Famoso a casa sua

Raul Schenardi Andrés Caicedo, Autori, SUR

Riprendiamo un intervento dal blog dello scrittore cileno Alberto Fuguet, ringraziandolo, che ci sembra molto interessante perché getta un po’ di luce, con i toni veementi della polemica, sull’anomalia del funzionamento del mercato editoriale in America latina, prendendo spunto dalla ristretta circolazione di ¡Que viva la música!, romanzo del 1976 del colombiano Andrés Caicedo, che le Edizioni Sur pubblicheranno l’anno prossimo.
Di Alberto Fuguet, uno dei due curatori della famosa antologia McOndo, del 1996, che segnò la rottura ufficiale delle nuove generazioni di scrittori latinoamericani (e spagnoli) con il cosiddetto «realismo magico», in Italia è uscito finora soltanto
I film della mia vita (Marcos y Marcos, 2004).

di Alberto Fuguet
(Traduzione di Stella Fumagalli)

In che anno siamo? In che secolo? Il ventunesimo, no? Il futuro finalmente è arrivato. In teoria. La geografia, dicono, è cambiata. Thomas Friedman insiste nel dire che il mondo adesso è piatto. Lo è? Ho i miei dubbi. Allora, perché il mondo letterario (soprattutto quello ispanico), sembra così tanto diciannovesimo secolo? La maniera in cui si pubblicano, commercializzano e promuovono i libri sta arrivando, o è già arrivata, al suo punto finale. Ha toccato, letteralmente, il fondo. Non sta solo facendo acqua da tutte le parti, sta addirittura per essere inondata.
In teoria siamo in America Latina e parliamo la stessa lingua. Fa niente se gli accenti sono diversi. Allora, perché uno entra in una libreria di una qualsiasi città di questo disastrato continente e ha l’impressione di trovarsi in un altro mondo? Oppure l’unico mondo che esiste davvero è quello fuori dei nostri confini e che viene tradotto nella nostra lingua, tutti quei Nobel, tutti quei libretti gialli e un po’ di facce incartapecorite di qualche latino americano che “ce l’ha fatta” in Spagna? È comprensibile che il libro di un colombiano non si trovi in giapponese o in polacco, però la cosa inspiegabile, ciò che amareggia e alla fine irrita, è che un qualsiasi libro scritto in spagnolo non si trovi in una libreria (o addirittura per strada) in un Paese in cui si parla spagnolo.
Insisto: in che secolo siamo?
È necessario viaggiare per trovare libri e conoscere autori la cui esistenza mi era sconosciuta? Dov’è il grande supplemento letterario digitale che non abbia sede in una città importante? È giusto che il libro di una grande casa editrice sia disponibile solo nel suo Paese d’origine?
Ho appena letto una lista che annuncia i 39 nuovi scrittori del futuro con meno di 39 anni. Autori latinoamericani. Ne conosco qualcuno. Altri, mai sentiti. Quelli che conosco, non a caso, vengono pubblicati da grandi case editrici. Però neanche troppo. Molti di loro, come Eduardo Halfon, per esempio, del Guatemala, nonostante sia edito da Anagrama, non riesce a raggiungere neanche i Paesi vicini.
Perché? Basta così. Servirà la lista? Speriamo. A uno rimane la curiosità e la voglia di leggere quelli che non conosce per vedere se meritano o di figurare nell’elenco. Però, dove li trovo? Devo andare a El Salvador? Non tocco neanche l’argomento Brasile, un altro paese che figura nella lista. È più facile passare dal turco o dal finlandese al castigliano che dal portoghese allo spagnolo. Santiago Nazarian, di San Paolo, può ritenersi contento di essere entrato in una lista ma possiamo leggerlo? Questo elenco, arbitrario e controverso come tutte le liste, potrebbe essere una grande opportunità.
Una grande opportunità di superare uno status quo.
