Blanche and Alfred Knopf

Storia del prestigio: Blanche Knopf e la cultura letteraria

Josh Lambert BIGSUR, Editoria

Nell’ottobre del 2015, la casa editrice americana Knopf ha compiuto cento anni. Oggi parte del grande gruppo Penguin Random House, è uno dei marchi editoriali più celebri degli Stati Uniti; nel suo prestigioso catalogo compaiono ben 28 vincitori del premio Nobel e 62 vincitori del premio Pulitzer. La lunghissima lista degli autori pubblicati da Knopf comprende, fra gli altri, Vladimir Nabokov, John Updike, Cormac McCarthy, Toni Morrison, Alice Munro, Joan Didion, Bret Easton Ellis, Haruki Murakami, Orhan Pamuk. Prendendo spunto da una recente biografia di una dei suoi fondatori, Josh Lambert fa un’interessante analisi degli inizi della casa editrice e della sua storia. Il pezzo è stato pubblicato originariamente sulla Los Angeles Review of Books e viene qui ripubblicato per gentile concessione dell’autore.

di Josh Lambert
traduzione di Daniela De Lorenzo

Quando parliamo di letteratura ne parliamo spesso in termini di prestigio.

In fondo, la letteratura è stata a lungo intesa come quella sottospecie di scrittura, per dirla con Raymond Williams, sufficientemente «significativa» e «importante» per meritarsi questo nome. Determinare cosa sia effettivamente importante e discuterne è sempre stata una delle principali attività degli studiosi e dei critici letterari. Alcune delle opere di storia della letteratura più influenti dell’ultimo decennio, come The Economy of Prestige di James English o The World Republic of Letters di Pascale Casanova, si sono interamente concentrate sulla creazione e l’utilizzo del prestigio all’interno del campo letterario.

English e Casanova non si limitano ad accettare la vaga sensazione che un’opera letteraria sia prestigiosa, tantomeno mettono in discussione se debba esserlo oppure no, ma esaminano piuttosto in che modo le è stato conferito o da dove le sia derivato tale prestigio, e che cosa ne può conseguire. Questo approccio li ricollega a un tipo di storia letteraria che possiamo far risalire alle annose discussioni sul canone, a opere come Culture of Letters di Richard Brodhead, o come i saggi di Pierre Bourdieu sulla letteratura e l’arte, dove investire un oggetto di «capitale simbolico» non è mai ritenuto qualcosa di inevitabile, ma è visto invece come l’effetto prodotto dalle azioni intraprese dagli attori e dalle varie forze in gioco nel «campo culturale». Non bisogna certo aderire a un bourdieunismo ortodosso per ammettere che le gerarchie di valori istituzionalizzate, riconosciute o meno, continuano ad avere un certo peso in praticamente qualunque articolo, recensione, proposta o lancio di un libro.

Alla luce di ciò, sarebbe difficile esagerare l’importanza della Alfred A. Knopf, Inc. Negli Stati Uniti del ventesimo secolo, la Knopf Inc. era per il prestigio letterario ciò che la Grove Press di Barney Rosset era per l’avanguardia, eguagliata (col tempo) solo dalla Farrar, Straus and Giroux. La Knopf può anche non aver avuto il monopolio sul prestigio letterario, ma è certamente la casa editrice che ha mercificato la qualità in modo più efficace e costante.

Lady with the BorzoiCiò significa che la storia della Knopf Inc. ha molto da insegnarci sul prestigio letterario, e su come è stato creato, mantenuto e impiegato. Per fortuna, dopo molti decenni in cui, inspiegabilmente, non è mai stato dedicato uno studio approfondito a questo editore, abbiamo ora una manciata di libri ben documentati sull’argomento, l’ultimo dei quali, The Lady with the Borzoi: Blanche Knopf, Literary Tastemaker Extraordinaire di Laura Claridge, è appena stato pubblicato – guarda caso dalla FSG.

