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«Coltivare il senso del ritmo», conversazione con Yasmina Melaouah

redazione Interviste, SUR, Traduzione

In merito al progetto sulle Giornate della Traduzione letteraria, pubblichiamo oggi un’intervista a Yasmina Melaouah traduttrice, fra gli altri, di Pennac, Chamoiseau, Vargas, Colette, Alain-Fournier, Radiguet, Saint-Exupéry Genet, Makine, Mauvignier, Enard.
Ringraziamo la traduttrice per averci concesso questa intervista e per aver condiviso la sua esperienza. Buona lettura.

Edizioni SUR: Spesso chi desidera avvicinarsi alla traduzione, oltre a una grande passione per la letteratura, ha studiato una o più lingue straniere. Conoscere una lingua a un livello avanzato non è però sinonimo di essere dei buoni traduttori. Da cosa dipende una buona resa del testo, oltre che da una conoscenza approfondita della propria lingua madre? Studio, letture o una dota innata?

Yasmina Melaouah: Dando per scontato che un traduttore conosca bene non solo la lingua straniera da cui traduce, ma anche la cultura del paese (cultura letteraria, storica, sociale, ma anche cultura popolare, canzoni e canzonette, film, cibi, usanze ecc.), è cruciale padroneggiare con consapevolezza la propria la lingua, conoscerne e saperne usare i registri, muoversi con agio fra lingua letteraria e lingua parlata, ma anche conoscere – cioè essere consapevoli (questa parola è cruciale!) – il proprio modo di parlare, custodire come una risorsa anche i lessici familiari, le espressioni condivise nella propria cerchia di amici, le varietà regionali che dominano nella conversazione domestica, prendere insomma le misure di tutti i tesori a disposizione per sapervi attingere lucidamente, oculatamente, nella resa della lingua dell’autore. Ma soprattutto avere coscienza che la lingua della letteratura – della buona letteratura – è sempre una lingua che instaura un rapporto dialettico, a volte critico, con la norma linguistica, cioè con quel presunto «bell’italiano» che si impara (?) a scuola e che immaginiamo sia (stato) il modello di riferimento. La letteratura sposta la lingua di lato, forza i margini, rompe gli schemi, e il bravo traduttore deve saper correre negli angoli meno frequentati della lingua. cercare le zone d’ombra, non temere l’audacia quando occorre.

Anche leggere e scrivere molto sono due pratiche utilissime. E coltivare il senso del ritmo, l’orecchio.

ES: Tradurre autori viventi vs tradurre classici. Quanto è importante il confronto con l’autore? Non darei una eccessiva importanza al confronto con l’autore, quel che conta è il faccia a faccia con la pagina, l’ascolto del testo. Se poi l’autore è disponibile per risolvere qualche dubbio, tanto meglio. Ma reputo questo un elemento del tutto marginale.

Quando non è possibile contattarlo come cambia l’approccio al testo?

YM: Non cambia granché, appunto, perché la partita vera si gioca sulla pagina.

ES: Hai mai riletto la tua prima traduzione? Cosa si prova a rileggersi dopo tanti anni?

YM: Credo di averci dato un’occhiata, ma non mi piace quasi mai rileggere le mie vecchie traduzioni. Non solo perché preferisco guardare avanti ma anche perché so che qualsiasi traduzione non è mai definitiva e proverei solo la frustrazione di voler riprendere tutto daccapo. Inoltre crescendo professionalmente si diventa paradossalmente molto meno sicuri, molto meno baldanzosi, quindi mi irriterebbe vedere la classica disinvoltura del principiante…

ES: Quanto è o non è riconosciuto il mestiere del traduttore? In un mondo ideale, quale prassi dovrebbero adottare gli editori per tutelare e valorizzare la categoria?

YM: Oggi queste domande sono per me fonte di grande sconforto. Lasciando da parte il discorso cruciale delle tariffe (un editore non dovrebbe pagare meno di quindici/sedici euro a cartella – minimo!), i traduttori dovrebbero avere, come in tutti i paesi civili, le royalties sulle copie vendute e soprattutto dovrebbero poter disporre del tempo necessario a lavorare bene. I piagnistei degli editori nostrani sugli italiani che non leggono sono intollerabili: fate meno libri, fate libri di qualità –consentendo ai traduttori di lavorare bene, pagati decorosamente, con tempo a sufficienza –e magari il famoso popolo ignorante di non lettori tornerà al piacere immenso della lettura.

ES: Se non facessi la traduttrice, cosa faresti?

YM: È l’unica cosa che so fare. Ma credo che sarei stata una studiosa di francesistica molto contenta.

ES: Consigli per un aspirante traduttore (fare un altro mestiere non vale come risposta).

YM: Studiare la letteratura seriamente: anziché correre da un microcorso di traduzione all’altro (ormai pullulano e pochi sono di qualità) su e giù per penisola, starsene a casa a leggere I miserabili, I viceré, Gadda, Fenoglio, Proust…

ES: Essere spesso associati a un solo autore, come immagino ti sia successo con Pennac, può passare da essere motivo di orgoglio a essere una limitazione? Se sì, perché?

YM: Né orgoglio né limitazione, una felicità assoluta.

Yasmina Melaouah

Laureata in letteratura francese moderna e contemporanea, Yasmina Melaouah traduce da venticinque anni autori francesi.
Insegna traduzione letteraria all’Istituto Interpreti e traduttori di Milano ed è stata a lungo docente di traduzione all’Università Statale di Milano.
Ha tradotto, fra gli altri, Pennac, Chamoiseau, Vargas, Colette, Alain-Fournier, Radiguet, Saint-Exupéry, Genet, Makine, Mauvignier, Enard. Attualmente lavora alla nuova traduzione de La Peste di Albert Camus.

 

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