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A caccia del fantasma di Hemingway all’Avana

Tim Weed BIGSUR, Ritratti Lascia un commento

La vita e l’opera di Ernest Hemingway sono legate indissolubilmente a Cuba: alla sua gente, ai suoi luoghi, alla sua anima. Tra battute di pesca, mojito, e un’improbabile missione di controspionaggio durante la seconda guerra mondiale, Tim Weed ci racconta i retroscena del legame tra l’autore e l’isola. Questo articolo è apparso originariamente su The Millions, che ringraziamo.

di Tim Weed
traduzione di Martina Ricciardi

1.

La presenza del fantasma irrequieto di Ernest Hemingway è molto più palpabile all’Avana che a Parigi, Madrid, Sun Valley e Key West: tutti posti che possono tranquillamente vantare lo stesso privilegio. Hemingway visse all’Avana per più di trent’anni per poi andarsene nella primavera del 1960. Da allora, la città è cambiata pochissimo.

Ho iniziato ad andare all’Avana con una certa regolarità a partire dal 1999, anno in cui ho organizzato uno dei primi programmi ufficiali per gli studenti degli Stati Uniti dopo la vittoria di Fidel Castro nella rivoluzione del 1959. Da buon aspirante scrittore, le opere di Hemingway mi hanno sempre interessato molto, ma non avevo la benché minima idea di quanto L’Avana avesse inciso sulla vita dello scrittore – e nemmeno di quanto quest’ultimo avesse inciso sull’iconografia della città – finché non ho iniziato a trascorrerci del tempo.

All’Avana i «posti di Hemingway» sono tanti e sono ancora tenuti bene. La camera dell’Hotel Ambos Mundos, ad esempio, dove l’autore visse negli anni Trenta, ora è diventata un piccolo museo; il Floridita, che prepara dei carissimi «Hemingway daiquiri», ospita una statua di bronzo a grandezza naturale che lo raffigura con il gomito appoggiato al bancone; sul muro della Bodeguita del Medio c’è l’autografo di Hemingway e pare che questo fosse il suo posto ideale per bersi un mojito; e infine c’è La Terraza, il ristorante che dà sul porticciolo dove comincia e finisce il viaggio epico di Santiago, il protagonista del Vecchio e il mare. Questi posti non sono solo un’attrazione turistica, sono dei veri e propri santuari, dei punti di riferimento che hanno contribuito a creare la mitologia della città. E l’essenza di questa mitologia si rispecchia nelle foto in bianco e nero scattate dopo la rivoluzione del 1959, che diventarono poi delle cartoline. Queste immagini ritraggono Che Guevara, Fidel Castro, Camilo Cienfuegos – ed Ernest Hemingway.

2.

Per farsi un’idea più precisa sugli anni cubani dello scrittore, bisogna partire dal 1933: il cuore della Grande Depressione. Come scrisse Carlos Baker nella biografia completa dell’autore dal titolo Hemingway: storia di una vita (1969), a metà luglio di quell’anno Hemingway aveva inaugurato il suo centesimo giorno di pesca nelle acque a nord dell’Avana. Aveva catturato più di cinquanta marlin, compreso uno di tre quintali e mezzo che aveva tirato su dopo aver lanciato la lenza vicino al Morro, la fortezza di pietra bianca che sorveglia l’ingresso al porto dell’Avana. La barca che aveva preso a noleggio iniziava a imbarcare acqua per via dei pescispada che continuavano a finirci contro, così decise di comprarne una nuova: un cabinato a motore di undici metri costruito dai cantieri Wheeler di Brooklyn. Lo chiamò Pilar, il nomignolo segreto della sua seconda moglie, Pauline Pfeiffer. Ed era proprio la famiglia di Pauline a finanziare la vita girovaga della coppia: i due vissero all’Avana, a Madrid, a Parigi, a New York, a Key West e nel Serengeti.

Dopo i suoi primi due romanzi, Fiesta (1926) e Addio alle armi (1929), Hemingway era già una stella della letteratura e decise di passare quell’estate all’Avana perché lì vicino c’era uno dei migliori posti al mondo per la pesca dei marlin. Come scrisse più tardi sulla rivista Holiday, Hemingway era attratto dalla corrente del Golfo, quel «grande, profondo fiume blu, profondo da mille a millecinquecento metri e largo da cento a centocinquanta chilometri». Hemingway aveva una grande passione per i marlin, che dal ponte di comando del Pilar somigliavano più «a enormi uccelli sottomarini che a dei pesci».

