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Un nuovo boom latinoamericano

Francesca Bianchi, di cui abbiamo già pubblicato una nota sulle case editrici cartoneras [1] ] ha tradotto per noi un saggio sull’argomento di Jesus Cano Reyes, dell’Universidad Computense di Madrid.

di Jesus Cano Reyes
traduzione di Francesca Bianchi

Il nuovo boom latinoamericano? L’esplosione delle case editrici cartoneras [[i]]

Questo articolo analizza il fenomeno delle case editrici cartoneras dell’America Latina descrivendone le caratteristiche e ripercorrendo rapidamente le tappe dalla nascita alla proliferazione di questo fenomeno. Successivamente vengono esposte alcune problematiche o peculiarità, come la necessità di ripensare il concetto stesso di casa editrice cartonera, definizione che riunisce progetti diversi tra loro, o l’interrogativo sull’effettiva messa in pratica dell’obiettivo di democratizzare l’accesso alla lettura.

Una delle manifestazioni più interessanti dell’industria letteraria latinoamericana agli albori del XXI secolo è l’apparizione delle case editrici denominate cartoneras, che travalicando i margini del circuito culturale ufficiale si sono trasformate in un fenomeno inarrestabile che ha dato una scossa a tutto il continente, da nord a sud. Se su una cartina dell’America Latina provassimo a unire con una linea i punti corrispondenti ai luoghi in cui è sorta una di queste case editrici indipendenti, come in uno di quei giochi delle riviste di enigmistica, otterremmo una vera e propria colonna vertebrale che va dal Messico all’Argentina e che sta diventando una rete sempre più fitta.

L’obiettivo delle case editrici cartoneras, che non hanno scopo di lucro, è la produzione artigianale di libri a un costo molto basso e la loro vendita a un prezzo altrettanto ridotto.  Il processo di elaborazione dei libri prevede per prima cosa l’acquisto del cartone dai cartoneros (persone che sopravvivono grazie alla vendita di questo prodotto), e poi, tagliato e dipinto a mano con colori sgargianti, quel cartone, con un procedimento piuttosto semplice, si trasforma nella copertina di un testo costituito da pagine stampate o fotocopiate.

In questo modo, oltre a sostenere la categoria in difficoltà dei cartoneros (il loro cartone viene comprato a un prezzo decisamente superiore a quello di mercato, in segno di solidarietà), si opera per la democratizzazione dell’accesso alla lettura poiché chiunque può acquistare un libro a un prezzo ridotto. Inoltre, a coloro che mettono in dubbio la qualità del risultato finale si potrebbe rispondere (come fanno gli stessi editori cartoneros) che è proprio l’unicità del libro artigianale (ogni cartone viene tagliato diversamente, colorato con pennellate irripetibili) a conferire a questi libri un valore aggiunto come oggetti artistici.

Queste modalità di produzione però comportano conseguenze che incidono anche sul contenuto del libro. Non sarà certo l’Ulisse di Joyce a uscire da una tipografia cartonera e non solo per le dimensioni del libro, ma per il modo elitario con cui esso si rivolge al suo pubblico. Mentre invece, come regola generale, anche se non sempre è così, i libri cartoneros danno spazio a quelle voci che hanno maggiori punti di contatto con la gente comune (il caso del poeta argentino Washington Cucurto è estremamente significativo in questo senso). Ad ogni modo, e questo principio accomuna tutti i progetti, i testi pubblicati appartengono ad autori latinoamericani (scritti in spagnolo, portoghese o guaraní), e ciò rappresenta una volontà di affermazione dell’identità culturale e letteraria del continente. Anche se il catalogo di queste case editrici viene impreziosito dalla presenza di alcuni autori famosi che cedono i propri diritti (gli argentini César Aira e Ricardo Piglia, il peruviano Santiago Roncagliolo o il messicano Mario Bellatín, tra gli altri), la volontà fondamentale è di mostrare il volto nascosto della letteratura latinoamericana, quegli autori rimasti fuori dal flusso opprimente dell’istituzione letteraria che li emargina dal proprio circuito.

Pertanto, riassumendo, si potrebbe affermare che si tratta di un progetto di dimensioni popolari che si sviluppa su due linee parallele: da una parte l’impegno sociale (far sì che tutti abbiano accesso alla letteratura indipendentemente dall’estrazione sociale e destinare gli scarsi proventi delle vendite alle classi svantaggiate) e dall’altra l’innovazione letteraria (dare spazio alla letteratura popolare e agli autori che vengono emarginati dai circuiti ufficiali).

