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Dolore ed erotismo: l’eredità precolombiana in Octavio Paz e Frida Kahlo

redazione Octavio Paz, SUR Lascia un commento

Concludiamo oggi l’approfondimento su Octavio Paz e Frida Kahlo, tratto da un saggio di Luis Roberto Vera. Qui la prima parte, qui la seconda.

«Octavio Paz e Frida Kahlo: l’eredità precolombiana» / 3
di Luis Roberto Vera
traduzione di Violetta Colonnelli

3. Dolore ed erotismo: lo specchio

Specchio di se stessa, la pittura di Frida Kahlo è anche la pittura delle apparizioni, delle scomparse e delle riapparizioni di alcuni temi, presenze, ossessioni della realtà e delle sue rappresentazioni. Come in una spirale, si ripetono gli stessi temi, si riflettono e si rispondono. Esistono due correnti principali – dolore ed erotismo – che si uniscono, si separano e si uniscono di nuovo. Le immagini consentono letture molteplici: sono un grappolo di significati, in Frida Kahlo ogni dipinto contiene diversi dipinti. Tra i procedimenti di cui si serve ce n’è uno antico quanto l’arte stessa, che consiste nel mettere di fronte alla propria immagine il suo doppio, producendo così una terza immagine.

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Gli ultimi anni del decennio del 1930 si sono rivelati particolarmente ricchi di esempi di questo sotto-tema della specularità che ora emerge dalle opere di Frida Kahlo: Lo que el agua me dio (1938), Dos desnudos en el bosque (1939) e Las dos Fridas (1939).  Lo que el agua me dio è stato considerato il dipinto più vicino al movimento surrealista. Il suo corpo nudo galleggia per metà nell’immensa vasca, come se fosse un’immensa dea madre. Con i confini marcati e perfettamente delimitati nello spazio bidimensionale del quadro, questa sorta di mappa sembra ripetere la concezione mesoamericana di una geografia autoctona i cui elementi non sono nient’altro che il corpo stesso della dea madre della terra. Dall’eterogeneo catalogo di immagini spiccano due nudi femminili che, ripresi l’anno successivo in Las dos Fridas, alludono alla diversità etnica delle sue origini, una di origine caucasica o mediterranea e l’altra indigena. […] Il tema del meticciato in Las dos Fridas – due immagini di se stessa, opposte e complementari – assume un carattere di sfida attraverso la specularità della rappresentazione. L’allusione, parziale a un’origine indigena, soprattutto per il fatto di essere parziale, costituisce un atteggiamento non meno ribelle e contestatore che può avere l’omoerotismo in una società così conservatrice e razzista come quella messicana tra le due guerre. Carattere ancora più evidente dato il gran formato della tela. Las dos Fridas è da considerarsi da allora una delle opere più rappresentative della pittrice.

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Abbiamo già menzionato che Octavio Paz e Frida Kahlo coincidono nel trattamento del tema del paesaggio caratteristico della parte meridionale di Città del Messico, dove il basalto e la lava vulcanica appaiono coperti da una ricca varietà di cactus e di altri fiori desertici. Questo paesaggio riappare in El abrazo de amor entre el universo, la tierra (México), yo, Diego y el señor Xólotl. E, come nei primi versi di «Petrificada petrificante», stabilisce il correlato visuale di questa cosmogonia: «Terramuerta / terrisombra nopaltorio temezquible / lodosa cenipolva pedrósea».

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Sia in El abrazo de amor entre el universo, la tierra (México), yo, Diego y el señor Xólotl sia in «Petrificada petrificante», il mito di Xólotl funziona come una sorta di perno nell’ingranaggio di tale cosmogonia. Infatti, la natura «lodosa cenipolva pedrósea», vale a dire, piena di fango, cenere e polvere, allude, con le sue risonanze bibliche, tanto alla creazione dell’uomo quanto alla sua morte.

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Nel caso della composizione de El abrazo de amor entre el universo, la tierra (México), yo, Diego y el señor Xólotl saltano all’occhio la convergenza delle forme piramidali e dei cerchi concentrici come un modo di articolare la visione duale, opposta e complementare alla cosmogonia mesoamericana che riunisce il sole e la luna, il giorno e la notte, l’acqua e la terra, il maschile al femminile, come i movimenti di arsi e tesi di un ritmo vitale. Sistole e diastole, che nella visione della civiltà cinese sono rappresentate come lo yin e lo yang espresso dentro un cerchio, ma come una sequenza successiva, mentre nella civilizzazione mesoamericana questa presenza degli opposti è sempre concomitante, come quando vediamo la luna durante il giorno; o coesistere con il sole durante un’eclissi. Perché questo quadro di Frida ha qualcosa dell’atmosfera irreale che percepiamo durante un eclissi. Ciò che era visibile si occulta e, correlativamente, l’occulto diventa visibile. Forse per questo Frida qui preferisce utilizzare la figura femminile seduta e non reclinata con cui rappresenta se stessa in Raíces. Richiama fortemente l’attenzione il fatto che tutte le figure femminili descritte in El abrazo de amor entre el universo, la tierra (México), yo, Diego y el señor Xólotl adottino la posizione seduta. Frida, gran conoscitrice della pittura, ha probabilmente considerato uno dei modelli più memorabili nel genere di rappresentazioni della Vergine, quello della Madonna sul trono, ovvero la Maestà di Giotto.

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L’anno successivo alla morte di Frida Kahlo, Diego Rivera scrisse l’introduzione al catalogo della prima esposizione personale di Arturo Estrada, uno degli alunni di Frida a La Esmeralda, che la ritrae morta: «E allora la nostra amica – lo scheletro – si maschera dalla più bella tra le dee donne, ci prende il braccio, e con la sua carezza ineguagliabile aiuta il nostro dolore a consumarci lentamente e affinché Coatlicue, onnipotente, presente indivisibile, ricopra tutto e tutto ciò che crea divori, sotto la gloria della luce, del sorriso e della bellezza, circondata da fiori, come nella vita-morte di Frida Kahlo».

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