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I racconti di Leo Maslíah

Raul Schenardi Racconti, SUR

Abbiamo già parlato dello scrittore-musicista-cantautore uruguayano Leo Maslíah, presentando ai lettori del blog due brevi racconti e una scelta di brani musicali.

Chi legge lo spagnolo o il francese troverà qui un’intervista niente affatto convenzionale a Leo Maslíah di un altro scrittore “raro” uruguayano già noto ai lettori del blog: Mario Levrero: “Incontri ravvicinati di qualsiasi tipo”.

A seguire invece un breve racconto – genere in cui eccelle Maslíah – tratto dalla raccolta La miopía de Rodríguez y otros cuentos (Ediciones de la Flor, Buenos Aires, 1993).

9 luglio

di Leo Maslíah
traduzione di Raul Schenardi

Buenos Aires, Argentina. Giornata di sole. Avenida 9 de Julio. Semaforo rosso. Si raggruppa gente che vuole attraversare. Anche dall’altra parte. Il semaforo tarda a cambiare. Arriva altra gente, in entrambi gli schieramenti. Ogni distaccamento fissa il semaforo opposto mentre raccoglie le forze. “Coraggio, ragazzi” dice un tipo ai suoi compagni di marciapiede, “verrà il giorno in cui potremo attraversare”. Gli altri lo riconoscono immediatamente come loro leader. “Forse alcuni cadranno nell’impresa” prosegue lui, “ma resteranno per sempre nei nostri cuori.” Il semaforo è sempre rosso. Di fronte, lo schieramento opposto ha designato come leader una donna.

Il suo voluminoso avantreno la rende particolarmente adatta a violenti impatti frontali con pedoni che vanno in direzione contraria. “Siamo con te, Tatiana” le urlano alcuni. “Quello non è il mio nome” ribatte lei, ma lo assume ugualmente, come Woitila quello di Giovanni Paolo. Di fronte, l’altro leader la guarda e le mostra il dito medio della mano destra. I suoi compagni, uomini e donne, lo imitano. Alcuni hanno dei binocoli e scelgono contro chi andranno a sbattere. Altri tirano fuori la lama dei loro coltellini svizzeri e la esibiscono a mo’ di prua. D’un tratto, semaforo giallo. Uno studente, seguace di Tatiana, domanda se può dipingere di blu il vetro giallo del semaforo che ha di fianco, in modo che diventi verde, così quelli dello schieramento contrario verrebbero schiacciati dalle auto mentre cercano di attraversare. La capa gli chiede di pazientare e gli assicura che a tempo debito nessun avversario rimarrà in piedi. Lo studente recita García Lorca: “verde, ti voglio verde”. Finalmente il semaforo cambia. “Addosso” urla il leader di fronte, “dobbiamo seppellirli nell’asfalto, il sole è dalla nostra parte e li ha già rammolliti un po’”. Entrambe le coorti iniziano la loro marcia verso la collisione. Tatiana si sistema il reggiseno. L’altro leader schiera i suoi in ordine di altezza. “Le donne e i bambini davanti”, dice. Tutti procedono con passo risoluto. Le auto, ferme, osservano lo spettacolo e un gruppetto di bambini di strada, impegnati di solito a lavare i vetri delle macchine in cambio di qualche moneta, fanno succulenti scommesse su chi vincerà la crociata pedonale. Attenzione, mancano pochi metri. Ci siamo, ormai ci siamo. Due passi, un passo. E a quel punto, all’improvviso, tutti cambiano radicalmente atteggiamento. Cominciano a chiedersi permesso l’un l’altro e a schivarsi. Tiziana è finita. Si verificano soltanto alcuni sfioramenti del tutto innocui. Nessuno cade, nessuno viene schiacciato. Tutti arrivano a destinazione sui rispettivi marciapiedi di fronte, e seguono gli abulici percorsi che li condurranno a sbrigare le loro stupide incombenze. Nessuno ricorda l’intenzione preliminare. Tutti fingono senso civico, che cagoni.

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