La prima volta che Hemingway aveva messo piede all’Avana era l’aprile del 1928. Si era fermato un paio di giorni mentre tornava dall’Europa, dopo gli anni romantici trascorsi a Parigi descritti in maniera vivida in Festa mobile (1964). Si rivelò una tappa importante per Hemingway – e per l’Avana – perché trovò qualcosa che gli fece venir voglia di tornare. L’ambizione principale di Hemingway, come scrisse nel 1934 su Esquire, era scrivere storie «più reali di come sarebbero state se fossero successe davvero», e quindi era sempre alla ricerca di esperienze crude, pittoresche e intense da cui prendere spunto. Cuba, come pure la Spagna, era il posto ideale per questo tipo di esperienze, non solo perché aveva mari molto pescosi, ma anche perché era un focolaio di tumulti politici. Ad aprile del 1931 in Spagna scoppiò una sommossa che portò alla caduta della monarchia borbonica, segnando l’inizio di una nuova fase repubblicana, e ad agosto del 1933, all’Avana, una rivolta popolare rovesciò la dittatura del presidente Gerardo Machado. Hemingway, che aveva sempre disprezzato il potere autoritario, si unì ai festeggiamenti di entrambi i paesi, ma lo scompiglio che ne seguì ebbe un forte impatto sul suo lavoro.

Negli anni Trenta, sempre secondo la biografia scritta da Carlos Baker, Hemingway si sentiva sotto pressione. La critica newyorkese aveva stroncato i suoi ultimi lavori, Morte nel pomeriggio (1932) e Winner Take Nothing (1933). Ne aveva scritte abbastanza di storie sullo sport e sugli animali smembrati, dicevano. Perché non tirava fuori qualcosa di nuovo? Pubblicò un altro romanzo, Avere e non avere (1937), che era passabile – ma passabile non era abbastanza. John Steinbeck, un giovane scrittore californiano, cominciò ad attirare l’attenzione della critica e ben presto diventò una vera e propria minaccia per Hemingway e per il suo più che legittimo primo posto nel pantheon degli scrittori americani. Hemingway aveva bisogno di un libro del calibro di Fiesta, Addio alle armi o, cosa più urgente, di Uomini e topi (1937) e Furore (1939). Aveva bisogno di un capolavoro, ma aveva paura di non essere più in grado di scriverne uno.

Così, nel 1936, decise di partecipare alla guerra civile spagnola come giornalista e inviato di guerra. Si unì a una ventina di altri corrispondenti internazionali che stavano all’Hotel Florida, a Madrid. S’innamorò della scrittrice e inviata di guerra Martha Gellhorn, una donna alta e bionda, e da ingenuo si fece coinvolgere in un losco raggiro con un gruppo di consiglieri sovietici dello stato maggiore repubblicano. Furono anni entusiasmanti per lui. Sfruttava ogni occasione per osservare il conflitto, sia a distanza sia in prima persona. Ogni giorno il fuoco di fila dell’artiglieria fascista faceva tremare la terra, riducendo la Gran Vìa a un cumulo di macerie. Erano anni che non si sentiva così vivo.

Poi quella tragica guerra finì. Nell’inverno del 1939, con il trionfo del fascismo che sembrava ormai inevitabile, Hemingway decise di ricominciare a scrivere. Prese tutti i suoi appunti e tornò a casa, all’Avana, con l’idea di scrivere una raccolta di tre racconti lunghi. Ma una folgorante ispirazione lo portò a scrivere una storia che poi diventò il suo bellissimo romanzo sulla guerra civile spagnola, Per chi suona la campana (1940). Man mano che le parole gli uscivano, una dopo l’altra, nella stanza al quinto piano dell’Hotel Ambos Mundos, la sua eccitazione aumentava. Se lo sentiva, questo era il capolavoro che stava aspettando.

Ad aprile di quell’anno lo raggiunse Martha Gellhorn, che di lì a poco sarebbe diventata la sua terza moglie. Lei di vivere in una stanza d’albergo non aveva nessuna intenzione, così si stabilì alla Finca Vigía, una tenuta fatiscente a venti chilometri dall’Avana. Anche se la casa aveva bisogno di qualche lavoretto, la posizione era favolosa: era su una collina accarezzata dalla fresca brezza del mare, e in lontananza si vedevano la città bianca e gli azzurri Stretti della Florida. Nel 1940 uscì Per chi suona la campana e Hemingway ottenne le lodi della critica e del pubblico. Una volta ritrovata la fiducia nella scrittura, Hemingway riprese la sua vita sportiva e girovaga: Martha lo seguiva ovunque e la Finca Vigía, da poco ristrutturata, diventò la loro base.

