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Le citazioni apocrife e il bisogno di credere

Cristian Vázquez Scrittura, Società, SUR

Molte persone si ostinano a credere a citazioni errate per una semplice ragione: è un modo per far dire agli scrittori più prestigiosi cose che non hanno mai detto, ma che «suonano bene». Cristian Vázquez racconta qualche errore celebre in un pezzo uscito su Letras Libres, che ringraziamo.

di Cristian Vázquez
traduzione di Martine Moretti 

1.

Alcuni mesi fa a Buenos Aires ha aperto le sue porte al pubblico il Café Cortázar. Situato nel quartiere Almagro e presentato come il «primo bar a tema» dedicato all’autore di Rayuela, il locale offre un arrendamento ricco di foto e testi dello scrittore, oltre a immagini legate al jazz (una delle sue grandi passioni), ai luoghi in cui visse e ad altri fatti legati alla sua figura. Il posto non è male: è gradevole, accogliente, pulito, illuminato bene, come direbbe Hemingway.

Tuttavia, una delle decorazioni appese incorre in un doppio errore abbastanza difficile da perdonare. Attribuisce a Cortázar la frase: «Voglio fare con te ciò che la primavera fa con i fiori». La versione corretta non dice «fiori» bensì «ciliegi», ma questo è il meno grave dei due. Il più grave è che l’autore di questa frase non è Cortázar ma Pablo Neruda (nella quattordicesima delle sue Venti poesie d’amore e una canzone disperata). Un paio di mesi fa, qualcuno mi ha detto di aver fatto presente quest’errore ai gestori del bar, i quali hanno addotto come pretesto che il manifesto con la frase era un regalo e che l’avrebbero subito sostituito. Quando sono tornato nel bar, diverse settimane dopo, la citazione apocrifa c’era ancora.

2.

Quest’erronea attribuzione della frase a Cortázar riporta alla mente altri celebri errori. Nel gennaio del 2008, lo stesso Neruda si trovò nella situazione opposta. L’allora senatore italiano Clemente Mastella recitò un passaggio della poesia «Lentamente muore», attribuendola al premio Nobel cileno. Lo fece nel tentativo di spiegare le ragioni per cui cambiava fazione, provocando, con il suo voto, la caduta di Romano Prodi dalla carica di primo ministro. La paternità della poesia, in realtà, è della brasiliana Martha Medeiros.

Ancora più celebre fu la falsa attribuzione subita da Gabriel García Márquez nel 2000. Una poesia intitolata «La marioneta» iniziò a circolare su Internet come la lettera di addio che l’autore di Cent’anni di solitudine presumibilmente scrisse dopo aver scoperto di essere malato di cancro e che la sua morte era prossima. «Quello che potrebbe uccidermi è che qualcuno creda che io abbia scritto una cosa così kitsch. È la sola cosa che mi preoccupa», dichiarò Gabo in quel momento. Ma quando seppe che il vero autore di quella poesia era Johnny Welch, un comico e ventriloquo messicano, andò a fargli visita a casa. E, stando a quanto raccontò Welch in seguito, García Márquez gli rivelò che fu grazie a questa storia se decise di mettersi a scrivere le sue memorie. Dei tre tomi autobiografici annunciati dal Nobel colombiano, fu pubblicato solo il primo, Vivere per raccontarla, nel 2002 [tradotto in italiano nel 2004, ndr]. Lo scrittore morì nel 2014, senza rendere pubblica alcuna poesia di addio.

3.

Ma senza dubbio la più conosciuta – e la più strana – di queste attribuzioni apocrife è quella che riguarda Borges e la poesia «Istanti». In un articolo pubblicato nel 2000, il professor Iván Almeida, esperto dell’opera di Borges, descrive i particolari della vicenda e della ricerca da lui condotta che gli ha permesso di far luce sulla questione. Li riassumo di seguito.

L’attribuzione errata ebbe origine in Messico. La rivista Plural pubblicò «Istanti» nel 1989, con la firma di Jorge Luis Borges, morto tre anni prima. Per una questione di tematica e di stile, il testo non poteva essere di Borges. Nel 1990, Elena Poniatowska incluse nel suo libro Todo México un lungo capitolo dedicato a un’intervista fatta con Borges, datata 1976, in cui dice di aver recitato all’autore due delle sue poesie: «Il rimorso» e «Istanti». Un altro esperto, Rafael Olea Franco, ha trovato la versione originale dell’intervista di Poniatowska pubblicata sul quotidiano Novedades nel 1973. Cioè l’intervista non era solo precedente rispetto a quando lei disse di averla realizzata, ma anche precedente alla prima pubblicazione del «Rimorso» (1975). Possiamo pensare che la Poniatowska abbia voluto abbellire il ricordo del suo incontro con lo scrittore incorrendo, però, in un paio di inesattezze.

