Andres-Caicedo-08

Dialogo con Luis Ospina

redazione Andrés Caicedo, SUR

In occasione dell’uscita di «Viva la musica!», di Andrés Caicedo, pubblichiamo una breve intervista a Luis Ospina, e una raccolta di citazioni sull’autore e la sua opera. Luis Ospina è un pluripremiato regista, sceneggiatore e produttore cinematografico colombiano che insieme a Andrés Caicedo, Carlos Mayolo e altri fondò negli anni ’70 il Cine Club di Cali, e la rivista di critica cinematografica «Ojo al cine». Fra l’altra ha diretto il documentario sulla vita di Caicedo «Unos pocos buenos amigos» (1986), rintracciabile su You Tube.

traduzione di Giuseppe Trovato

Perché pensi che la letteratura di Andrés sia così attuale?

L’attualità della letteratura di Andrés Caicedo è il risultato di una scrittura sempre giovane. Esiste un parallelismo tra Andrés Caceido e J.D. Salinger in termini di scrittura: si tratta di testi che qualsiasi giovane o adolescente avrebbe voluto scrivere. Esprimono, come nessun’altro scrittore nel panorama della letteratura spagnola, l’angoscia dell’essere giovani, questa teenage angst che si è soliti trovare nella musica ma non in letteratura. Ian Curtis e Kurt Cobain sono compositori ormai morti ma eternamente attuali, forever young.

Quando era vivo o nei giorni immediatamente successivi alla sua morte, credevi che avrebbe destato l’eco che ha oggi?

Da quando ho conosciuto Andrés e ho cominciato a leggere le sue opere ho subito pensato che si trattasse di un genio precoce. Per questa ragione, poco dopo la sua morte, gli ho dedicato un documentario e in questi ultimi 34 anni mi sono impegnato a divulgare i suoi testi (quasi tutti inediti quando è morto) e mantenere vivo il mito. Un mito che all’inizio molti hanno creduto essere un’invenzione locale di pochi amici ma buoni, ma che col tempo si è rafforzato e diffuso in altre parti del mondo attraverso la pubblicazione delle sue opere in varie lingue. La casa editrice Belfond, che si è occupata della traduzione in francese dell’opera di Fernando Vallejo, si appresta ora a tradurre quattro libri di Caceido e la famosa casa editrice inglese Penguin Classics pubblicherà presto una traduzione di ¡Que viva la música!, che è già uscita in italiano e in tedesco. Quanto al suo valore come critico cinematografico, è già stato riconosciuto dalla rivista di cinema più prestigiosa, Cahiers du cinema in un numero recente. Mi ritengo molto fortunato del fatto che amici come Andrés Caicedo e Carlos Mayolo abbiano segnato gli anni formativi della mia vita, ognuno a suo modo, ma entrambi forieri degli elementi necessari per diventare un genio. Caicedo, timido e un po’ asociale, durante la sua breve esistenza è riuscito a raggiungere la genialità, grazie alla sua ostinazione e alla consapevolezza di essere geniale. Mayolo, più estroverso e dissoluto, ha lasciato alcune tracce sparse della sua genialità ma non la abbracciò totalmente in quanto ne era troppo consapevole. È stato vittima di quello che i greci chiamarono hybris, termine che potremmo tradurre come una fiducia smisurata ed esagerata in se stessi; una sopravvalutazione delle proprie capacità che va generalmente di pari passo con la perdita del senso della realtà, spesso punita dagli dei. “Colui che gli dei vogliono distruggere, prima viene data in dono la pazzia”, afferma un vecchio proverbio greco erroneamente attribuito a Euripide.

In che modo mantieni il legame con Andrés oggi?

Pubblicando e diffondendo le sue opere.

Andrés Caicedo secondo gli amici e i critici

traduzione di Raul Schenardi

Andrés Caicedo non è mai stato perfetto; e non lo è stato, più che per insufficienza, perché era nella sua natura (o in quella della sua epoca) non esserlo. C’è qualcosa nella sua opera […] che non tiene la debita distanza fra lo scrittore e la dimensione occupata dall’universo immaginato; distanza che determina la maestria dell’autore e la perfezione dell’opera.

Jorge Mario Ochoa

L’opera di Caicedo somiglia molto al concetto di «cannibalismo» di cui parlava Raymond Chandler, nel senso che si nutre dei propri testi e collega le loro tematiche, in modo che tutti i suoi lavori venissero a costituire un corpus di ossessioni e argomenti ricorrenti.

Sandro Romero Rey (Scrittore, regista teatrale, critico musicale, autore fra l’altro del libro Andrés Caicedo, la muerte sin sosiego)
Luis Ospina (Regista cinematografico, sceneggiatore e produttore. Entrambi membri del Gruppo di Cali, insieme a Carlos Mayolo e Andrés Caicedo)

La sua opera è uno dei pochi casi della letteratura colombiana che non appartengono alla «cultura ufficiale», i suoi testi non diventeranno una lettura obbligatoria nelle scuole e lui non riceverà onori post mortem. Eppure, per uno di quei paradossi della storia dell’arte, tutto il suo lavoro letterario merita un posto preminente, in quanto rappresenta una delle opere più vitali, aggressive, tragiche, intelligenti e profondamente divertenti che siano state pubblicate in molti anni in Colombia.