Quando i riconoscimenti cominciarono a scemare, però, il malessere tornò ad avere la meglio. Come lo stesso Hemingway sosteneva ormai da molto tempo, in Europa scoppiò la guerra. Il conflitto si allargò rapidamente e il 7 dicembre 1941 venne coinvolta anche l’America. Hemingway aveva scritto un capolavoro, è vero, ma adesso il mondo era consumato dalla guerra. Aveva già assistito in prima persona a due conflitti molto significativi di quel secolo, e di certo questo non se lo sarebbe perso. Però non era ancora pronto a lasciare Cuba, la pesca e la tranquillità della Finca Vigía.

Era in buoni rapporti con i funzionari di più alto grado dell’ambasciata americana all’Avana e, una volta ottenuta la loro approvazione, iniziò un’attività di controspionaggio per affrontare l’infiltrazione di spie naziste a Cuba. Giravano voci che le spie avevano trovato dei complici tra i tanti cubani che appoggiavano Francisco Franco, il nuovo dittatore spagnolo. La situazione era particolarmente pericolosa per via dei numerosi attacchi «a branco di lupi» dei sottomarini tedeschi che assalivano le navi alleate in tutti i Caraibi. Le operazioni iniziarono nell’estate del 1942: la Finca era il quartier generale del gruppo di controspionaggio di Hemingway che era formato da pescatori, baristi, prostitute, contrabbandieri di armi, nobili in esilio, giocatori di jai-alai e vecchi amici di bevute.

Ma i servizi segreti si rivelarono un’attività poco soddisfacente. Spinto dal desiderio di rivivere in prima persona il pericolo della lotta, si presentò all’ambasciata con una proposta piuttosto audace. Voleva reclutare un gruppo di uomini ben armati e andare in perlustrazione lungo la costa nord dell’isola con il Pilar, spacciandosi per un pool di scienziati in cerca di materiale per il museo di storia naturale americano. Sicuramente un sottomarino tedesco li avrebbe fermati, spiegò lui, e a quel punto avrebbero aspettato di incontrare la squadra di abbordaggio nazista. I suoi mitraglieri avrebbero falciato i nemici e i giocatori di jai-alai in pensione avrebbero lanciato delle bombe a mano dentro la torretta del sommergibile. Per organizzare quest’operazione, disse all’ambasciatore, aveva solo bisogno di un buon sistema radio, di armi, munizioni, e di un permesso ufficiale.

Con grande sorpresa, l’ambasciatore diede il suo benestare. Il Pilar venne attrezzato con una radio, due mitragliatrici Browning calibro cinquanta, granate, bombe e altre armi. Martha aveva il sospetto che fosse tutta una scusa per fare il pieno al Pilar e tornare a pescare, visto che in periodo di guerra il gasolio veniva razionato. Alla fine, quel gruppo di finti scienziati non si trovò mai a dover affrontare un sottomarino, ma grazie a quest’esperienza Hemingway trovò uno straordinario materiale narrativo. Il libro che ne nacque, Isole nella corrente (incompiuto e pubblicato postumo nel 1970), contiene descrizioni di paesaggi marini tropicali che sono tra i migliori esempi di «nature-writing».

Quando Martha partì per Londra come inviata di guerra, Hemingway rimase all’Avana, si attaccò alla bottiglia e fece piombare la Finca Vigía nel caos più totale. Sì, era in crisi. Una parte di lui voleva seguire Martha e partecipare alla guerra, ma l’altra parte era molto riluttante all’idea di lasciare quel posto che ormai considerava casa sua, i suoi amati gatti, i suoi amici, il suo giradischi, le giornate passate sul Pilar e i mojito e i daiquiri nei suoi bar di fiducia all’Avana. Ma quando Collier gli propose di fare un servizio sull’invasione alleata in Europa, lui si rimise in sesto e partì. Sistemò i gatti e chiuse la Finca Vigía fino a data da destinarsi.

