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Orchi esemplari. Andrés Caicedo: parole e promesse

redazione Andrés Caicedo, SUR

Oggi per i lettori del blog un nuovo approfondimento della figura di Andrés Caicedo, lo scrittore colombiano morto suicida a 26 anni di cui le Edizioni Sur hanno appena pubblicato il romanzo «Viva la musica!».

Il testo che presentiamo è uscito come prefazione al romanzo. L’autore, Daniel Centeno M., è docente universitario e collabora con diverse riviste letterarie.

di Daniel Centeno M.
traduzione di Giuseppe Trovato

La migliore ellissi per presentare questo personaggio è stata scritta da Carlos Patiño Millán: “Luis Andrés Caicedo Estela nacque a Cali il 29 settembre 1951 e ivi si uccise il 4 marzo 1977”.

Se esaminiamo le famose vicende di quest’orco, ognuna di esse trova la sua collocazione in quest’affermazione. Di qui la sua perfezione. In realtà, nessuno ha asserito che se mai c’è stato qualcosa che abbia caratterizzato Caicedo, si sia trattato del fatto di ubbidire alla tipologia di un uomo di parola, e gli uomini, quando nascono con una predestinazione, tendono a essere irriducibili in ogni loro azione, le loro bracciate vanno controcorrente e vivono intenzionati a lasciare traccia di ogni loro vicissitudine e disgrazia, affinché poi la gente non dica che non hanno tenuto fede alla parola data.

Caicedo era un tipo strano, stranissimo. Un balbuziente che stentava a socializzare con i suoi simili, ma che scriveva a iosa, come se da questo dipendesse la sua esistenza. Malato di cinema (in genere vedeva otto film al giorno), e fanatico dei Rolling Stones e della salsa brava, ebbe una duplice ossessione: lasciare testimonianza di una solida attività letteraria e morire prima dei venticinque anni. Le altre cose non gli interessavano particolarmente.

Le foto che abbiamo di lui lo ritraggono come un classico contemporaneo. Magro come uno spillo, indossava magliette bianche, jeans, scarpacce, occhiali dalle lenti spesse e aveva una lunga chioma scura divisa esattamente in due da una riga. Tutte queste caratteristiche offrono l’immagine di un ragazzo che potrebbe tranquillamente appartenere ai giorni nostri. Ogni foto di Andrés produce uno strano effetto, come se il tempo si fosse fermato, come se fosse ieri, l’immagine di un idolo senza data di scadenza.

Era un personaggio e probabilmente la sua opera più importante era quella che faceva costantemente sulla sua umanità. Caicedo non era in grado di uccidere una mosca, eppure nei suoi testi la violenza è costantemente presente. Caicedo biasimava i suoi amici quando li vedeva con uno spinello, ma nessuno più di lui era schiavo dell’erba, delle pasticche e sostanze varie. A Caicedo davano fastidio il trambusto e le folle, ma non si sarebbe perso una festa per nulla al mondo. Caicedo volle girare un film ma nel bel mezzo delle riprese mandò tutto a monte. In fin dei conti, lui stesso sapeva di impersonare un romanzo che ogni notte si concludeva con un nuovo capitolo. Un romanzo dal quale si dipanano diversi romanzi.

In lui tutto era rocambolesco. Mentiva spudoratamente sin da piccolo. Fu famosa una di quelle crisi in cui si fece passare per ricco quando ancora non aveva neanche conseguito il diploma. I risultati furono disastrosi. Non aveva neanche fatto in tempo a ornare la sua vita di fronzoli che le tasche di Caicedo dovettero fare i conti con il tran tran quotidiano e dovette trovare una strategia alternativa per sopravvivere.

Successivamente, iniziò a innamorarsi di chiunque. Non appena conosceva una ragazza, si fiondava a casa e si metteva a scrivere quanto forte fosse il suo sentimento per lei e quali cambiamenti si fossero prodotti in lui (forse mettendo da parte la pretendente). Da buon osservatore, è evidente che Caicedo scrisse molto di più di quanto abbia realmente vissuto. Come già si è detto, l’opera letteraria era lui.

