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Testo a fronte: Marcelo Damiani

Marcella Solinas SUR, Traduzione

Marcelo-DamianiPer la rubrica Testo a fronte pubblichiamo oggi un estratto del Mestiere di sopravvivere di Marcelo Damiani, da poco pubblicato per i tipi di Arcoiris edizioni. La traduzione è di Marcella Solinas, che ringraziamo. 

«Paraíso perdido»
di Marcelo Damiani


 El ajedrez es la vida.
Bobby Fischer

Así, ahora, siendo las nueve en punto de este deprimente domingo de diciembre, y en completo y perfecto uso de todas mis facultades, acabo de decidir, mientras difería el tiempo real en esta frase imaginaria, que un instante antes de medianoche, o sea dentro de catorce horas con cincuenta y nueve minutos y fracción aproximadamente, me voy a suicidar.

Afrodita, pienso, cuando veo que está terminando de despertarse y me mira molesta y somnolenta, no sabe nada de mi decisión, a pesar de que sus ojos pardos parezcan traicionarla, y comprender.

Ahora, mientras contemplo su expresión expectante, acentuada verticalmente por la rigidez de sus orejas oscuras, siento la necesidad de contarle lo que va a pasar. Obviamente no creo en todas esas estupideces que escriben los idiotas sobre la nula capacidad lingüística de los animales. Pero por pudor prefiero callar. Sé que no va a contestarme, y la sospecha sobre el probable origen de su silencio –auto-represión canina frente al lamentable modelo humano– confirma mi decisión definitivamente. Va a entender, sin duda, cuando escuche el ruido del disparo, y vea mi cuerpo sobre la cama bañado en sangre, y se acerque confundida, cadenciosa, considerando que todo esto no es más que un chiste de mal gusto. Un largo sueño del que finalmente voy a despertar, pensará, como su experiencia le ha demostrado que lo hago siempre. Pero esta vez no va a ser así. Ni yo ni mi cuerpo vamos a despertarnos.

Alguien, quizá alguno de mis amigos, me descubrirá un rato después que las campanadas de la iglesia de la isla hayan anunciado el nuevo día, el nuevo mes y el año nuevo. Algunas horas más tarde, tal vez, un par de camilleros se llevarán mis restos, ante la mirada perpleja de mi perra que ya nunca más volverá a verme; y que probablemente muera de tristeza algunos meses o tan sólo unos cuantos días después.

Acaricio el cuello peludo y las orejas paradas de Afrodita para desarmar su mirada muda. Sé que en estas situaciones de ocultamiento tengo que actuar despreocupadamente. Así que paso las manos por detrás de mi cabeza y las pongo entre la almohada y mi cuello. Para rematar mi actuación cruzo los pies y contemplo pensativo los libros de la biblioteca. Evito mirar la computadora dado que Afrodita tiene celos de ella, en especial desde que la bauticé Julia y empezamos a manejarnos verbalmente. Afrodita interpreta esto como una charla y se siente en desventaja, a pesar de que sabe que tiene a su favor la movilidad de la que la computadora carece.

Le ordeno a Julia que prenda el equipo de audio y el televisor. “Vagabundeo” de Gabriel, la música preferida de Afrodita, empieza a sonar suavemente. El televisor, siempre sintonizado en el Chess Channel (veinticuatro horas de ajedrez los trescientos sesenta y cinco días del año), reproduce una aburrida partida de Karpov. Le pido a Julia que reasuma mi variante secreta de la Defensa Alekhine que estaba tratando de mejorar anoche antes de acostarme. Entonces golpean a la puerta.

–¿Quién es?

–Aristóteles.

La figura esbelta del filósofo instrumental irrumpe en la habitación serenamente. Hace un brevísimo movimiento de cabeza a manera de saludo y se dirige a la biblioteca.

Afrodita, diosa al fin, no soporta la indiferencia con la que es tratada, y se acerca a Aristóteles en busca de atención. El filósofo posposmoderno, con el libro ya abierto en el lugar deseado, sostenido por la seguridad de su mano derecha y la fijación de su mirada, no se da cuenta que mi perra, sin ningún tipo de pudor ideológico, ha comenzado a lamer su mano izquierda, requiriendo mimos y caricias. Aristóteles repara en Afrodita recién después de contemplar lo leído.