Dopo aver descritto il fenomeno, è inevitabile un parallelismo con la letteratura del cordel[[ii]], manifestazione popolare nata in Spagna alla fine del XV secolo e sopravvissuta fino agli inizi del XX. Come prima cosa, sia nell’uno che nell’altro caso sono le classi svantaggiate ad avere un ruolo attivo: nella letteratura del cordel sono persone cieche a vendere questi libretti o addirittura a crearli; nelle case editrici di cui ci stiamo occupando sono i cartoneros a fornire la materia prima e a percepire i proventi delle vendite. In secondo luogo il prodotto è molto simile: in entrambi i casi si tratta di un quadernetto o di un piccolo libro fabbricato artigianalmente. Inoltre il prezzo ridotto rende questi testi accessibili al grande pubblico. Da ultimo, in entrambi i casi il contenuto circola nei canali della letteratura popolare [[iii]] (e forse si potrebbe fare un discorso simile per quanto riguarda la qualità estetica).

Per quanto riguarda il numero delle case editrici cartoneras, sembra azzardato indicare una cifra tenendo conto della velocità alla quale si diffonde l’eco del modello originale che continua a dar vita, in maniera costante, a piccole case editrici (è probabile che in questo momento ne stiano nascendo altre). Cercando su internet (il mondo dei blog e dei social network come Facebook è l’ambiente in cui si muovono queste case editrici, con links e rimandi solidali le une alle altre) si trovano riferimenti a circa 30 case editrici sparse in 13 diversi paesi[[iv]]. L’Argentina, il Messico e il Paraguay sono i paesi  dove si registra una maggiore presenza, con quattro o cinque cartoneras ciascuno, ma ce ne sono anche in Cile, Bolivia, Perù, Uruguay, Brasile, Colombia, Ecuador, El Salvador, Portorico e nella Repubblica Dominicana. C’è poi un esempio che rappresenta un’interessante eccezione: la casa editrice Poesia con C, nata in Svezia a immagine e somiglianza delle cartoneras latinoamericane, che dimostra ancora una volta che, in certe occasioni, i modelli culturali del continente riescono ad arrivare in Europa invertendo il tradizionale percorso unidirezionale che impone la circolazione dei modelli in senso opposto (anche se il caso svedese ha caratteristiche proprie, perché la Svezia è stato l’unico paese europeo ad aprire le porte all’immigrazione latinoamericana durante i golpe militari, accogliendo soprattutto un numero consistente di esuli cileni).

Per capire le cause di questo fenomeno è necessario elencare qualche dato storico che lo contestualizzi. Bisogna parlare innanzitutto di Eloísa Cartonera, la prima di tutte le case editrici cartoneras, nata a Buenos Aires nel 2003. A causa della crisi economica e in seguito al famoso corralito la situazione in Argentina si fa disastrosa. L’economia affonda, i salari si assottigliano, la disoccupazione sale al 18%. Questa situazione obbliga decine di migliaia di persone a cercare di sopravvivere riciclando il cartone, con un infimo aiuto da parte dello Stato e tra molte difficoltà per tirare avanti.

Come recita un detto della saggezza popolare, in tempo di crisi si affina l’ingegno. Il giovane poeta Washington Cucurto e gli artisti Javier Barilaro e Fernanda Laguna capiscono la situazione e creano nel quartiere La Boca [[v]] la casa editrice Eloísa Cartonera, un piccolo laboratorio in cui iniziano a fabbricare libri in modo artigianale. Il cartone viene pagato un prezzo cinque volte più alto di quello di mercato e i cartoneros ricevono una paga anche per tagliarlo e colorarlo e così, grazie a questa collaborazione, il fine sociale del progetto diventa realtà.

Dopo un anno quest’idea viene replicata in Perù dove nasce Sarita Cartonera (anche se l’idea non è passata direttamente da Buenos Aires a Lima, perché è in Cile che una delle fondatrici ha scoperto i libri cartoneros). Se Eloísa era il nome di una modella boliviana realmente esistita che aveva conquistato il cuore di uno dei pionieri della prima casa editrice cartonera, Sarita prende il nome da una delle sante popolari del Perù, Sarita Colonia, la santa dei detenuti e delle prostitute, protettrice di tutte le classi popolari (e ciò ribadisce la posizione marginale rispetto alle istituzioni rivendicata dalle cartoneras).