Vediamo cosa succede. Non sarà un compito facile. Esiste un filtro nell’America Latina letteraria. Un grande filtro. Dico filtro per non usare il termine censura, perché in realtà può darsi che non sia tale, però è qualcosa di simile. Siamo tornati al mondo giurassico di Carmen Balcells [grande agente letteraria spagnola; n.d.r.] e di Carlos Barral [l’editore spagnolo che pubblicò per primo gli scrittori del cosiddetto boom latinoamericano; n.d.r] e a quella meravigliosa invenzione extraletteraria, quel monumento all’esclusione, denominato BOOM, dove solo un autore per paese aveva “il diritto” di viaggiare. Siamo tornati al più fascista dei provincialismi.
Cileni per i cileni, colombiani per i colombiani, peruviani per i peruviani. La morale profonda che sta alla base è: il mondo interiore di un ecuadoregno contemporaneo non può sintonizzarsi con un lettore contemporaneo messicano. Solo la Spagna, la madre patria, può filtrare e stabilire cosa possiamo leggere. L’itinerario è semplice e lo conoscono tutti: il tragitto più corto tra Santiago e Città del Messico passa da Madrid e, soprattutto, Barcellona.
Invio questo post da Caracas, dove c’è un movimento letterario impressionante che si perde sotto i titoli politici, più chiassosi, dei giornali. Perché nessuno scrive delle rivoluzioni o dei movimenti culturali? I venezuelani stanno leggendo scrittori venezuelani in modo quasi compulsivo e c’è gente con una scrittura inquieta e sudata. In Colombia, dove ho visitato la Fiera di Bogotà, il libro più venduto è di un autore di culto originario di Cali. El cuento de mi vida è un sottile e fiammeggiante libro di saggi “che vende come il pane” ed è la novità della fiera. L’autore è Andrés Caicedo. Un giovane autore colombiano intensamente contemporaneo e “attuale” che, se fosse vivo, avrebbe 56 anni, però si uccise “per aver visto troppi film” e per aver preso troppe pillole, a 25 anni.
Caicedo è un autore di nicchia, sì, e questa nicchia unifica ciò che potrebbe denominarsi la sensibilità emo con la furia del fanboy (i cinefili acerrimi e feticisti) con quella di un autore letterario, una sorta di Cesare Pavese tropicale. Ha successo sia con la narrativa che con la saggistica. Caicedo è di nicchia però la sua nicchia colombiana vende migliaia e migliaia di copie. Ed è rispettato e ammirato da tutti senza trasformarsi in una statua né diventare una lettura obbligatoria. In trent’anni i suoi lettori sono cresciuti in maniera esponenziale. Il suo ultimo libro, una sorta di diario da cinefilo-blogger più due lettere di suicidio, è edito da Norma [grande gruppo editoriale latinoamericano; n.d.r.]. Però cosa succede. Caicedo è un altro conosciuto a casa sua. In Venezuela, il Paese accanto, è impossibile trovarlo. E quando uno lo trova da qualche parte, perso in giro, il prezzo è proibitivo. Perché non viene pubblicato fuori dalla Colombia? È un autore locale, mi dicono. Un fenomeno che si capisce solo a Calì. Se è così, perché ha tanto successo a Bogotà allora? E perché io, un tipo di un’altra generazione, di un’altra parte del mondo, posso sintonizzarmi così tanto con lui?
Caicedo è davvero un autore locale? Ne dubito. Se le cose continuano così, Caicedo si sintonizzerà prima con i lituani e gli islandesi che con gli argentini e i cileni. Caicedo è una sorta di Kurt Cobain letterario e cinefilo capace di unire i fan di André Bazin con quelli di Bob Dylan. Mentre García Márquez, lo stesso anno, si meravigliava con le farfalle gialle, Caicedo era ossessionato da Travis Bickle e Taxi Driver. La casa editrice Norma ha fatto un lavoro così tremendamente miope e sbagliato con Caicedo che viene da chiedersi se si tratti di una cospiraziono o di semplice inettitudine. O forse è una questione di costi: perché investire su qualcuno che già ci frutta denaro localmente. Peccato. Caicedo salva le persone, Caicedo è un autore di prima categoria, urgente. Caicedo non può aspettare. Abbiamo già aspettato anche troppo.

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