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Il pane del patriarca, un assaggio

Raduan Nassar Autori, SUR

Pubblichiamo oggi un estratto del Pane del patriarca, il grande romanzo dello scrittore brasiliano Raduan Nassar. Buona lettura!

di Raduan Nassar
traduzione di Amina di Munno

C’era una volta un mendicante. Passando un giorno di fronte a una casa straordinariamente grande, si diresse verso le persone riunite sui gradini della scala e domandò a chi appartenesse quel palazzo. «A un re dei popoli, il più potente dell’Universo», risposero. Il mendicante si avvicinò allora ai guardiani appostati sotto il porticato dell’ingresso e chiese un’elemosina in nome di Dio. «Da dove vieni?», gli chiesero i guardiani, «non sai dunque che ti basterà presentarti al cospetto del nostro signore e padrone per ottenere tutto ciò che desideri?» Incoraggiato dalla risposta, il mendicante, benché alquanto diffidente, oltrepassò il porticato, attraversò l’ampio patio che si estendeva dopo l’entrata, fece altrettanto con il giardino ombreggiato da alberi frondosi, finché presto raggiunse l’interno del palazzo, passando di stanza in stanza, tutte grandi, dai soffitti molto alti, ma prive di qualunque arredo; senza smarrirsi fra i labirinti di quella strana dimora, si ritrovò in una vasta sala rivestita di mattonelle decorate con disegni di fiori e foglie, armonizzati gradevolmente con l’enorme vasca di alabastro situata al centro della stanza, da cui zampillava acqua fresca e dolcemente gorgogliante; un tappeto di velluto ricamato con arabeschi rivestiva parte di questa sala, dove, appoggiato su cuscini, stava seduto un anziano dalla delicata barba bianca, il volto illuminato da un sorriso benevolo. Il mendicante avanzò verso l’anziano dalla barba maestosa e lo salutò: «La pace sia con te!» «E con te la pace, la misericordia e la benedizione di Dio!», rispose l’anziano inclinando lievemente la fronte. «Cosa desideri, pover’uomo?» «Oh, mio signore e padrone, ti chiedo un’elemosina in nome di Dio, perché sono così bisognoso da cadere quasi dalla fame». «Mio Dio!», esclamò l’anziano «è possibile che io sia in una città dove un essere umano soffra la fame che dici? È intollerabile!» «Dio ti benedica e benedetta sia la tua santa madre», disse il mendicante in segno di riconoscenza verso i sentimenti dell’anziano. «Resta qui, pover’uomo, voglio dividere con te il mio pane e che tu ti serva del sale della mia tavola». E subito l’anziano batté le mani e al giovane servo che si presentò ordinò di portare l’orciolo con la bacinella. E disse poco dopo al mendicante: «Ospite amico, avvicinati e lava le mani». E lui stesso si alzò, piegò il corpo in avanti, e fece con nobiltà il gesto di sfregarsi le mani sotto l’acqua che era presumibilmente versata da un orciolo invisibile. Il mendicante non sapeva cosa pensare della scena a cui i suoi occhi assistevano e, poiché l’anziano insisteva, si avvicinò di due passi e fece finta di lavarsi anche lui le mani. «Portate l’asciugamano. In fretta!», ordinò l’anziano ai servitori «e non tardate a servirci da mangiare, ché questo pover’uomo sta quasi per svenire dalla fame». Vari servitori cominciarono ad andare e a venire, come se apparecchiassero la tavola e la imbandissero con innumerevoli piatti. Il mendicante, torcendosi dal dolore, pensò fra sé e sé che i poveri dovevano mostrare molta pazienza dinanzi ai capricci dei potenti, evitando di mostrare segni di irritazione. «Siediti al mio fianco», disse l’anziano «e cerca di onorare la mia tavola». «Ascolto e ubbidisco», disse il mendicante sedendosi sul tappeto accanto all’anziano, di fronte alla tavola immaginaria. «Signore mio ospite, la mia casa è la tua casa e la mia tavola è la tua tavola. Non fare complimenti, mangia finché avrai appetito». E poiché l’anziano lo invitava a imitarlo, il mendicante non si fece attendere, fingendo subito di toccare anche lui i presunti piatti, di infilzare bei bocconi e, muovendo la mandibola, di masticare e ingoiare il cibo inesistente. «Cosa mi dici di questo pane?», domandò l’anziano. «Questo pane è assai bianco e molto buono, in tutta la mia vita non ne ho mangiato uno migliore», rispose prontamente il mendicante, senza forzare la sua gentilezza. «Che piacere mi dai, oh signore mio ospite! Ma credo di non meritare questi elogi, altrimenti cosa dirai delle prelibatezze che sono alla tua sinistra, quell’arrosto con ripieno di riso e mandorle, quel pesce in salsa di sesamo o quelle costolette d’agnello! E cosa dirai del profumo?» «Il profumo è tanto inebriante quanto divini sono l’aspetto e il gusto». «Non posso fare a meno di riconoscere che il signore mio ospite è animato dalla massima indulgenza nei confronti della mia tavola, per questo ora proverai dalla mia stessa mano un boccone incomparabile», disse l’anziano, facendo finta di prendere con la punta delle dita un boccone dal piatto di portata e di avvicinarlo alla bocca dell’affamato, dicendo: «Devi masticare bene!» Il mendicante tese le labbra affinché il boccone gli fosse introdotto nella bocca e poi lo masticò a lungo, chiudendo persino gli occhi dal piacere per rendere più reale la sua messinscena: «Eccellente!», esclamò infine. «Oh, ospite, mio amico, da come parli si vede che sei persona di buon gusto, abituata a mangiare alla tavola dei principi e dei grandi; mangia ancora e con buon appetito». «Sono sazio, ho assaggiato ogni piatto, non desidero altro», disse il mendicante sorridendo in segno di ringraziamento, e contenendo a malapena i dolori della sua terribile fame. L’anziano allora batté le mani e quando arrivarono i servitori disse: «Potete portare il dolce». I giovani servitori si diedero un gran da fare, agitando le braccia in gesti diversi e con un certo ritmo, dopo tanti altri rapidi e precisi che significavano togliere una tovaglia e metterne un’altra, sebbene nulla fosse cambiato. Alla fine l’anziano alzò la mano e costoro si ritirarono. «Addolciamoci», disse l’anziano con qualche preziosismo, «passiamo ai dolci: questa torta adornata con noci e melagrane, dall’aria epica, sembra pronta lì per tentarci. Provane un po’, ospite amico, è in onore tuo che dovrà essere tagliata. Ecco qui lo sciroppo al muschio, forse vorrai cospargercene un po’… Mangia, mangia, non fare complimenti». E l’anziano dava l’esempio, immolando una cucchiaiata dopo l’altra, con appetito e affettazione, nella messinscena perfetta di chi assaporasse una torta vera. E il mendicante lo imitava ad arte, malgrado la fame più che mai gli contraesse lo stomaco. «Marmellate? Frutti? Ecco datteri secchi, datteri al liquore, uva passa… Che cos’è che ti piace di più? Io, personalmente, preferisco la frutta secca a quella preparata dal pasticciere, non si è perduto l’aroma primitivo. Devi provare anche questi fichi appena colti dall’albero. No? E le pesche? Forse preferisci le prugne… Ecco qui, mangia, mangia, Dio è clemente con gli uomini!» Il mendicante, che a forza di masticare per finta aveva la bocca e la lingua e le mascelle stanche, mentre lo stomaco gli gridava sempre più forte, rispose all’incessante insistenza dell’anziano: «Sono sazio, signore, non voglio nient’altro!» «È strano! A giudicare dalla fame che ti ha portato fin qui, ospite amico, mi meraviglio che tu ti sia saziato così in fretta; in ogni caso, è stato un onore dividere la mia tavola con te. Ma non abbiamo ancora bevuto…», disse l’anziano con una lieve aria di scherno sulle labbra, e poi batté le mani e a quel segnale accorsero adolescenti dalle braccia leggiadre nelle loro tuniche chiare, e fecero finta di togliere la tovaglia, di metterne un’altra e di posarvi coppe e bicchieri di ogni tipo. E l’anfitrione, con la solita messinscena, riempì le coppe, offrendone una al mendicante che l’accettò con gentile venia, portandosela subito alle labbra: «Che vino sublime!», esclamò socchiudendo di nuovo gli occhi e schioccando la lingua. E fu versato dell’altro vino nelle coppe e ne furono portati altri ipotetici, di molti tipi e sapori. Ne bevvero a turno, abbandonandosi al gioco instabile degli ebbri, dondolando lentamente la testa e il corpo, oltre a tante altre smorfie, finché non furono provate tutte le bottiglie. E dopo aver versato tanto vino nei bicchieri, l’anziano interruppe improvvisamente la falsa sbornia e, riacquistando la sua vecchia semplicità, il volto di colpo austero, parlò con sobrietà al mendicante con cui aveva immaginariamente diviso la sua tavola: «Finalmente, a forza di cercare in tutto il mondo, ho trovato un uomo che ha lo spirito forte, il carattere fermo e che, soprattutto, ha dimostrato di possedere la più grande delle virtù di cui un uomo è capace: la pazienza. Per le tue rare qualità, d’ora innanzi abiterai in questa casa così grande e con così pochi occupanti, e puoi esserne certo, non ti mancherà il nutrimento alla nostra tavola». E in quello stesso istante portarono del pane, pane sostanzioso e reale, e il mendicante, grazie alla sua pazienza, non seppe mai più cosa fosse la fame.