Andrés Caicedo sottolineò l’importanza di essere giovani. Solo così si poteva essere puri e spregiudicati. Ad un certo punto fu affetto dalla sindrome di Peter Pan e decise di andare alla ricerca della saggezza nelle anime dei bambini. Gli effetti della sua ricerca non si rivelarono incoraggianti: essendo Cali la città colombiana che è, non ci si poteva aspettare di trovare bambini innocenti nei suoi quartieri – come se Andrés non lo sapesse. In questa sua ricerca rimase affascinato da Clarisol e Guillermito Lemus, due bambini di nove e dodici anni rispettivamente. Stupito dalla precocità dei due fratellini, decise di imparare da loro, e quello che iniziò come un piacevole avvicinamento alla purezza umana si tradusse in una discesa verso le fiamme dell’inferno. Caicedo si spinse troppo oltre nel mondo della salsa, delle pasticche e delle cattive compagnie. Coloro che aveva ritenuto angeli si rivelarono la sua perdizione, e i suoi amici fecero di tutto per allontanarlo da quei mostri.

Con il tempo, e dopo tutte queste peripezie, nacque María del Carmen Huerta, che condivide ogni vertebra con Caicedo. Questo personaggio inventato, incapace di affrontare un test del DNA, si delinea quasi come un clone che pervade ogni pagina del romanzo Viva la musica!, l’opera letteraria più ambiziosa dello scrittore di Cali.

Andrés sembra respirare con affanno in tutti i capitoli dell’opera. Il libro che narra le avventure di una ragazza abbiente, riesce a fondere la tenerezza con la violenza, l’innocenza con la crudeltà, la luce con il crimine. Lo stile, scorrevole, racconta il viaggio di iniziazione di una bionda seducente attraverso la città dell’autore, dove a contendersi la scena sono la droga, la scoperta del sesso, i personaggi off-limits, il sangue e la musica. Risultano straordinari i primi passi in cui, mentre María del Carmen è ancora profondamente legata alla sua classe sociale, Caicedo parla dei Rolling Stones, ne spiega alcune canzoni ed elabora teorie sulla morte di uno di loro; altrettanto interessanti sono gli episodi finali, quando la ragazza si stabilisce nei bassifondi, subisce una trasformazione e comincia a vivere la vita a ritmo di salsa, come quelle di Héctor Lavoe, delle risse nel bel mezzo di una festa, di Richie Ray e Bobby Cruz. Viva la musica! è stato scritto da un pazzeriello dell’entroterra del suo paese, da un tossicodipendente che non avrebbe compiuto i venticinque anni. Tuttavia, è il libro che ha scosso la letteratura colombiana, fu l’altra scommessa, la risposta inconsapevole a una condanna a tanti anni di solitudine.

Va inoltre detto che non fu l’unico libro che assorbì le energie di Caicedo. Tra romanzi e racconti scrisse anche Berenice, Destinos fatales, Noche sin fortuna (opera incompleta), El atravesado, Pronto, Memorias de una cinesífilis (opera incompleta), Calicalabozo, Angelitos empantanados o Historias para jovencitos e Maternidad. Si era ripromesso di lasciare una traccia e ha raggiunto l’obiettivo. A dire il vero, nella sua breve esistenza ha sempre trovato il tempo per vedere i suoi otto film al giorno, leggere i suoi autori preferiti, scrivere i suoi testi, correggere gli originali, osservare la disciplina di un autore, avviare i numerosi progetti che aveva in mente, elaborare copioni per il cinema, dirigere un film, trovarsi delle fidanzate, conoscere i bassifondi, andare alle feste con la sua macchina da scrivere sotto il braccio, drogarsi, andare negli Stati Uniti per vendere i suoi copioni senza mai riuscirci, pubblicare articoli sulla stampa, scrivere e mettere in scena opere teatrali, muovere i primi passi come attore, ascoltare tanta musica, fare la programmazione dei film da trasmettere nella cineteca della sua città, partecipare a premi letterari, pubblicare una rivista cinematografica, spedire quotidianamente lettere di più di dieci pagine ai familiari, passare qualche periodo presso cliniche e compiere il tentativo di suicidio.