La biografia realizzata da Claridge ha uno scopo ben chiaro, polemico e costruttivo: far emergere il ruolo da gigante che ha giocato Blanche Knopf nell’editoria moderna, nonostante gli sforzi fatti dal marito per oscurarlo e minimizzarlo. Capita proprio a pennello; in un momento in cui, malgrado il fatto che «la maggior parte dei professionisti dell’editoria sono donne bianche etero», sono state necessarie le campagne dell’organizzazione VIDA anche solo per avvicinarsi alla parità di genere nell’elenco dei collaboratori di moltissime riviste letterarie, gli elogi a Blanche Knopf non saranno mai abbastanza. Ed è quantomeno gratificante, se si sta attenti a questo tipo di disparità, notare che Blanche è ora oggetto di una biografia approfondita, scrupolosa e ammirata, mentre non esiste nulla del genere su Alfred.

La storia di Blanche, raccontata da Claridge, è sorprendente. Viene presentata come una donna animata da una vorticosa energia letteraria e sessuale, accompagnata anche da un certo snobismo, da vari tentativi di suicidio, un’assurda tendenza alla mitopoiesi, molte relazioni amorose, pesanti disturbi alimentari e una cecità degna di Mr. Magoo. Sembra esser stata sia vittima sia perpetratrice di gravi soprusi. E naturalmente le si può attribuire il merito della vitalità del romanzo poliziesco americano – pubblicò Raymond Chandler, Dashiell Hammett e James M. Cain – e della grande attenzione che la letteratura francese e latinoamericana ha ricevuto negli Stati Uniti, insieme a molti altri importanti contributi all’editoria americana.

The Art of PrestigeMa il testo di Claridge, come gran parte dei saggi divulgativi sulla storia dell’editoria, non spiega veramente perché o in che modo Blanche e il suo gruppo abbiano avuto così tanto successo rispetto alla concorrenza nell’arrogarsi lo scettro del prestigio letterario. Per quello, possiamo fare riferimento a un altro recente libro, The Art of Prestige di Amy Root Clements (2014). Clements si concentra sui primi quindici anni di vita della Knopf Inc., durante i quali la casa editrice creò come per magia il suo fascino misterioso, inestimabile dal punto di vista commerciale. Come sia riuscita a farlo è una questione che dovrebbe importare a chiunque prenda la letteratura sul serio, se non altro perché la Knopf Inc. gode ancora oggi di quel prestigio.

Se si fosse trattato soltanto del fatto che Alfred e Blanche dimostravano costantemente un gusto letterario più raffinato rispetto ai loro rivali, non ci sarebbe stato molto da raccontare per Clements: in tal caso, bisognerebbe ammettere che il prestigio è dovuto a delle intuizioni straordinarie. Ma a rendere particolarmente affascinante il caso della Knopf è la frequenza con cui gli Knopf facevano fiasco. Ed è anche per questo che il titolo di Clements funziona: il prestigio non è qualcosa che gli Knopf si sono guadagnati senza sforzi, non è derivato inesorabilmente da un’eredità, dal lignaggio o da un genio innato. Tutt’altro, il prestigio maturato e commercializzato dalla Knopf Inc. è stato costruito ad arte, creato mediante la forza di volontà e lo spirito affaristico.

