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La grande finestra dei sogni

redazione Rodolfo Fogwill, SUR

È stato pubblicato in aprile un libro inedito postumo di Fogwill: La gran ventana de los sueños. Citas de mis diarios de sueño. La casa editrice Alfaguara inizia così la pubblicazione di tutta l’opera narrativa dello scrittore argentino. Pubblichiamo alcuni brani già comparsi sulla rivista «Ñ», che ringraziamo.

di Fogwill

Traduzione di Raffaella Accroglianò

“Ho appena visto Kirchner sparire dietro una porta”

Certo che vivo. Questo però è provvisorio. Permanente è ciò che non vivo. Si dice: “Ah… se uno potesse…”. Invece no. Non potesse, uno. E anche se marcisse coniugando come si deve, uno non potrebbe mai. (…) Mmmmmmm di muto. La mutazione dell’anima, più una bella scrittura e si passa qualcos’altro. Per esempio, al racconto.

C’era una volta che sognai qualcosa e lo dimenticai. Questo sogno e le sue non immagini mi seguono fino a oggi, e sono passati quasi trentanove anni. Questo lo si chiama vivere, o aver vissuto, in attesa di un oblio. Adesso che l’oblio rosicchia i neuroni è naturale, ma ricordo ancora che quella volta, quasi quarant’anni fa, sognai e dimenticai, e da allora penso che il grosso della memoria sia formato da cose nere fatte di puro oblio.

La memoria è piena di oblio, piena di oblio, vuota di sé, piena di oblio, è quasi fatta di puro oblio. Uno finisce per essere fatto anche lui di puro oblio. Per qualche tempo mi proposi di ricordarmi i sogni, ovvero, di dimenticarne il minor numero possibile. Novellino, in un primo momento immaginai che per fissarli nella memoria bastasse prenderli sul serio, ricordarli al risveglio ed evocarli un paio di volte, subito dopo il risveglio. Per un certo tempo. Sembra che il sogno accada in uno spazio (sarà la mente, la coscienza, l’interiorità…?) nel quale finiranno i sogni successivi per spostarli da un’altra parte. Il nulla oscuro.

Sogno del 6 febbraio

È l’inizio dell’anno scolastico e vado in una scuola di Buenos Aires. A un incrocio semino alcuni semi di marihuana nel buco di un albero. Dopo mi portano con una comitiva ufficiale in una scuola povera della periferia e al ritorno racconto il viaggio e passo dal mio incrocio. La pianta è cresciuta e fiorisce. Non mi azzardo a raccoglierla, ma mentre mi allontano vedo che un “hippoide” si avvicina e la riconosce. Forse la ruba.

Disattenzione

Faccio seguito a un invito del Presidente della Repubblica che, secondo la segretaria che mi ha convocato per telefono, vuole conoscermi. Quando arrivo al palazzo, penso che avrei dovuto declinare l’invito, ma ormai sono vestito per l’occasione ed è troppo tardi. Si chiama Kirchner e, evidentemente, mi ha confuso con un altro scrittore. La nostra breve conversazione all’inizio lo sconcerta e poi finisce per annoiarlo. Distrattamente mi dice che si è fatto costruire un giardino per queste occasioni e mi invita a visitarlo. Cammina con una lentezza maestosa. Tuttavia, a metà della passeggiata mi da le spalle, accelera il passo e non riesco più a raggiungerlo. Comincio a temere di non poter più uscire dal palazzo e approfittando della sua vicinanza glielo chiedo direttamente, come se fossimo vecchi amici, ma lui gira appena di alcuni gradi la testa e, senza rispondermi, si perde in un corridoio laterale.

Torno da solo nel suo ufficio e lo trovo occupato da un gruppo di segretari e ministri ai quali annuncio che me ne vado. Dato che mi credono amico personale del loro capo cercano di entrare nelle mie grazie e sorridono, adulatori. Il Presidente non l’ho mai visto sorridere. Un funzionario si sganascia dalle risate. Per incitarlo, dico che ho appena visto Kirchner sparire dietro una porta, e allora il riso contagia tutti i presenti. Ne approfitto per ridere anch’io ed esco dallo studio esagerando nelle risate.