Come molti altri episodi della sua vita pittoresca, le esperienze di Hemingway durante la seconda guerra mondiale costituiscono una storia interessante, ma non è questo l’argomento del mio articolo. Mi basterà dire che per Hemingway partecipare a un’altra guerra fu come una ventata di freschezza, e nel maggio del 1945 tornò dall’Europa con Mary Welsh, la sua quarta moglie. I due iniziarono a fare una vita girovaga, alternando periodi all’Avana e a Sun Valley a viaggi in Africa, in Italia e in Spagna. Adesso alla Finca Vigía c’erano sette domestici, un bar e una cucina perfettamente riforniti. Tra gli ospiti della coppia c’erano stelle di Hollywood del calibro di Gary Cooper e Ava Gardner, che Hemingway aveva conosciuto a Sun Valley e quando lavorava alla versione cinematografica di Per chi suona la campana (1943) e Avere e non avere (1944).

A dicembre del 1950 riuscì finalmente a scrivere una storia che aveva in testa da molto tempo: parlava di un vecchio pescatore di Cojímar, una città cubana. Hemingway conosceva bene quella città perché era il posto in cui teneva il Pilar ed era un habitué de La Terraza, un ristorante sul porticciolo descritto ne Il vecchio e il mare (1952), l’ultimo grande romanzo che Hemingway pubblicò ancora in vita. Nel 1954, proprio grazie a questo libro, vinse il Premio Nobel per la letteratura: l’epilogo perfetto di una carriera grandiosa.

Nel corso degli anni Cinquanta la salute di Hemingway peggiorò e, come se non bastasse, perse fiducia in sé stesso e nella scrittura. Nel 1953, durante un safari in Africa, lui e Mary rimasero coinvolti in un disastroso incidente aereo che provocò a Hemingway una lesione al cervello dalla quale non si riprese mai del tutto. Certo, l’abuso prolungato di alcool ebbe un effetto negativo sulla sua salute fisica e mentale. Negli ultimi anni, tutte le persone che lo incontravano rimanevano scioccate nel vederlo così invecchiato e debole; la famosa immagine del vigoroso atleta e giornalista di guerra era ormai solo un ricordo. Eppure lui cercava di godersi i suoi attimi di felicità intermittente in compagnia dell’ultima generazione dei cinquantasette gatti che avevano abitato nella Finca Vigía. «I gatti hanno un’assoluta onestà emotiva», scrisse una volta. «Gli esseri umani, per qualche motivo, nascondono i propri sentimenti, ma i gatti no».

3.

Per capire meglio le emozioni che stanno dietro il lascito di Hemingway a Cuba, bisogna parlare con chi lo aveva conosciuto da giovane. A Cojímar ho fatto due chiacchiere con un pescatore ottantenne che una volta Hemingway aveva invitato alla Finca Vigía insieme ad altri giovani del posto per parlare della loro vita e della pesca – stava senz’altro facendo delle ricerche per Il vecchio e il mare o per Isole nella corrente. Quando rientrava dalle sue battute di pesca sul Pilar, Hemingway lanciava delle cime da rimorchio ai pescatori che così risparmiavano un po’ di benzina (e quasi mezza settimana di paga). Faceva di tutto per rimanere in buoni rapporti con tassisti, baristi e pescatori perché si sentiva molto più a suo agio con loro che con i visitatori intimoriti che arrivavano da tutto il mondo per conoscerlo.

Il governo cubano ha onorato la memoria di Hemingway mantenendo la Finca Vigía proprio come l’aveva lasciata lui quando se ne andò nella primavera del 1960. È un posto molto evocativo. Le mensole della libreria sono rimaste tali e quali, piene zeppe di libri; le riviste sparpagliate sui tavoli sono tutte del 1959 e dell’inizio del 1960. Su un tavolino ci sono ancora i suoi occhiali; su una mensola c’è la sua macchina da scrivere; ci sono ancora molte paia di scarpe enormi appese a un appendiabiti, con la punta all’ingiù. Sulle pareti di quella casa così ben arieggiata e luminosa ci sono moltissimi trofei di caccia, tra cui i resti degli animali che fanno da protagonisti in «La breve vita felice di Francis Macomber» (il bufalo d’acqua) e Verdi colline d’Africa (il kudu). In bagno c’è ancora traccia della sua calligrafia: durante gli ultimi anni, quelli più difficili, aveva la mania di segnare sul muro gli sbalzi di peso.

4.