Secondo María Kodama, la vera autrice di «Istanti» era «una poetessa nordamericana sconosciuta, chiamata Nadine Stair». Il lavoro di Almeida, degno di un detective, ha permesso di scoprire l’originale su una piccola rivista di Louisville, nel Kentucky. Quello di un’altra investigatrice, una giornalista specializzata nella ricerca di persone e famiglie scomparse, ha consentito di aggiungere un’informazione, ossia che il nome esatto della scrittrice era Nadine Strain, vissuta tra il 1892 e il 1988.

Ma c’è dell’altro. Nell’ottobre del 1953, la rivista Reader’s Digest aveva già pubblicato una versione precedente di «Istanti», firmata da un caricaturista, anche lui statunitense, chiamato Don Herold. Questa prima versione conosciuta, tuttavia, era carica di scetticismo e di umorismo nero. Il suo spirito ironico andò via via perdendosi nel corso delle successive reincarnazioni, fino a trasformarsi in frasi da poster, banali versi di autoaiuto, esattamente come quelli che avrebbero potuto «uccidere» García Márquez.

L’unica certezza è che non sappiamo nemmeno se Herold fu il primo della serie. Forse «Istanti» (o «If I Had My Life to Live Over», qualcosa come «Se avessi ancora vita per continuare a vivere», così come vennero intitolate le versioni di Herold e di Strain) esisteva già da prima, e la versione del 1953 non fu altro che un ulteriore anello della catena.

4.

Il Borges Center è la più importante istituzione al mondo a studiare l’opera dello scrittore argentino. Attualmente il centro opera sotto la direzione dell’Università di Pittsburg, Stati Uniti, ma nacque come un dipartimento dell’Università di Aarhus, in Danimarca. Iván Almeida è stato uno dei fondatori. In un articolo, racconta che le richieste che si ricevono con maggior frequenza al centro riguardano la paternità di «Istanti». Gli esperti rispondono che il testo non è di Borges. Nella metà dei casi, però, gli interessati si ostinano: «Grazie, ma è di Borges. Saluti».

«Perché», si chiede Almeida, «si prova questo bisogno collettivo di imporre un Borges apocrifo e di difenderlo in modo tanto agguerrito?» E suggerisce una risposta: quello è il Borges che molti vogliono. È risaputo che leggere Borges (così come il resto dei classici) è ben visto in società ma quasi nessuno lo fa perché è difficile, noioso… Sarebbe fantastico, suggerisce questo ragionamento, ottenere tale riconoscimento sociale per aver letto poesie come «Istanti». O no? «Lo facciamo perché abbiamo bisogno che continui a essere Borges», dice Almeida, «ma che rinneghi le sue scelte e che, invece delle sue poesie criptiche, venga a dirci ciò che noi vorremmo sentirci dire e che hanno il coraggio di dirci solo le riviste [di autoaiuto], che disprezziamo. Il mondo perfetto sarebbe un libro di Rigoberta Menchú firmato da Wittgenstein, l’Imitazione di Cristo firmata da Joyce, la canzone “We Are The World” firmata da Mallarmé. Vogliamo poter dire che la poesia che amiamo di più è di quel Borges di cui si sono voluti appropriare gli intellettuali».

Suppongo che abbia ragione. E che a Clemente Mastella, il senatore italiano che cambiò fazione nel momento opportuno, sarebbe piaciuto molto che l’autore di «Lentamente muore» fosse stato Neruda e non la brasiliana Medeiros. E nulla farebbe più piacere a quelli del Café Cortázar di scoprire che era proprio il buon Julio a voler fare con qualcuno ciò che la primavera fa con i fiori. Il fatto è che quel manifesto è un regalo, e poi è così bello… Peccato che la realtà non sempre si adegui ai nostri desideri o al nostro tornaconto.

 

© Cristian Vázquez, 2016. Tutti i diritti riservati.

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