Animita Cartonera, con sede a Santiago del Cile, nasce nel 2005. Ha lo stesso cognome delle sue due progenitrici e il nome, Animita, si riferisce alle piccole casette situate sul ciglio delle strade dove si è verificato un incidente mortale; secondo la credenza popolare in quelle casette trovano rifugio le anime in seguito alla morte del corpo. Di nuovo si sovverte la gerarchia e sono le voci popolari a imporre le proprie scelte, che vengono messe in primo piano.

L’eco si amplifica sempre di più e arriva in Bolivia, dove inizialmente sorgono due cartoneras: Mandrágora Cartonera a Cochabamba nel 2005 e Yerba Mala Cartonera, nella città di El Alto nel 2006. Il fenomeno qui risulta ancora più sorprendente se si considera che il mercato editoriale boliviano è uno dei più poveri dell’America Latina (un libro può arrivare a costare un quinto di uno stipendio medio).

Potremmo proseguire  il nostro itinerario ripercorrendo ogni passo del “fantasma cartonero” che si aggira per tutta l’America Latina [[vi]]. Nel 2007 nasce in Brasile la prima cartonera lusofona, la Dulcineia Catadora (il nome è un omaggio a una cartonera realmente esistita e all’amore impossibile di Don Chisciotte). Nello stesso anno il Paraguay dà alla luce la sua prima cartonera, Yiyi Jambo, anch’essa non ispanofona, che difende il portunhol selvagem, una lingua artificiale che mescola spagnolo, portoghese, guaraní e altre lingue indigene della zona. Il più importante rappresentante di questo nuovo linguaggio è il poeta Douglas Diegues che, inoltre, lavora attivamente nella cartonera. Si tratta di una lingua ludica e caotica nella quale si fondono elementi della cultura popolare e concetti intellettuali.

Continuando su questa linea, potremmo citare praticamente tutte le cartoneras esistenti. Sono riuscito a localizzarne 30 (31 con quella svedese), ma sono sicuro che devono essercene molte altre. Solamente per citarle, in Argentina troviamo oltre a Eloísa Cartonera, Barcoborracho Ediciones (anche questa a Buenos Aires), Cartonerita Solar (Neuquén), Ñasaindy Cartonera (Formosa) e Textos de Cartón (Córdoba); in Cile abbiamo, oltre ad Animita Cartonera, la Cizarra Cartonera (sempre a Santiago), e Canita Cartonera (Iquique); in Perú ce ne sono almeno due: Sarita Cartonera (Lima) e Otra Cosa Cartonera (Huaraz); in Paraguay ne esistono quattro: Yiyi Jambo, Felicita Cartonera, Mamacha Cartonera e Mburukujarami Cartonera (tutte ad Asunción); in Brasile ne sono state trovate due: Dulcineia Catadora (São Paulo) e Katarina Kartonera (Florianópolis); in Bolivia tre: Mandrágora Cartonera (Cochabamba), Yerba Mala Cartonera (El Alto) e Nicotina Cartonera (Santa Cruz de la Sierra); in Messico addirittura cinque: La Cartonera (Cuernavaca), Regia Cartonera (Monterrey), La Rueda Cartonera (Guadalajara),  Santa Muerte Cartonera e La Ratona Cartonera (entrambe del DF); in Ecuador esiste la Matapalo Cartonera (Riobamba); ne El Salvador, La Cabuda Cartonera (San Salvador); in Colombia, Patasola Cartonera (Bogotá); in Uruguay, La Propia Cartonera (Montevideo); e le più recenti, nella Repubblica Dominicana, LuzAzul (Santo Domingo), e nel Portorico, Atarraya Cartonera (San Juan).

Tuttavia, secondo quanto detto fin’ora e nonostante il fatto che tutte le cartoneras sembrino condividere  il proposito evidente di rappresentare le varie sedi di uno stesso progetto, se si analizza in modo più approfondito questo fenomeno, incontriamo  alcuni problemi di definizione che fanno pensare che forse il concetto di casa editrice cartonera non è così solido come sembra e riunisce sotto la stessa etichetta gruppi che, pur avendo caratteristiche comuni (l’uso del cartone per la fabbricazione dei libri), sono e cercano cose differenti. Johana Kunin, un’antropologa argentina che ha condotto un’approfondita ricerca sul campo visitando le cartoneras di gran parte del continente, insiste sul fatto che non si deve pensare a esperienze che copiano l’originale e che si ripetono nella stessa maniera o con piccole varianti, ma a singoli progetti, ognuno con una propria identità e con risultati ben diversi in funzione delle proprie aspirazioni.

