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Fogwill: ai posti di combattimento / 2

Martín Kohan Autori, Rodolfo Fogwill, SUR

Ecco la seconda parte di una lunga intervista di Martín Kohan, realizzata il 25 marzo 2006, a Rodolfo Fogwill, autore di Scene da una battaglia sotterranea. Martín Kohan è uno scrittore argentino di cui è stato pubblicato in Italia il romanzo Fuori i secondi (Einaudi, 2008). Qui potete leggere la prima parte dell’intervista.

Intervista di Martín Kohan a Rodolfo Fogwill (2° parte)
Traduzione di Violetta Colonnelli

[Leggi qui la prima parte dell’intervista]

C’è un aneddoto che mi è sembrato significativo: quando hanno letto a Borges un tuo racconto, saltando le parti troppo forti…
Era Enrique Pezzoni. Lo ha fatto Pezzoni la prima volta, e Josefina Delgado la seconda.

Borges ha elogiato il racconto, dicendo che sei un maestro dell’ellissi.
Tu pensa, dopo tanto tempo, due anni fa ho riletto El Aleph e mi sono reso conto di quanto è più riuscito rispetto alla mia versione.

Help a él.
Chi legge bene El Aleph, con meno parole e un’esperienza più breve, registra più cose rispetto a chi legge Help a él. Perché alla fine con tanta cacca, polvere, sangue, esplosioni e droga, con tutto ciò, si perde l’essenza delle gelosie, la morte della donna. Le variabili antropologiche fondamentali della narrazione, diciamo. Si perdono. Perché alla fine la coprofagia, la coprolalia, la drogologia in Help a él, quelle sì che sono d’epoca; molto più d’epoca della guerra delle Malvine. Perché nei polizieschi non ne vogliamo più sapere dell’impermeabile bianco, né della Colt 38. Ci annoiano. Quando vedi, per esempio, la Città assente di Piglia, che inizia con quel Junior, con un impermeabile bianco, allacciato, che cerca un foglio, con la soluzione di qualcosa, beh…

Ad ogni modo, con quel racconto fai il classico gesto parricida. In letteratura si parla moltissimo di parricidio. Del fratricidio, meno; del figlicidio ancora di meno, quasi non se ne parla. Perché non pensare che ci siano fratricidi e figlicidi anche in letteratura?
No, fratricidi non ce ne sono perché non sono necessari. Io per esempio potrei considerare Sergio Bizzio un fratello, perché anche se non siamo della stessa generazione, abbiamo cominciato nello stesso momento. Quando Sergio ha pubblicato Rabbia, che è un racconto migliore di quello che avrei potuto scrivere io in quegli anni, ha commesso, senza saperlo, un fratricidio; mi ha ucciso, mi ha rubato il posto. Il fratricidio è parte del processo naturale della letteratura: fregare i propri pari. Il parricidio è un’operazione retorica della strategia. È la vecchia scena tattica del tipo che arriva in un paese, va al bar e aspetta che faccia la sua apparizione il più cattivo del villaggio, per mancargli di rispetto. È un trucco molto usato, da politicante. Se ti viene bene, hai vinto. Se non ti riesce, vai in un altro paese a sfidare un altro, con quello che avanza del corpo.

Tu dici che funziona solo il fratricidio.
Certo. Per esempio, i miei fratelli. Chi sarebbero i miei fratelli? Per questione generazionale: Héctor Viel Temperley, Leónidas Lamborghini, César Aira, Sergio Bizzio, e non so… qualcun altro. Se fossi capace di scrivere un grande libro di poesie che tolga di mezzo la memoria di Viel Temperley, commetterei un bellissimo fratricidio.

E il figlicidio?
Beh, se scrivessi cosa penso di Il passato di Alan Pauls, commetterei un figlicidio. Perché Alan non è un pari per me, è quasi un figlio, perché l’ho conosciuto a diciotto anni, quando lui era alunno di Piglia, lavorava con me nel mio ufficio… Una volta disse a mio figlio che io ero come un padre per lui. Se io scrivessi – già l’ho scritto, mentalmente – Il passato letto da dentro…

Che vuol dire “letto da dentro”?
Io sono il personaggio di quel romanzo. Il primo uomo che ha usato scarpe nautiche, penna Mont Blanc, Dupont. E poi sono l’asse, perché sono il tipo che poi fa comparire il quadro di Ritse. Io dico, lui commette un cattivo parricidio, perché alla fine fa la stessa operazione di Borges: i mocassini, la modernità, la droga, questo, quest’altro, lo yacht, la regata Rio de Janeiro-Città del Capo. Tutto questo. E non dice in nessun momento che io scrivo meglio di lui. Sarebbe la prima cosa che dovrebbe dire. Io lo dico, per esempio, che lui sa il francese molto meglio di me. Punto. Lui ha una formazione accademica migliore della mia, che è inesistente. Questo lo riconosco. Però continuo a dire che io scrivo molto meglio di lui. Che se andiamo a un corso di scrittura, l’alunno più bravo sarò sempre io, perché se ci danno un esercizio, io una pagina gliela faccio in tre minuti, mentre lui comincia a pensare con che strategia affrontare – e sottolineo affrontare – il testo. Capisci?