Da questi posti è molto difficile uscire senza sottoporsi alle ispezioni di routine, ma penso che, vedendomi ridere come un imbecille, le guardie penseranno che faccio parte del personale e mi lasceranno passare senza troppe formalità. In effetti, guadagno la porta principale ed esco in strada affiancato dalla guardia dei soldatini mascherati da granatieri della guerra d’indipendenza. La strada è cambiata: l’hanno coperta con un tetto di vetro sostenuto da colonne che evocano il vecchio edificio dell’università. Poco dopo mi ritrovo nella Buenos Aires degli anni Sessanta. (…)

Il Nobel

Partecipo a una riunione a Bogotá, nell’ufficio della presidenza. È la prima volta che vado in Colombia e sono stato assunto per valutare alcuni studi sull’opinione pubblica. In questo sogno non mi hanno confuso, come nel caso di quello di Kirchner: i segretari, i consiglieri e lo stesso presidente ignorano che ho scritto qualche libro. Mi hanno convocato per avere il parere di un esperto di marketing sulla congiuntura preelettorale. I miei servizi li pagherà il governo, ma devo prestarli a un candidato dell’opposizione: un prestigioso universitario di centrosinistra che ha fatto una campagna contro la corruzione dello Stato. Me lo spiegano con enfasi, nella speranza di sorprendermi, ma sono abituato a questi paradossi della politica e delle burocrazie governative. Sono loro, quindi, che si sorprendono.

Ricordando un’antica ricetta per venditori di servizi, approfitto della suspense creata dalla sorpresa per rivolgermi al presidente chiedendogli di pagare i miei onorari anticipatamente, affinché non rimangano prove della sua connivenza con il partito dell’opposizione.

All’istante appare l’assegno, e nel metterlo via sono pervaso da una sensazione di benessere e pienezza, come se questo pezzo di carta pergamena fosse impregnato di una droga che agisce mediante il tatto, attraverso la pelle. In questo stato mi accomiato e, soddisfatto, lascio il palazzo per dirigermi negli uffici del candidato dell’opposizione. Sembra imbrunire in Colombia e la strada si popola di giovani ragazze uscite a passeggio. Sento che vanno in una libreria dove ci sarà García Márquez e decido che è ora di divertirsi: l’obiettivo del mio viaggio è stato raggiunto con l’assegno (…)

Bassa marea

Con i miei ultimi euro affitto per quarantotto ore una barca nella baia di Cadice. È un veliero di trentasei piedi che in passato era stato in buone condizioni per una regata. Il mio piano è risalire l’insenatura e percorrere la costa della città di Santa María. Da lì si possono vedere i bar in cui Goytisolo e Álvaro Pombo sono soliti prendere l’aperitivo mentre aspettano il vaporetto per Cadice. Desidero che mi vedano in piedi, davanti al timone a ruota, mentre navigo con il genoa semiarrotolato e un forte vento di traverso.

Ma non appena lascio l’ormeggio del porto Sherry e riesco a dirigermi verso la boa del canale che porta all’insenatura, incontro una corrente che mi obbliga ad accendere il motore ausiliare per avanzare lentamente. Vedo che gli ultimi piloni del molo e le piccole boe d’ormeggio lasciano una lunga scia che indica una corrente intensa, come la traccia di una barca a motore. Non so se è una corrente di alta o bassa marea, ma tende verso il sud (…) È una bassa marea intensa, e a tratti la corrente aumenta e la barca non avanza. Ho paura di incagliarmi, e la mia stessa paura provoca più corrente. Le onde si accorciano fino a prendere la forma delle onde miserabili del Rio de la Plata, si rompono contro i banchi di sabbia e i relitti ossidati di antichi naufragi (…) La baia è ormai secca e il canale è uno stretto fosso attraverso il quale intraprendo, rassegnato, il mio ritorno all’ormeggio.

La liquidità

Porti e baie che si seccano, fiumi che si seccano, e banchi e relitti di naufragi che affiorano nelle grandi basse maree, compongono un sottogenere dei sogni di mare.

Nei sogni di mare non manca mai il vento, e anche se è calmo i velieri avanzano ugualmente, come spinti dalla corrente d’aria che creano con il loro movimento. La mancanza d’acqua, più frequente, è sempre un segnale di terrore ed evoca la paura di incagliarsi, che pochi conoscono tanto bene come coloro che hanno navigato sul Río de la Plata.

Un’analista, donna, insisteva sul fatto che il “seccarsi” delle acque rappresentava la mancanza di denaro, a cui nel mio paese si allude con la metafora “essere a secco”. (Gli economisti usano il termine “illiquidità” per esprimere la stessa cosa in scala macroeconomica…). Ma nel caso dei sogni di bassa marea, con la sparizione del liquido che permetteva di galleggiare e spostarsi, viene rivelato il fondo, che nella navigazione normale rimane invisibile. È come l’ordine sociale, il cui vero fondo diventa più evidente quanto più ci si deve muovere senza soldi. O come la vita stessa, che quando trascorre senza passione né desiderio mostra meglio il proprio fondo di morte e progetti falliti: i famosi naufragi, i relitti irrisori di sconfitte umane. (…)

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