Per fare solo un esempio, non tutte lavorano con i cartoneros, caratteristica fondante in Argentina e Uruguay ma non in altri paesi. In  Messico sono gli stessi editori a raccogliere il cartone nelle strade e sono sempre loro a fabbricare i libri. Animita Cartonera lavora con giovani svantaggiati (come Dulcineia Catadora) e con casalinghe. Mandrágora Cartonera include nel suo progetto bambini sordi, Canita Cartonera una ventina di detenuti.

In questo senso il fine sociale, esplicito in alcune (come nella pioniera Eloísa), si fa sotterraneo in altre, e in altre ancora non esiste altro scopo se non quello propriamente estetico e letterario. Alcune sono più vicine all’impostazione delle ONG, altre intraprendono un cammino esclusivamente letterario o estetico. Per queste ragioni, in certi casi viene meno la loro identificazione come case editrici. Lucía Rosa, coordinatrice di Dulcineia Catadora, alla richiesta di spiegarne le ragioni e gli obiettivi, ha affermato:

“Non siamo una casa editrice. Siamo un collettivo di artisti. Le nostre azioni seguono il pensiero del filosofo Jacques Rancière o di critici come Nicolas Bourriaud. Abbiamo alcuni concetti chiave come baratto, partecipazione, rifiuto di rapporti gerarchici, suddivisione del sensibile, estetica relazionale. I contenuti vengono costruiti a partire da questo lavoro collettivo”

Le dimensioni e la diffusione di queste case editrici variano enormemente a seconda dei casi. Eloísa ha pubblicato più di 120 opere, promuove il concorso Nuevo Sudaca Border, organizza laboratori, coinvolge moltissime persone. In modo del tutto opposto la messicana Santa Muerte Cartonera (per non parlare di altre più recenti) viene portata avanti soltanto da due persone e ha pubblicato una dozzina di raccolte poetiche.

Altro elemento che impedisce di pensare le varie cartoneras come una rete che unisce progetti simili dislocati in aree diverse è la comunicazione alquanto precaria tra di esse. Soltanto ultimamente si sta stabilendo una comunicazione più fluida grazie alla posta elettronica, tuttavia alcune restano ancora isolate e sconosciute. Soltanto di recente si sta iniziando a promuovere la pubblicazione di libri che coinvolgono diverse case editrici cartoneras, come ha fatto La Cartonera messicana con la poesia inedita di Mario Santiago, Respiración del laberinto.

In questo senso il congresso celebrato nell’ottobre 2009 presso l’Università del Wisconsin ha rappresentato una forte spinta; in quell’occasione molte cartoneras si sono potute conoscere di persona. Fatto estremamente positivo e che dimostra l’interesse accademico che il fenomeno sta suscitando; tutto ciò risulta alquanto paradossale se si pensa che sono ancora una volta gli Stati Uniti, volenti o nolenti, ad attirare forze che promuovono l’identità e l’indipendenza latinoamericane (a riprova di questo, un aspetto su cui non ci eravamo soffermati è che i prezzi dei libri cartoneros, accessibili in America Latina, diventano esorbitanti se il compratore proviene dall’Europa o dagli Stati Uniti).

Jaime Vargas Luna, membro di Sarita Cartonera, concorda pienamente con l’idea della ramificazione e reinterpretazione dell’essenza originaria della prima cartonera:

“Come risulta ormai evidente penso che, fortunatamente, non ci sia nessun movimento cartonero e che il fenomeno visto come qualcosa di articolato, con principi comuni e una logica condivisa pienamente (o anche non del tutto) nelle diverse città latinoamericane, sia più una proiezione o un desiderio esterno che una realtà. Eloísa Cartonera imposta la propria ricerca che è diversa da quella di Sarita Cartonera, che a sua volta è diversa da quella di Yerba Mala, La Cartonera, Textos de Cartón o di tutte le altre. E fortunatamente è stato così fin dall’inizio”

