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Feinmann riscrive la storia argentina

Raul Schenardi Autori, José Pablo Feinmann, Recensioni, SUR

illustrazione di Zenitram

L’esercito di cenere, di José Pablo Feinmann è in libreria, nella traduzione di Francesca Lazzarato: pubblichiamo oggi una recensione di Raul Schenardi, uscita sull’ultimo numero di Alias, che ringraziamo. 

di Raul Schenardi

Il tenente Quesada, uomo d’armi senza guerre, si annoia e uccide in un duello aristocratico, facendosi molti nemici. Costretto a lasciare Buenos Aires e accompagnato dal cercatore di tracce Baigorria, raggiunge uno sperduto forte sul limitare del deserto: deve consegnare un messaggio al colonnello che lo comanda e mettersi ai suoi ordini. Il colonnello Andrade è un eroe delle guerre d’Indipendenza, ma è stato confinato lontano dal teatro degli eventi: da un pezzo sono finiti i malones, le improvvise e devastanti incursioni degli indios querandíes. Come Quesada, vorrebbe tornare al fronte, versare del sangue. «La guerra forse è solo una femmina assillante, a volte letale, ma sempre appetibile». Nel forte il tempo scorre lento, fra una bevuta e una partita a scacchi con il dottor Forrest, un inglese «scettico, beffardo, che beve troppo e fugge da un passato indegno, o da sé stesso». La sete d’azione, però, sarà presto soddisfatta. Andrade riceve ordini dalla capitale: deve dare la caccia a una banda di «selvaggi e barbari nemici della civiltà» che scorrazza bruciando fattorie isolate e rubando bestiame. Il caldo è asfissiante e si rischia di perdere la vista, se si fissa a lungo l’orizzonte. La truppa raggiunge una fattoria dove è stato perpetrato un massacro: unica sopravvissuta una bambina ammutolita per il terrore. Insieme all’indigena Tumba – così chiamata perché anche lei è muta come una tomba –, è l’altro personaggio femminile del romanzo, e il contrasto fra le due non potrebbe essere più marcato: una femmina tutta sensualità e una donna angelicata. Da quel momento la vendetta diventa una vera ossessione per il colonnello, che costringe i suoi uomini ad allucinanti marce forzate e sgozza con le sue stesse mani quelli che cadono da cavallo spossati, in un crescendo inarrestabile che lo spinge a giustiziare Baigorria. Si è infatti convinto della sua connivenza con il nemico dopo che la colonna si ritrova al punto di partenza, il forte, che nel frattempo è stato attaccato e distrutto. L’esercito di cenere di José Pablo Feinmann (SUR, ottima traduzione di Francesca Lazzarato, pp. 192, euro 15) è stato paragonato a Il deserto dei tartari, ma a ben vedere, al di là di alcune analogie – la destinazione di un ufficiale ai confini del deserto, la presenza incombente ma quasi metafisica di un nemico invisibile –, il tema sviluppato dai due romanzi è radicalmente diverso: l’infamia della guerra e la feroce critica del militarismo rispetto all’attesa e alla fuga dalla dimensione temporale. Soprattutto manca in Buzzati, che ambienta la sua trama in un luogo volutamente imprecisato, l’ubicazione storica che è invece centrale in Feinmann. Tuttavia, per cogliere l’importanza del riferimento storico – «Correva il mese di novembre del 1828» – bisogna leggere L’esercito di cenere con gli occhi di un argentino. Scopriamo allora che i fatti narrati nel romanzo accadono pochi mesi prima della fucilazione di Manuel Dorrego Salas, eroe delle guerre d’Indipendenza dalla Spagna, dietro ordine del generale Lavalle; mesi in cui la situazione politica era quanto mai turbolenta e confusa, teatro ideale per inconcepibili esplosioni di violenza. Feinmann, che ha affrontato il tema della violenza anche nella sua opera saggistica, in un certo senso «riscrive» la storia argentina, confutando la dicotomia civiltà/barbarie così come postulata nel Facundo di Sarmiento – libro di fondazione delle lettere patrie, scritto in esilio quando la nazione ancora non esisteva. Per Feinmann, infatti, anche i sostenitori della civiltà, del progresso e della razionalità diventano inesorabilmente dei barbari quando esercitano la violenza. Si guardi la data di pubblicazione del romanzo: 1986, tre anni dopo la fine della dittatura della giunta militare. Feinmann scrive a ridosso di uno dei periodi più nefasti della storia nazionale e, pur situando le vicende del suo romanzo nell’Ottocento, parla agli argentini della follia da cui sono appena stati travolti. Il colonnello Andrade è il sosia di quei comandantes che, in nome dell’ordine, hanno scatenato una mostruosa repressione e, sfoggiando la stessa retorica nazionalistica, si sono lanciati nell’assurda impresa della riconquista delle Malvine. Feinmann, classe 1943, ha esordito nella narrativa nel 1979 con Últimos días de la víctima, un noir portato sullo schermo nel 1988 da Héctor Olivera con il titolo Tango per un killer e tradotto in italiano, così come altri suoi romanzi, fra cui Il cadavere impossibile, Amaro, non troppo, Cinebrivido e L’ombra di Heidegger. Fino al 1985 ha militato nelle file del movimento peronista a cui ha dedicato diversi saggi.

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