***

Non bisogna minimizzare l’aiuto familiare di cui godettero gli Knopf per far decollare la casa editrice. Al contrario, praticamente tutto ciò che mise Alfred in condizioni di diventare un editore derivava dalla reputazione e dalle conoscenze del padre, Samuel Knopf, che, sfruttando l’esperienza maturata nell’industria dell’abbigliamento per costruirsi una carriera nel campo della promozione e del marketing, fondò poi la sua personale agenzia pubblicitaria. Per quanta influenza possano avere avuto i professori della Columbia, come Brander Matthews e soprattutto Joel Spingarn, sui gusti del giovane Alfred, furono soprattutto i contatti di Samuel a far ottenere a Knopf il suo primo lavoro, come venditore di inserzioni pubblicitarie per il New York Times; poi, la sua prima vendita in quel ruolo; e, poco dopo, il primo lavoro editoriale, nell’ufficio contabile di Doubleday, Page & Co. Quando fu fondata la Alfred A. Knopf Inc., Samuel Knopf si insediò tra i primissimi impiegati, e rimase nella casa editrice come direttore e tesoriere – un ruolo che, fa notare Clements, «gli permetteva di controllare le decisioni editoriali, gli stipendi e altre questioni», tanto che «Blanche e Albert si rimettevano spesso al suo giudizio» – fino al 1932, anno in cui morì. La biografia di Claridge, che mostra un’innegabile simpatia per Blanche, fa di Samuel un ritratto molto duro; cita un impiegato che lo definì «aggressivo e insensibile» e descrive la perenne lotta triangolare per il controllo dell’azienda, nella quale Alfred e Samuel erano continuamente alleati contro Blanche.

Samuel Knopf era un venditore, un traffichino, e anche se riuscì a procurarsi il capitale per la casa editrice quando ce ne fu bisogno, non possedeva la stessa combinazione di lignaggio e ricchezza che garantì ad altri editori, fra cui Bennett Cerf e Roger W. Straus Jr., l’esordio nel settore. Gli Knopf erano una famiglia ebraica proveniente dall’Est Europa, e Samuel il tipo di ebreo che agli inizi del Novecento veniva disprezzato non solo dai gentili patrizi, ma anche dall’élite ebraico-tedesca dalla quale discendevano Cerf e Straus. Pertanto il patrimonio degli Knopf non era affatto una scorciatoia verso il prestigio: quando Blanche conobbe Alfred nel 1911, le sembrò «il giovanotto più rozzo che avesse mai conosciuto». E a dirlo era una ragazza la cui ricchezza di famiglia derivava dai mattatoi e dal commercio di vestiti da quattro soldi. Per tutta la vita, spiega Claridge, Blanche mentì sulla sua famiglia, inventandosi un’infanzia molto più sofisticata di quella che aveva vissuto realmente.

Le origini ebraiche dell’Europa Orientale potrebbero tuttavia aver aiutato gli Knopf in modo diverso. Clements ritiene che il rilievo dato ai titoli russi nelle prime pubblicazioni della Knopf – sei dei primi undici libri pubblicati erano traduzioni dal russo, più una dal polacco – fosse dovuto alla convenienza economica del pubblicare traduzioni inglesi su cui non c’era copyright. È vero, ma influì sicuramente anche il fatto che la famiglia e il giro di conoscenze degli Knopf includessero un numero maggiore di persone che parlavano il russo e il polacco rispetto a molti altri americani. In questo caso, come con l’estrazione sociale di Samuel Knopf, uno degli autentici talenti di Alfred Knopf fu la capacità di disporre delle proprie esperienze in modo da trarne vantaggio anziché permettere che venissero utilizzate contro di lui. Portare suo padre in ufficio sembra esser stato, tra le altre cose, un modo per annunciare che non era affatto imbarazzato dalle sue origini. E il risalto dato ai russi nelle prime pubblicazioni, che perlomeno ai rivali di Knopf sarà sembrato sicuramente un po’ disperato, fu giudicato un colpo da maestro in un articolo della New York Times Book Review del 1916, dove Knopf «ha sostenuto di voler proteggere quei libri evitando che venissero presi da qualche editore americano che non li avrebbe promossi come meritano».

Simili dichiarazioni – fatte da Alfred e da altri – che testimoniano perspicacia e autorevolezza editoriale possono avere avuto o meno qualche fondamento nella realtà, ma venivano sbandierate a prescindere. Clements esamina a fondo la strategia pubblicitaria della Knopf, compresa una campagna della casa editrice che nel 1923 andò avanti «per un periodo di quattro mesi […] senza mai menzionare un solo autore o titolo», e che enfatizzava invece la selettività e la presunta invariabile qualità sia dei contenuti sia della veste grafica dei libri della Knopf. Il tono personale usato nelle pubblicità dell’azienda («Il signor Knopf raccomanda…» e altri messaggi del genere) portavano avanti l’idea che alla base dell’azienda ci fosse una particolare raffinatezza curatoriale, il che era forse vero – sebbene ciò che emerge chiaramente dalla biografia di Claridge e da altre rievocazioni degli Knopf sia che Alfred non amava per niente la narrativa o la poesia, e che, almeno a partire dalla metà del secolo, Blanche non ci vedeva più abbastanza bene per poter leggere.