(Come poteva l’uomo che ha il pane sulla sua tavola, il sale per salare, la carne e il vino, raccontare la storia di un mendicante? come poteva il padre omettere così tanto, Pedro, nelle innumerevoli volte in cui aveva raccontato quella storia orientale? finiva confusamente l’incontro fra l’anziano e il mendicante, ma era con quella confusione terapeutica che il padre avrebbe dovuto narrare la storia che più ha ripetuto nei suoi sermoni; il sovrano più potente dell’Universo confessava di fatto di avere appena trovato, a forza di cercarlo, l’uomo dallo spirito forte, dal carattere saldo e che aveva, soprattutto, mostrato di possedere la virtù più rara di cui un essere umano è capace: la pazienza; prima però che fosse proferito quell’elogio, il mendicante – con la forza sorprendente e straordinaria della sua fame, aveva sferrato un violento pugno contro l’anziano dalla barba bianca e maestosa, giustificandosi di fronte alla sua indignazione: «Signore mio e alloro della mia fronte, sai bene che sono il tuo schiavo, il tuo schiavo sottomesso, l’uomo che hai accolto alla tua tavola e a cui hai offerto prelibatezze degne del più grande re e la cui sete hai infine temperato con innumerevoli vini stagionati. Che vuoi, signore, i fumi del vino mi hanno dato alla testa e non posso rispondere di ciò che ho fatto quando ho alzato la mano contro il mio benefattore».)

© Raduan Nassar, 1975. Tutti i diritti riservati.

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