Altro aspetto da non sottovalutare è l’analisi dell’obiettivo (praticamente comune) della democratizzazione della lettura, capire se e come è stato raggiunto. Johana Kunin segnala che «gli acquirenti sono principalmente studenti universitari e professori, scrittori, giornalisti ed altri liberi professionisti di classe media, ovvero, persone che normalmente hanno accesso ai libri tradizionali». Jaime Vargas Luna in linea con questa osservazione dichiara che«il ruolo di trasformatore sociale delle case editrici cartoneras è più simbolico che strutturale […] Più che democratizzare la lettura o integrare in un lavoro più degno e solidale i settori tradizionalmente esclusi, queste case editrici sembrano principalmente evidenziare queste necessità». Ci si dovrebbe poi chiedere, afferma Kunin, in che misura il successo delle case editrici cartoneras abbia a che fare con una moda, una voglia di partecipare a un movimento alternativo o underground da parte di un certo settore della classe media interessato più al fenomeno in sé che ai testi veri e propri.

Ad ogni modo si può usare il termine alchimia, nel senso di trasformazione meravigliosa ed incredibile, per riferirci alle motivazioni e al modo di lavorare di queste case editrici che, trasformando il cartone (la spazzatura) in libri, portano avanti un mutamento che riguarda (almeno nelle intenzioni) settori molto ampi: la letteratura, la cultura, la collettività. Come propone orgoglioso Washington Cucurto: «Che cosa ci hanno dato? Miseria, povertà. Che cosa gli abbiamo restituito? Libri. E in questo modo diamo l’opportunità di conoscere giovani autori, per costruire un percorso diverso, per aprire altre porte, percorrere altre strade». Per concluderee mi sembrano utili le parole del poeta cileno Raúl Zurita:

“Le edizioni cartoneras sono un’invenzione geniale, non soltanto per ciò che sono concretamente ma per quello che rappresentano. C’è qualcosa di profondamente democratico nella loro manifattura, in tutto ciò che le compone: la carta, il cartone, la copertina unica, c’è qualcosa di ghandiano, una risposta all’isteria tecnologica e un ritorno alla manualità come se, oltre ai libri, Eloísa Cartonera proponesse uno stile di vita. Un libro assume un’altra dimensione, il supporto non passa mai del tutto in secondo piano perché dietro a quello che leggi senti scorrere la vita, lo scenario dell’esistenza, quello che i cartoneros raccolgono nelle strade di notte […] quando le grandi tipografie saranno dei dinosauri obsoleti e Anagrama, Mondadori, Planeta saranno scomparse, resisteranno soltanto i libri elettronici e i libri fatti a mano, sopravviveranno il Kindle e le edizioni cartoneras.

NOTE

[[i]] Una prima bozza di questo testo venne presentata durante il Congresso Internazionale “Letteratura popolare e di massa nell’ambito ispanico: Dall’oralità al best-seller (XX-XXI sec.)”, tenutosi presso CSIC di Madrid nei giorni 23, 24 e 25 febbraio 2010. In quell’occasione il titolo era “Libri che spuntano dalla spazzatura: l’alchimia dei rifiuti nelle case editrici cartoneras latinoamericane”.

[[ii]] Con il termine cordel, cordicella, si fa riferimento a un tipo di pubblicazioni diffusosi a partire dalla seconda metà del ‘400 in Spagna e in Portogallo, e più tardi in Messico e in altri paesi latinoamericani come il Brasile, dove sopravvive ancora oggi. Il termine cordel si riferisce alla modalità di esposizione di questi libretti di poche pagine che venivano piegati e appesi con delle piccole corde alle bancarelle dove venivano venduti. [NdT] [[iii]] Le diverse concezioni di letteratura popolare ne rendono necessaria una definizione. In questo caso, il termine viene utilizzato in riferimento a un tipo di opere i cui referenti culturali e linguistici si avvicinano principalmente a quelli conosciuti dal popolo. Ciò nonostante, sono cosciente del fatto che il termine “letteratura popolare” è ambiguo (o polisemico) e può generare confusione.

[[iv]] Anche se in alcuni casi il catalogo non è completo e risulta complicato sapere quali di esse lavorino in maniera attiva e quali siano i progetti che hanno vita breve o limitata.

[[v]] Inizialmente i locali della casa editrice si trovavano nel quartiere Almagro, nel 2004 Eloísa Cartonera si è trasferita nel quartiere La Boca [NdT].

[[vi]] Prendo in prestito il concetto di “fantasma cartonero” di Ksenija Bilbija che allude al fantasma che si aggirava per l’Europa secondo Marx ed Engels