vittoriana a Bangor, nel Maine, che ricorda la casa infestata di uno dei suoi romanzi.

In realtà King si era sbarazzato di quel primo tentativo di raccontare una storia horror ambientata al ballo del liceo, ma la moglie recuperò le pagine gettate nel bidone dell’immondizia, ritenendo che la storia avesse del potenziale. King perseverò e nove mesi dopo completò il manoscritto.

Dopo l’uscita del libro, il Library Journal scrisse una recensione sostenendo che il romanzo era «eccessivo», e sentenziando: «con tutta sincerità non si può consigliare». Ma il New York Times, che ha un po’ più di influenza, trovò Carrie «sorprendente» e scrisse di questo impressionante esordio: «vi darà i brividi, è garantito». Signet Books, all’epoca specializzata in tascabili per il mercato di massa, si trovò evidentemente d’accordo con le affermazioni del New York Times e offrì uno stupefacente anticipo di 400.000 dollari per la riedizione. La loro scommessa risultò vincente quando Carrie arrivò a vendere più di un milione di copie in edizione tascabile. Un contributo ancora maggiore alla sorte del romanzo giunse quando il regista Brian De Palma lo lesse e decise di farne un adattamento cinematografico. «Il film Carrie ha fatto conoscere King», nota George Beaham, autore di The Stephen King Companion. «È riuscito a raggiungere persone che normalmente non entrano in libreria». E a giudicare dallo scaffale dedicato a King nei negozi, vi hanno fatto ritorno molte volte.

Ma perché Carrie ha avuto tanto successo? Probabilmente ci si aspetterebbe da me che mi focalizzassi sulla trama: dopotutto non è il motore principale di tutti i romanzi di genere? Ma King non è il tipico scrittore di genere. Nelle sue opere gli aspetti strutturali – spesso gestiti in modo così abile che il lettore poco attento difficilmente li nota – sono importanti quanto l’intreccio.

Nel caso di Carrie, King difficilmente avrebbe potuto adottare un modello più impegnativo per il suo racconto. Seguendo le orme di John Dos Passos – pioniere di questa tecnica puntinistica in Manhattan Transfer e nella sua Trilogia USA – King decide di raccontare la storia per frammenti: da articoli di giornale e scritte sui muri, alle trascrizioni delle testimonianze delle udienze del congresso e passaggi tratti da libri immaginari. King inserisce qua e là una narrazione tradizionale in terza persona a opera di un narratore onnisciente che può leggere nel pensiero dei vari personaggi, ma solo uno per volta. Perciò la prospettiva del lettore sulla trama passa da un personaggio all’altro: in qualche frangente assistiamo alla scena in base a come la percepisce Carrie, ma poi assumiamo la prospettiva della madre della protagonista, magari, o di un suo insegnante, o di un compagno di classe, o di qualche altro membro della comunità cittadina.

Come se tutto questo non fosse abbastanza difficile da mettere in pratica, King stravolge la cronologia della narrazione. La maggior parte del romanzo è dedicata al racconto degli eventi che hanno portato alla macabra notte del ballo scolastico, che funge da colonna portante in Carrie, ma in tutto il libro King inserisce passaggi che descrivono episodi chiave secondo la prospettiva di coloro che analizzano l’orrore dopo i fatti. Il lettore viene continuamente tormentato da queste macabre premonizioni che riguardano la raccapricciante conclusione della storia di Carrie White, ma vengono omessi elementi a sufficienza da spingerci a tentare di indovinare cosa accadrà e a rabbrividire nell’attesa. Il virtuosismo con cui King maneggia simili complessità strutturali si guadagna il nostro apprezzamento e, se si pensa che all’epoca non era uno scrittore esperto ma un esordiente del romanzo di genere alla sua prima prova, questo controllo consapevole delle tecniche è ancor più impressionante.

Ah, e come non citare i passaggi di flusso di coscienza che fanno periodicamente la loro comparsa in Carrie? Per tutta la durata del libro questi passaggi appaiono come brevi interruzioni alla narrazione, haiku psicologici giustapposti alla trama. In qualche raro caso, l’ispirazione joyciana emerge in primo piano e King supera i limiti del romanzo di genere. Nonostante ciò non perde mai l’attenzione del lettore e i cambiamenti radicali nello stile della prosa, nel punto di vista narrativo e nella struttura cronologica contribuiscono a innalzare Carrie a un livello più elevato rispetto alle volgarità che riempiono gli scaffali «horror» della tipica libreria di quartiere. Pur trattandosi di un libro di genere, in ogni momento King intende dimostrare al lettore quanto possa allontanarsi dalle vecchie formule e dalla scrittura dozzinale dei suoi colleghi orientati al pulp.