Sandro Romero Rey
Luis Ospina

Non è possibile leggere Andrés Caicedo senza sentirsi coinvolti nel suo stesso sconvolgimento, senza rabbrividire per la crudeltà della sua visione. Sembrava che non gli sfuggisse nulla nell’incessante ricerca di sensazioni. La tensione drammatica di Caicedo si insedia nell’esperienza degli estremi, nell’ordine dell’eccesso, della durata nella smisuratezza, il che equivarrebbe a vederlo all’opera mentre demolisce qualsiasi ordine superficiale. Caicedo manifesta un rifiuto radicale – persino disgusto e odio – per i valori stabiliti in una società paralizzata dai postulati della più oscura razionalità, nell’inflessibilità del senso comune; una società che si sostiene sullo scambio poco scrupoloso di interessi, sulla corsa frenetica al potere, ed è dominata dai meccanismi del simulacro. Vale a dire: un mondo adulto.

Óscar González
(Critico e poeta colombiano)

Per lui, maturità è sinonimo di vecchiaia; mentre la società borghese proclama i valori supremi della sua organizzazione, «lavoro, disciplina e denaro», il romantico, che sente l’insignificanza della propria esistenza di fronte al potente meccanismo invincibile, rivendica per sé altri valori corrosivi: i sogni, il disordine, la notte, l’ozio.

Cristóbal Peláez González
(Drammaturgo, fondatore e direttore del teatro Matacandelas di Medellín)

Come Mallarmé, che sognava il «Grande Libro», un «unico Libro», Caicedo scrisse in realtà una sola opera che si ramifica in annotazioni sul cinema, racconti, brevi poesie e romanzi. Tutta la sua opera, per il suo carattere inconcluso, per il suo «libertinaggio», per la sua irriverenza nei confronti delle regole, potrebbe essere letta come un unico romanzo.

Cristóbal Peláez González

Non saprei dire con precisione perché nell’opera di Andrés ci sia questa fascinazione per l’orrore. Posso parlare della fascinazione per l’orrore che provo io dopo aver letto Andrés. Anzitutto si tratta di una fascinazione per la malvagità, prima che per l’orrore, e per una passione che è più grande persino dell’amore – secondo Stevenson, la più grande delle passioni –, e cioè il fatto di sentire che ci si smarrisce, che all’improvviso le cose non vanno come si era pensato, che a poco a poco si può scivolare e perdere il contatto con la realtà.

Óscar Ocampo
(Regista cinematografico colombiano)

In Andrés era ancora viva l’idea secondo cui i giovani avrebbero cambiato non tanto le idee politiche ma le cose; che l’azione di quella generazione avrebbe cambiato il mondo. I suoi atteggiamenti furono fondamentalmente conformi a quell’idea, e il suo suicidio significa precisamente il rifiuto di diventare maturo, vale a dire, morire con le idee in voga, e non con quello che ci tocca di vedere a noi: il dileguarsi di tutte le idee del ’68. Tuttavia, a noi è toccato vivere in un altro mondo ormai lontano da quelle idee. Il momento libertario che visse il mondo, che vivemmo noi giovani con il maggio del ’68, è qualcosa di indimenticabile, è una poesia che non si può scordare, e Andrés molto saggiamente se n’è andato con la poesia, e non con la brutta copia della poesia che è toccata a noi.

Carlos Mayolo
(Regista cinematografico e televisivo, membro del cosiddetto Gruppo di Cali)

Posso dire che era una persona molto semplice, adesso forse ne faranno un mito, non so fino a che punto se ne possa fare un mito, ma i miti nascono in modi stranissimi. Il fatto è che era una persona molto semplice, un po’ timida, molto bella, e un grande amico.

Enrique Buenaventura
(Fondatore del Teatro Experimental di Cali, drammaturgo, regista, critico colombiano)

Io penso che l’orrore ce l’avesse dentro, Andrés viveva in un mondo interiore fatto di grande sofferenza, di grande timore, di grande terrore nei confronti della vita. Penso che Andrés fosse una persona molto vulnerabile e molto spaventata, era come se vivesse in una bolla di terrore.

Patricia Restrepo
(Musa ispiratrice di Andrés Caicedo e grande amore della sua vita.)

La città in Caicedo è il luogo dell’odio, della ribellione inconsapevole, dell’anticonformismo, della sintomatologia di una crisi che non ha nome, del rifiuto senza intellettualismi per uno stato del mondo in nome di un altro che non ha né nome né forma.

William López
(critico letterario e artistico colombiano)

Lo spazio urbano è personificato e trattato come un soggetto in più che possiamo accusare e responsabilizzare. Per il narratore-protagonista la città non è solo il luogo delle sue angosce, ma anche la causa di gran parte delsuo malessere; inoltre è il motivo per cui lui non riesce a stabilire una distanza dell’elemento utopico da cui esercitare la critica e i giudizio. Tutto si disperde in una constatazione dei sintomi di una malattia, di un’infezione, zoppicando. L’unica via d’uscita è, forse, un linguaggio impotente, una scrittura sconfitta.

William López

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