«Civiltà e barbarie», un racconto di José Emilio Pacheco

redazione José Emilio Pacheco, Racconti, SUR Lascia un commento

Il vento distante dello scrittore e poeta messicano José Emilio Pacheco è in libreria: pubblichiamo oggi un racconto estratto dalla raccolta.

«Civiltà e barbarie»
di José Emilio Pacheco
traduzione di Raul Schenardi

 

Il forte è un punto in mezzo alla prateria. È lì che convergono gli apache capeggiati da Geronimo. Scendono al galoppo dai monti brandendo fucili, archi e lance. Caro papà, grazie per il regalo. È arrivato proprio il giorno del mio compleanno. Ti rispondo solo dopo una settimana perché siamo stati mobilitati e adesso ci troviamo in mezzo alla foresta. Al mio battesimo di fuoco mi sono comportato bene. Ricordo quello che mi raccontavi di quando hai combattuto contro i giapponesi a Guadalcanal. La sensazione di potere che ti dà il lanciafiamme è davvero unica. Olson, un ragazzo del Nebraska, lo considera un’arma sporca. Bruciare vivi gli altri – dice – è una cosa che, come la tortura, dovremmo lasciare ai musi gialli. Da parte mia, a me non dispiace, al contrario, arrostire vietcong. Dispositivi elettronici, spranghe, chiavistelli: funzionava tutto.

Quelle porte di ferro li avrebbero fermati. Nemmeno con i cannoni gli insorti sarebbero entrati in casa mia. Perché avrebbero dovuto usarli contro una persona perbene, che aveva un figlio che stava lottando per la libertà in Vietnam? Tutti mi rispettavano, io ero mister Waugh. Mi avvicinai al finestrone e dal diciannovesimo piano contemplai una città sconosciuta a quelli che la guardano dai grattacieli più alti. Lì si avevano tutti i benefici della vicinanza e tutti i vantaggi della distanza. La sentinella osserva il polverone e dà il segnale d’allarme. Il colonnello sale sulla palizzata e mette a fuoco il suo binocolo. Gli apache si avvicinano al forte per dare l’ultima battaglia. I soldati in uniforme blu mare caricano le armi e corrono ai loro posti. Ripuliremo tutta la zona. I vietcong l’hanno disseminata di gallerie sotterranee. Camminiamo su un terreno cosparso di trappole, fosse coperte dalle erbacce con punte aguzze di bambù sul fondo. Non so da dove escano tanti charlies: ne ammazzi cinquanta e altri mille li rimpiazzano all’istante. Comunque, sono sicuro che alla fine di questo 1967 avremo il controllo assoluto. Papà, voi dovete fare pressione su Johnson perché ci autorizzi a distruggere il Vietnam del Nord. Una serie di bombardamenti, un’offensiva terrestre e nel giro di due settimane entriamo ad Hanoi. Provai il piacere di sprofondare nella poltrona di gommapiuma foderata di velluto. Quando la feci partire cominciò a stimolarmi con un massaggio che accelerò la circolazione in tutto l’organismo. Mi piaceva la casa. Avevo tanto desiderato la sicurezza che ci trovavo. Negli anni trascorsi dal divorzio ero invecchiato. Non mi interessavano più quelle che prima consideravo le mie avventure. Ogni venerdì telefonavo a una ragazza diversa. Era semplice come mettersi d’accordo con altre donne per le pulizie dell’appartamento. Girano intorno alla palizzata e scagliano le prime frecce incendiarie. La nostra superiorità umana e tecnologica è davvero schiacciante. Non mi spiego come questi trogloditi abbiano potuto resistere. Papà, il Vietnam non è né sarà un’altra Corea. Ho assoluta fiducia nella nostra vittoria. Né i russi né i cinesi interverranno mai. Nessuno vuole scatenare la terza guerra mondiale perché ne uscirebbero tutti distrutti. Tornai alla finestra. La folla correva avvolta in nuvole di gas. Gli elicotteri sorvolavano la zona. Non c’era pericolo per me, ero in salvo. E le nostre armi sono sempre migliori. Hai visto in tv la bomba che dissemina in un raggio di vari metri diecimila aghi affilati come lamette da barba? Le frecce cadono sulle tettoie. Brucia il deposito del foraggio. Gli apache caricano di nuovo. Sparano senza rallentare il galoppo. Diversi soldati cadono dall’alto della palizzata. Un elicottero scese tra le fila di grattacieli. Non riesco a spiegarmi perché protestano contro di noi quando stiamo rischiando la vita in nome di tutti. Scendono da cavallo, si arrampicano sulla palizzata, dentro il forte si combatte corpo a corpo. Spararono getti d’acqua e pallottole a salve contro gli insorti. Gli apache aprono il portone. Entra un’ondata di guerrieri a cavallo. Bruciano i carri di fieno. Poi ti parlerò della mia esperienza in combattimento. Adesso devo andare dal medico. Ho bisogno di dosi più forti. Non pensavo che una puttanella di tredici anni di Saigon potesse essere tanto infetta. I difensori devono ripiegare nella baracca centrale del forte. L’ascensore si fermò al mio piano. Sentii urla, passi e colpi alla porta. Tony Waugh attraversò l’accampamento per raggiungere l’infermeria. Non esiste qualcosa di più caldo dell’umidità prodotta dal fiume Mekong. Quando finiscono le pallottole i soldati impugnano le sciabole. Presi il mitra e sparai contro la porta. Si sente la tromba del Settimo Cavalleria. Gli apache abbandonano il forte. I difensori sono salvi. Il fogliame cedette sotto i suoi piedi. Tony Waugh sprofondò urlando sulle punte di bambù sul fondo della trappola. Prima di affacciarmi per vedere cos’era successo volevo spegnere il televisore. Troppo tardi: gli apache uscivano dallo schermo e distruggevano tutto. Il mitra mi cadde di mano e sentii che gli zoccoli non ferrati mi facevano a pezzi.

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