Ma ho indugiato abbastanza… è giunto il momento di raccontarvi la trama. È una bella storia, come si diceva ai vecchi tempi. Pensatela come una sorta di La rivincita dei nerds ma con parecchio sangue ed esplosioni. Carrie White è un’emarginata alla Ewen High School nella piccola cittadina di Chamberlain, Maine. Viene ridicolizzata e subisce le prepotenze dei bulli della scuola, ritrovandosi spesso a essere bersaglio di scherzi crudeli. La sua vita a casa non è certo migliore: sua madre è una fondamentalista pazzoide che ha rinunciato alla religione canonica in favore di una fede casalinga costituita da ore di preghiera in una stanza chiusa e devozione a un altare casalingo. Carrie desidera ardentemente la vita di ogni adolescente normale, ma le viene negata a ogni occasione. Alla fine, esasperata, opta per ripagare coloro che l’hanno tormentata con la stessa moneta.

Ma ecco l’inghippo: Carrie non è una teenager come tutte le altre. Ha poteri telecinetici latenti. Erano già comparsi in un breve momento di crisi psicologica durante i primi anni d’infanzia – Carrie era in grado di spostare i mobili di casa col pensiero e far cadere pietre dal cielo. Ma si era trattato di un avvenimento isolato, e persino Carrie ricorda solo vagamente le circostanze che avevano scatenato il manifestarsi di questi strani poteri. Con l’inizio della pubertà, tuttavia, i poteri psichici di Carrie emergono in tutto il loro splendido orrore.

Meglio non contraddirla, la ragazza. È in grado di spostare oggetti, o anche romperli a metà, con un piccolo guizzo della forza del pensiero. I lettori iniziano a intuire il disastro che incombe sulla comunità di Chamberlain – dopotutto è lo stesso King a riferirvisi spesso con i suoi drammatici salti nella linea temporale. Vediamo Carrie attendere con ansia la sera del ballo scolastico: è stata invitata da uno dei ragazzi più popolari della scuola, che era stato spinto a farle da accompagnatore più da un gesto di pietà che da spirito amoroso. Tuttavia un compagno di classe meno compassionevole pianifica uno scherzo crudele ed elaborato per umiliare Carrie di fronte a tutti i partecipanti al ballo. Come se tutto questo non fosse sufficiente a far precipitare la situazione in un dramma adolescenziale, la madre della ragazza decide che solo la meretrice di Babilonia potrebbe andare al ballo della scuola, e mette in atto un suo piano per aggiustare le cose.

Sì, i lettori sono consapevoli che questa storia si concluderà male, ma non possono ancora intuire il modo in cui si svolgeranno gli eventi… o la portata della distruzione. In un romanzo che anticipa costantemente gli eventi futuri, King continua a serbare qualche segreto per sé fino all’istante finale. Il ritmo accelera drammaticamente nelle ultime cinquanta pagine e i fuochi d’artificio – sia quelli psicologici sia quelli reali fiammeggianti nel cielo – non vi deluderanno. Non mi stupisce che il regista Brian De Palma ne abbia immediatamente riconosciuto il potenziale e abbia deciso di adattare il libro per il grande schermo.

Ma bisogna riconoscere a King una certa audacia nello sviluppo del personaggio. Carrie è spaventosa, non c’è alcun dubbio, ma attinge alla nostra compassione, e forse tormenta la nostra coscienza. Se è un mostro – e chi può metterlo in discussione alla fine di questo libro? – è un mostro che abbiamo creato noi. Il fatto che capiamo Carrie così bene amplifica sia l’orrore nella storia di King, sia il suo valore di romanzo che supera gli stretti confini escapisti della letteratura di genere.

Per questa ragione mi ha stupito scoprire che Carrie si colloca fra i libri che più di frequente vengono vietati nelle scuole statunitensi. C’è stato un acceso dibattito in almeno sei stati diversi. Una scuola in Vermont è arrivata a sostenere che il romanzo potesse danneggiare gli studenti, specialmente le ragazzine.

Io la penso diversamente. Questo libro potrebbe avere un impatto positivo sui più giovani, spingendoli forse a pensarci due volte prima di fare i bulli e ridicolizzare i compagni. In caso non lo aveste notato, il numero di coloro che vengono emarginati a scuola e cercano vendetta è drammaticamente aumentato, e in maniera letale, dai tempi in cui King pubblicò il romanzo. Ci sono moltissime Carrie nelle nostre scuole, e siamo fortunati che non posseggano i suoi poteri. Questo per dire che non è necessario possedere poteri telecinetici per scatenare il panico in classe. Molti ragazzi che a scuola vengono emarginati hanno bisogno di un nostro aiuto o semplicemente della nostra compassione. Questo romanzo horror potrebbe essere istruttivo per chi ignora messaggi più didattici o psicologici.

©Ted Gioia, 2016. Tutti i diritti riservati.

Ted Gioia scrive di musica, letteratura e cultura pop. Il suo ultimo libro, Love Songs: The Hidden Story, è pubblicato dalla Oxford University Press. In Italia sono usciti L’arte imperfetta: il jazz e la cultura contemporanea (Excelsior 1881, 2007), Storia del jazz (EDT, 2013) e Gli standard del jazz: una guida al repertorio (EDT, 2015).

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