Insieme a moltissime opere salienti della letteratura europea e americana, osserva Clements, «i loro primi cataloghi includevano un numero considerevole di titoli largamente accessibili, dai libri di diete ai romanzi polizieschi». Va notato che «il libro più pubblicizzato nei primi cinque anni di attività dell’impresa», fu Eat and Be Well di Eugene Christian, una pratica guida all’alimentazione funzionale: non proprio materiale da premio Nobel, per usare un eufemismo. Guardandole a posteriori, poche delle principali opere letterarie pubblicate dalla casa editrice nei primi decenni di vita hanno resistito alla prova del tempo, per quanto Claridge tenda a trattarle con deferenza. Si può dare un’idea della produzione della Knopf Inc. dicendo che non pubblicarono Gertrude Stein, Hemingway, Fitzgerald, o Faulkner, ma Joseph Hergesheimer, Robert Nathan e Carl Van Vechten.

È ovviamente un discorso ingiusto. Per qualunque editore sono sempre di più i libri importanti mancati di quelli che è riuscito ad assicurarsi, e dire che gli Knopf possedevano un fiuto editoriale esemplare non è un’esagerazione. Nei soli primi quindici anni della casa editrice pubblicarono ben nove autori che avrebbero vinto il premio Nobel – alcuni dei quali, ma non la maggioranza, sono ben noti negli Stati Uniti ancora oggi – nomi come Verner von Heidenstam e Wladyslaw Reymont vi dicono qualcosa?

Non c’è nulla che riveli i punti deboli condivisi da Alfred e Blanche (persino quando c’era poco altro da condividere) meglio della questione dell’oscenità. Fin dall’inizio, anziché combattere la battaglia contro la New York Society for the Suppression of Vice, i due la abbandonarono. Riprendendo le parole di Clements, gli Knopf seguirono «la linea del compromesso in vari potenziali scontri con la censura», mentre altri editori, in particolar modo Thomas Seltzer, Horace Liveright, Pascal Covici e Bennett Cerf, intraprendevano battaglie legali in nome dell’opera di scrittori come D.H. Lawrence, Theodore Dreiser, Radclyffe Hall e James Joyce. Secondo Clements, questa tendenza conservatrice degli Knopf è ciò che più li distingue dai loro colleghi nel gruppo dei nuovi editori e, grazie a Claridge, sappiamo che questo puritanesimo perdurava ancora negli anni Cinquanta, quando espurgarono interi passaggi di Gridalo forte di James Baldwin e rinunciarono a pubblicare La stanza di Giovanni perché troppo esplicito. Intanto, le pratiche sessuali private di Alfred e Blanche, di cui Claridge si occupa nel dettaglio, li conformavano perfettamente allo stereotipo del vittoriano ipocrita: sebbene non volessero pubblicare Baldwin, pare che ad Alfred, durante i suoi viaggi a Los Angeles, piacesse pagare delle coppie per guardarle far sesso; quanto a Blanche, non si preoccupò molto di nascondere le sue relazioni amorose con musicisti celebri e altre persone, tanto da suscitare il disappunto dei suoi amici più stretti.

Clements ci mostra come persino l’attenzione degli Knopf per la veste grafica, decantata sia dalla casa editrice sia dai suoi ammiratori, fu ben lungi dall’essere costante, perlomeno all’inizio. Ha esaminato novecento libri Knopf pubblicati prima del 1930, e fa notare che «il 75 per cento ha i bordi deckle-edge» – quelle pagine dal taglio irregolare, simbolo di lusso letterario, che si trovano ancora oggi in molti libri Knopf – ma «soltanto il 16 per cento impiega carta colorata o decorazioni» per il risguardo. Morale: di qualche spesa si faceva a meno, in modo abbastanza sistematico.