«Paradiso perduto»
traduzione di Marcella Solinas

Gli scacchi sono la vita.
Bobby Fischer

Così, in questo preciso momento, alle nove in punto di una deprimente domenica di dicembre, e nel completo e perfetto possesso delle mie facoltà, ho deciso, mentre differivo il tempo reale con questa frase immaginaria, che un istante prima di mezzanotte, cioè fra quattordici ore, cinquantanove minuti e qualche secondo, mi suiciderò.

Afrodita – penso, quando la vedo svegliarsi e guardarmi infastidita e assonnata – non sa nulla della decisione che ho preso, nonostante i suoi occhi neri sembrino tradire il contrario.

Ora, mentre contemplo la sua aria di attesa, accentuata verticalmente dalla rigidità delle orecchie scure, sento la necessità di spiegarle cosa succederà. Ovviamente non credo a tutte quelle sciocchezze che certi idioti scrivono sull’assenza di facoltà linguistica negli animali. Ma per pudore preferisco tacere. So che non mi risponderà, e il sospetto che il suo silenzio sia una forma di autorepressione canina di fronte al lamentevole modello umano conferma la mia decisione in modo definitivo. Capirà senz’altro, quando sentirà il rumore dello sparo e vedrà sul letto il mio corpo grondante di sangue, si avvicinerà confusa, a passo cadenzato, pensando che tutta questa storia sia solo uno scherzo di cattivo gusto. Un lungo sonno dal quale prima o poi mi risveglierò, penserà, come l’esperienza le ha dimostrato, visto che lo faccio sempre. Ma stavolta non sarà così. Né io né il mio corpo ci sveglieremo.

Qualcuno, magari un amico, mi scoprirà poco dopo che le campane della chiesa avranno annunciato il nuovo giorno, il nuovo mese e il nuovo anno. Alcune ore più tardi, forse, due barellieri porteranno via i miei resti, sotto lo sguardo perplesso della cagna che non mi rivedrà mai più e che probabilmente morirà di tristezza qualche mese o forse solo qualche giorno dopo.

Accarezzo il collo peloso e le orecchie rigide di Afrodita per disarmare il suo sguardo muto. So che se non voglio farmi scoprire devo comportarmi con una certa spensieratezza. Quindi mi passo le mani dietro la testa e le metto tra il cuscino e il collo. Per completare la messa in scena incrocio i piedi e osservo pensieroso i libri sugli scaffali. Evito di guardare il computer perché Afrodita ne è gelosa, soprattutto da quando l’ho battezzato Julia e abbiamo iniziato a comunicare verbalmente. Afrodita interpreta questi scambi come una conversazione e si sente in svantaggio, eppure sa di avere a suo favore la mobilità di cui il computer è privo.

Ordino a Julia di accendere l’impianto audio e il televisore. Vagabundeo di Gabriel, la musica preferita di Afrodita, inizia a suonare dolcemente. Il televisore, sempre sintonizzato su Chess Channel (ventiquattro ore di scacchi trecentosessantacinque giorni l’anno), ritrasmette una noiosa partita di Karpov. Chiedo a Julia di riassumermi la variante segreta della Difesa Alekhine che stavo cercando di migliorare ieri sera prima di andare a letto. In quel momento bussano alla porta.

«Chi è?».

«Aristóteles».

La figura snella del filosofo strumentale irrompe seria nella stanza. Accenna un lievissimo movimento con la testa a mo’ di saluto e si dirige verso la libreria.

Afrodita, una dea dopo tutto, non sopporta l’indifferenza con cui è trattata, e si avvicina ad Aristóteles in cerca di attenzione. Il filosofo postpostmoderno, con il libro già aperto alla pagina desiderata, sostenuto con sicurezza dalla mano destra, e lo sguardo fisso, non si rende conto che la cagna, senza nessun tipo di pudore ideologico, ha cominciato a leccargli la mano sinistra, in attesa di coccole e carezze. Aristóteles si accorge di Afrodita solo dopo aver riflettuto su quanto ha appena letto.

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