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Il luogo senza confini di José Donoso

José Donoso Autori, José Donoso, SUR

Oggi lo scrittore cileno José Donoso avrebbe compiuto 92 anni. Lo ricordiamo pubblicando un estratto del suo romanzo Il luogo senza confini, di cui abbiamo già parlato qui. Buona lettura!

di José Donoso
traduzione di Francesca Lazzarato

…Ma una volta non ho tremato. Il corpo nudo della Giapponese Grande, caldo, ah, se ce l’avessi ora quel calore, se lo avesse la Giapponesina per non aver bisogno del calore altrui, il corpo nudo e disgustoso ma caldo della Giapponese Grande che mi avvolgeva, le sue mani sul mio collo e io che guardavo quelle cose che le crescevano sul petto come se non avessi saputo che esistevano, pesanti e con le punte rosse alla luce della lampada che non avevamo spento perché loro potessero guardarci dalla finestra. Avevano preteso almeno quella prova. E la casa sarebbe stata nostra. Mia. E io in mezzo a quella carne, e la bocca di quella donna ubriaca che cercava la mia come un maiale che fruga in un pantano, anche se l’accordo era che non ci saremmo baciati perché mi faceva schifo, ma lei mi cercava la bocca, non so, nemmeno oggi so perché la Giapponese Grande avesse tanta fame della mia bocca e la cercasse, e io non volevo e gliela negavo stringendola, mordendole le labbra ansiose, nascondendo la faccia nel cuscino, qualunque cosa perché avevo paura, nel vedere che la Giapponese stava andando oltre il nostro patto e che qualcosa stava germogliando e io non… Avrei voluto non provare disgusto per la carne di quella donna, mentre mi ricordava che la casa sarebbe stata mia, con questa commedia così facile ma così terribile, che non ci impegnava a niente, ma… e don Alejo che ci guardava. Potevamo prenderci gioco di lui? La cosa mi faceva tremare. Potevamo? Non saremmo morti in qualche modo, se ci fossimo riusciti? E lei mi ha fatto bere un altro bicchiere di vino così ti passa la paura e bevendolo ne ho versato la metà sul cuscino vicino alla testa della Giapponese la cui carne mi esigeva, e un altro bicchiere ancora. Dopo non ha detto quasi nulla. Aveva gli occhi chiusi e il rimmel che colava e la faccia e tutto il corpo sudati, il ventre bagnato soprattutto, incollato al mio, e io trovavo che tutto questo era un di più, non è necessario, mi stanno tradendo, ah, sentivo chiaramente che era un tradimento per catturarmi e chiudermi per sempre in una cella, perché la Giapponese Grande stava andando molto oltre la scommessa, con quell’odore, come se un brodo stregato bollisse sul fuoco che ardeva sotto la vegetazione al vertice delle sue gambe, e quell’odore si attaccava al mio corpo, si incollava a me, l’odore di quel corpo dalle gallerie e dalle caverne inimmaginabili, inintelligibili, macchiate da altri liquidi, popolate da altre grida e altre bestie, e questo ardore così diverso dal mio, dal mio corpo di bambola finta, senza profondità, tutto all’esterno, inutile, pendulo, mentre lei mi accarezzava con la bocca e i palmi umidi, con gli occhi terribilmente chiusi perché non sapessi cosa succedeva dentro, aperta, tutto all’interno, passaggi e condotti e caverne e io lì, morto tra le sue braccia, nella sua mano che mi stimola perché dia un segno di vita, sì, ce la puoi fare, e io niente, e sul comodino vicino al letto il lieve sibilo della lampada quasi accanto al mio orecchio, come un lungo bisbiglio senza senso. E le sue mani molli mi frugano, e mi dice mi piaci, mi dice lo voglio, e ricomincia a sussurrare al mio orecchio, come la lampada, e sento le risate alla finestra: don Alejo che mi guarda, ci guarda, noi che ci contorciamo, avvinghiati e sudati per compiacerlo perché ci ha ordinato di farlo per il suo divertimento e solo così ci darà questa casa di adobe, di travi rose dai topi, e loro, quelli che guardano, don Alejo e gli altri che ridono di noi, non sentono quello che la Giapponese Grande mi dice pianissimo all’orecchio, tesoro, è bello, non avere paura, non stiamo facendo niente, è solo una commedia perché loro ci credano e non preoccuparti tesoro mio e la sua voce è calda come un abbraccio e il suo alito che sa di vino mi avvolge, ma ora importa meno perché per quanto la sua mano mi tocchi non ho bisogno di fare niente, è per la casa, solo per la casa. Il suo sorriso incollato al cuscino, disegnato sul lenzuolo. A lei piace fare quello che sta facendo tra le lenzuola, con me. Le piace che io non possa farlo: con nessuna, dimmi di sì, Manuelita bella, dimmi che mai con nessuna donna prima di me, che sono la prima, l’unica, e così potrò godere, bella mia, anima mia, Manuelita, godrò, mi piacciono il tuo corpo spaventato e tutte le tue paure e vorrei farle a brandelli, no, non temere Manuela, non farle a brandelli ma allontanarle dolcemente per arrivare a una parte di me che lei, povera Giapponese Grande, credeva esistesse ma che non esiste e non è mai esistita, e non è mai esistita anche se mi tocchi e mi accarezzi e sussurri… non esiste, stupida Giapponese, capisci, non esiste. No tesoro, Manuela, come se fossimo due donne, guarda, così, vedi, le gambe allacciate, il sesso nel sesso due sessi uguali, Manuela, non avere paura, il movimento delle natiche, dei fianchi, la bocca sulla bocca, come due donne quando i signori in casa della Tette di Legno pagano le puttane perché facciano le pose plastiche… no, no, tu sei la donna, Manuela, e io sono il maschio, vedi come ti abbasso le mutande e ti tolgo il reggiseno perché i tuoi seni restino nudi e io possa godermeli, sì che ce li hai Manuela, non piangere, sì che ce li hai i seni, piccolini come quelli di una bambina, ma li hai e per questo ti amo. Parli e mi accarezzi e a un tratto mi dici, adesso sì Manuelita del mio cuore, vedi che puoi… Io sognavo i miei seni accarezzati, e qualcosa succedeva mentre lei mi diceva sì, tesoro, ti sto facendo godere perché io sono il maschio e tu la femmina, ti voglio perché sei tutto, e sento il suo calore che mi inghiotte, me, un io che non esiste, e lei mi guida ridendo con me perché rido anch’io, morti dalle risate tutti e due per coprire la vergogna dell’eccitazione, e la mia lingua nella sua bocca e cosa importa che ci stiano guardando dalla finestra, meglio così, più bello, finché sussulto e resto mutilato, dissanguandomi dentro di lei mentre grida e mi stringe e poi cade, tesoro bello, che cosa stupenda, era tanto tempo, tanto, e le parole si dissolvono e gli odori evaporano e le rotondità si ripiegano, resto io che dormo sopra di lei, e lei mi dice all’orecchio, come nel dormiveglia: cara, caro, le parole confuse col cuscino. Non raccontiamolo a nessuno, quello che mi è successo è una vergogna, donna, non fare la stupida, Manuela, ti sei guadagnata la casa come una regina, hai guadagnato la casa per me, per tutte e due. Ma giurami che mai più, Giapponese, per Dio che schifo, giuramelo, socie, certo, ma questo no, mai più perché non smetta di esistere quel tu, quell’io di cui ora ho tanto bisogno, e che vorrei chiamare da questo angolo del pollaio mentre li vedo ballare lì nel salone…

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