Anche le infiorettature retoriche mirate a far apparire i libri come oggetti di gran lusso risultavano, di tanto in tanto, un po’ eccessive. Clements osserva che quando nel colophon dei libri Knopf iniziarono a figurare le informazioni sui fornitori della carta, le legatorie e le ditte di composizione tipografica – precorritrici della celebre «Nota sui caratteri con cui è stampato il libro», che fece la sua comparsa nel 1925 – il primissimo esempio «ci informa che [il romanzo] fu […] rilegato presso la H. Wolff Estate». A giudizio di Clements, «sotto il termine estate si celerebbe l’abitazione decisamente industriale di Wolff» sulla Ventiseiesima Ovest di Manhattan.

Gli Knopf ebbero risultati altalenanti nella vendita dei libri. Come osserva Claridge, tra la fondazione nel 1915 e il passaggio alla Random House nel 1960, la Knopf Inc. «pubblicò soltanto dodici libri che vendettero più di centomila copie». Mentre una cosa del genere avrebbe comportato il fallimento per quasi qualunque altra casa editrice, loro riuscivano sistematicamente a vendere quaranta o cinquantamila copie all’uscita del libro. Grazie a ciò e alla forza del loro catalogo riuscirono a sopravvivere con meno best-seller rispetto agli altri editori, e questo andamento contribuì alla loro fama di casa editrice concentrata sulla qualità più che sulle vendite.

Più importante di ogni singolo libro o prassi consolidata fu il fatto di costruirsi, usando le parole di Clements, «la fama duratura di editore ossessionato dalla cura grafica, a prescindere che tale fama fosse esagerata o meno». Lo stesso dicasi per la reputazione, presso la stampa, di editore impegnato a rendere disponibili opere illustri e importanti della letteratura americana, europea e asiatica. È nella fama stessa, piuttosto che nella veste grafica o nel contenuto di qualche libro in particolare, che risiede il prestigio.

Quindi, in fin dei conti, come hanno fatto? Cosa c’era nella Knopf Inc. che le ha permesso di elevarsi al di sopra di molti concorrenti – persino colossi commerciali come Random House e Simon & Schuster, che furono fondati nello stesso periodo – nella stima dei lettori, se non nelle vendite? Ci sono tantissimi aspetti del successo e dell’insuccesso editoriale che restano inspiegabili – persino per gli addetti ai lavori – e nemmeno i libri di Claridge e di Clements, malgrado tutte le loro intuizioni, spiegano completamente la cosa. Possiamo dire, grazie a questi libri, che Alfred e Blanche Knopf, nonostante le stravaganze e i difetti, riuscirono sempre a incarnare la parte degli editori che sognavano di essere sin da adolescenti. Sapevano organizzare le feste giuste, assumere i grafici giusti, e apparire, agli occhi di molti autori, esattamente come il tipo di persone con cui uno vorrebbe pubblicare il proprio libro. A forza di bluffare, ce la fecero davvero.

Come tali, ci ricordano che anche dopo che l’editoria americana è diventata più democratica, aperta agli ebrei e alle donne, non più proprietà esclusiva delle ricche famiglie del New England, il prestigio letterario ha continuato a derivare spesso e volentieri dal modo in cui un editore parlava, si vestiva e sapeva intrattenere: da tutte quelle qualità, in pratica, che non hanno niente a che fare con le parole scritte sulle pagine di un qualche libro in particolare.

© Josh Lambert, 2016. Tutti i diritti riservati.

Josh Lambert è uno scrittore, redattore e professore di Toronto, Canada; il suo libro Unclean Lips: Obscenity, Jews, and American Culture è stato pubblicato dalla New York University Press.

Condividi