L’inizio della rivoluzione cubana turbò molto Hemingway – l’esplosione di un deposito di munizioni lì vicino ruppe le finestre della Finca Vigía – ma, come scrive Carlos Baker nella sua biografia, quando a gennaio del 1959 Fulgencio Batista lasciò il paese e i rivoluzionari barbuti di Fidel Castro arrivarono all’Avana, Hemingway tirò un sospiro di sollievo. Lo scrittore disprezzava profondamente la dittatura corrotta di Batista e vide nella rivoluzione un cambiamento positivo: «A Castro auguro tutta la fortuna di questo mondo», disse. «Ora il popolo cubano, per la prima volta, ha una possibilità decente».

A novembre del 1959, durante un torneo di pesca a ovest dell’Avana, incontrò Fidel Castro. Il giovane leader rivoluzionario vinse la gara e fu Hemingway a consegnargli il trofeo. Castro gli disse che durante la guerriglia sulla Sierra Maestra si era tenuto nello zaino una copia di Per chi suona la campana, cosa che a Hemingway deve aver fatto molto piacere. «Parlavamo solo di pesca», osservò Castro in seguito. «Mi sono sempre pentito di non aver mai discusso con lui di altre cose».

5.

Alla Finca Vigía c’è un sentiero che parte dalla casa e scende attraverso gli orti ombreggiati, per poi arrivare a una grande piscina. Adesso la vasca è vuota, e sembra un abisso pericoloso: il fondale in pendenza, di cemento blu, è pieno di foglie sparpagliate nel punto più profondo. E vicino alla piscina, dove prima c’era un campo da tennis, adesso c’è il Pilar, al riparo sotto una tettoia di latta. Ha ancora il ponte di comando che Hemingway aveva costruito e da dove manovrava la barca aspettando di vedere i marlin o i sottomarini tedeschi. E forse è proprio in questi pochi metri quadrati di ponte, che fecero da sfondo a tante ore trascorse in avida attesa, che il fantasma tormentato di Hemingway sanguina attraverso il velo sottile che separa i vivi dai morti. È impossibile non immaginarselo lì in piedi, a guardare l’orizzonte mentre manovra il Pilar tra i canali azzurri e gli isolotti di sabbia bianca della costa settentrionale di Cuba, come descritto in questo passaggio tratto da Isole nella corrente:

Sopra la sabbia l’acqua era limpida e verde e Thomas Hudson si diresse verso il punto centrale della spiaggia e gettò l’ancora con la prua quasi contro la riva. Il sole era alto e la bandiera cubana sventolava sopra la baracca della radio e le altre costruzioni vicine. L’asta da segnalazione era nuda nel vento. Non si vedeva nessuno e la bandiera cubana, nuova e pulita e smagliante, schioccava al vento.

6.

Una delle caratteristiche che rende l’Avana irresistibile agli occhi dei visitatori è il suo elegante degrado: a causa del lungo isolamento, la sua architettura non è stata normalizzata dall’economia globale e in tal modo si è preservato un formidabile scheletro di stratificazioni storiche. L’Avana è come un’enorme macchina del tempo che in un batter d’occhio, a seconda del quartiere in cui ti trovi, ti riporta indietro nel diciassettesimo secolo, nel periodo art déco degli anni Trenta, negli anni Cinquanta, nell’epoca delle scommesse e della mafia americana o, naturalmente, nell’inviolabile Cuba sovietica della Guerra Fredda.

È buffo, e forse sensato, che fu proprio la sua smania di cercare esperienze della vita reale per poi tradurle in scrittura che portò Hemingway all’Avana. Perché nonostante lui ci provasse con tutto sé stesso, la vita non era mai intensa come la finzione, e forse è stata anche questa scoperta a ucciderlo. All’Avana lo spirito di Hemingway è rimasto intatto, proprio come l’architettura della città. Un debole promemoria di ciò che è stato e di ciò che avrebbe potuto essere.

 

© Tim Weed, 2017. Tutti i diritti riservati.

 Tim Weed ha un rapporto ormai pluridecennale con Cuba. In questi anni ha organizzato un corso di scrittura creativa di quattro settimane con annesso coast-to-coast in macchina da Santiago all’Avana, ha pescato tarponi atlantici e bonefish nella palude di Zapata ed è stato l’interprete ufficiale del Cuban National Choir durante il tour nel New England. È il co-fondatore del Cuba Writers Program e collabora, in qualità di esperto, con il National Geographic organizzando viaggi in Spagna e nella Terra del Fuoco. Il suo primo romanzo, Will Poole’s Island (2014), è entrato nella lista dei migliori libri dell’anno stilata dal Bank Street College of Education e la Green Writers Press ha appena pubblicato la sua raccolta di racconti dal titolo A Field Guide to Murder & Fly Fishing.

 

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