Tu dici “Se io dicessi…”, ma lo stai dicendo. Credi che io non lo scriverò.
No, no, tu puoi scrivere quello che vuoi. Sul figlicidio, ora mi è venuta in mente un’altra cosa, una sorta di amore filiale. Credo di patire più di amore filiale, sì, perché la cosa che più mi emoziona è incontrare tipi nuovi, giovani, che sono molto bravi. Mi succede soprattutto con la poesia, e non con la narrativa. Mi succede in poesia.

Parlando di poesia, tu sei intervenuto su Martín Rodríguez o Alejandro López.
Alejandro López secondo me è un fenomeno. Semplicemente un fenomeno. Maternidad Sardá di Martín Rodríguez è un capolavoro. Mi ha tenuto in sospeso una settimana; un libro piccolino. E non mi succede con un buon narratore.

E il posto che assegnano a te? A volte ho l’impressione che stiano cominciando a copiare i tuoi gesti eclatanti, scandalosi.
Va bene. Lasciali fare, gli verranno malissimo.

Capisci cosa intendo? In un certo senso, è più facile riprendere la tua gestualità di scrittore, che individuare il motivo del recupero della tua letteratura, della tua scrittura.
Credo che per uno che abbia una borsa di studio a Harvard, o alla Columbia, sarebbe molto originale scrivere qualcosa su tre testi: Los pichiciegos – visto che ne stiamo parlando –, Plop di Rafael Pinedo, e La ilusión monarca di Marcelo Cohen. In Pinedo ci sono due sessi, ma anche La ilusión monarca è un romanzo omosessuale. Los pichiciegos è omosessuale, l’unica donna che appare è la Vergine Maria, e appare come… un’apparizione appunto. E c’è da sopportarlo un romanzo dalla sessualità intensa, no? Senza presenza di donne, senza testimoni femminili. Hai notato che Maria appare come le ragazze desaparecidas?

Si, e con racconti da aparecida. È il momento dei racconti di aparecidos. In quel momento fai apparire Manuel Puig.
Sì. E Borges; Acevedo era Borges. Per me era un paradigma. Pensa se potessi prendere il dieci per cento di Borges, e il dieci per cento di Puig. Con quel venti per cento potrei creare un’industria.

Continueresti a riflettere sulla tua letteratura, oppure adesso pensi a ciò che scrivi in relazione ideologica con il presente della politica argentina?
Guarda un po’ la vecchiaia. Sto cercando di finire un romanzo da tempo, e mi fermo sempre per ragioni di poesia e non mi ricordo niente. È un romanzo postmoderno. È ancorato a una realtà strana, è legato alla realtà degli sviluppi immobiliari. È una storia ambientata nelle Terme di Flores. Visto che Flores è un quartiere come La Boca, o San Telmo, che acquisiscono sempre di più un loro significato nel mondo, un signore che ha delle terre a Ezeiza trova dell’acqua calda, salata, che sta lì sotto, a quattrocento metri di profondità, dice di aver messo una pompa a quattromila metri e fa delle terme. Fa La Salada, ma di super élite. Fa una spa, e la chiama Flores, come il quartiere Flores, dove è nato Aira.

L’hai nominato tu, ma immediatamente viene in mente Aira.
No, no, ma il romanzo inizia in via Bonorino, quando il tipo sta in un taxi a in via Bonorino. Ma è una cosa completamente postmoderna. Però ci sono i temi della disorganizzazione sociale, il terrore, l’isolamento dei ricchi. Senza nuclei tematici politici che abbiano un referente mediatico. Non so, credo che quel ciclo del realismo apparente radicato nella politica argentina sia morto.

Perché, come sarebbe esteticamente ciò che stai scrivendo ora?
Beh, sarebbe debitore di La Luz argentina di Aira.

Tu hai nominato La luz argentina quando avevi detto di voler scrivere il romanzo del menemismo. Hai detto: “Io vorrei scrivere sul menemismo ciò che La luz argentina è stato agli inizi degli ’80”.
Ah sì?

Sì, sì
Guarda un po’, si vede che ho quel trauma. Che vuoi che ti dica? Qualcosa sulla tua domanda iniziale. Sono tornato a leggere, dopo trentatré anni, Hombres de a caballo. Spero che a qualcuno succeda con Los pichiciegos quello che è successo a me con Hombres de a caballo. È attuale… se si accetta quel modello, è ancora attuale. Ed è un lavoro titanico. È un Vargas Llosa. È un titano, Viñas.

© Martín Kohan, 2006. Tutti i diritti riservati.


[i] La Laguna La Salada, Bolivia.

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