Il primo tentativo avvenne durante una festa. Andrés si tagliò le vene dopo avere ingerito venticinque valium da dieci milligrammi. Nessuno si accorse dell’atrocità di tale azione tranne lui, che confessò di essersi svegliato per il rumore del sangue che gocciolava sul pavimento di legno. Le ferite si cicatrizzarono e anche se non gli venne praticata la lavanda gastrica come di solito avviene, il giovane si salvò seppure con qualche effetto collaterale: non smise di piangere per quindici giorni mentre imitava la voce della sua fidanzata Patricia e dava i primi segni di pazzia.

La seconda volta fu meno spettacolare. Caicedo litigò con la fidanzata e ingerì 125 pastiglie che provocarono l’interruzione delle sue funzioni vitali per quasi una settimana. Dopodiché si svegliò in una barella del reparto di rianimazione di una clinica. La cosa più normale, pertanto, fu internarlo in un ospedale psichiatrico dove venne curato con un farmaco che, oltre a causargli crisi epilettiche, gli inibì ogni facoltà intellettiva durante i trentanove giorni di reclusione.

La terza volta fu davvero degna di Andrés. Caicedo ricevette la prima copia pubblicata di Viva la musica! Nel pomeriggio rientrò nel suo appartamento, molto contento e iniziò a scrivere una lettera: “Non litighiamo più, Patricia mia. Facciamo la pace. Non andartene. Non lasciarmi…”. Mentre scriveva queste righe, entrò in scena la fidanzata, in carne e ossa. Caicedo la osservò, si sedette sopra la scrivania e come un personaggio del teatro dell’assurdo, le disse: “Ho appena preso sessanta pastiglie (di Seconal). Speriamo che non mi scoppi il cervello”. Patricia, terrificata, gli chiese se fosse colpa sua. “Non è colpa tua. Ho preso questa decisione anni fa. C’era una ragione. Ormai non c’è più nulla da fare”. Di conseguenza, la seconda grande promessa si concretizzò. Così, nel bel mezzo di questa tragedia urbana, sulla scrivania, Luis Andrés Caicedo, si spense il 4 marzo 1977, fino a sprofondare nelle tenebre. Aveva poco più di venticinque anni e solo due libri pubblicati.

La sua famiglia si raccolse in un tragico lutto. Andrés fu sepolto a Cali, nel cimitero Metropolitano del Sur. Come suole accadere in questi casi, la lapide della sua tomba non durò all’infinito. Uno dei suoi fans con la passione per i memorabilia necrologici la rubò.

Si cercò di mantenere la faccenda del suicidio di Caicedo come un tabù all’interno delle sue cerchie di amici, allorché la sua attività letteraria raggiungeva l’apice. Le case editrici iniziarono a contendersi tutto il materiale che non era stato considerato degno di nota mentre era ancora in vita. Cominciò a diffondersi il culto verso questo personaggio e le sue opere poco note furono ripubblicate. Tutto ciò che aveva a che fare con Andrés diventò importante: le sue foto, i suoi copioni poco fortunati, le sue opere incomplete, la sua voce registrata, le lettere, la fattura del ricovero presso l’ospedale psichiatrico, le ricette mediche, i rullini di celluloide che lo filmano, gli aneddoti dei suoi amici, il baule dove lasciò numerosissime carte e note che il padre, ormai anziano, vende alle case editrici a piccole dosi. Ogni cosa che abbia avuto a che fare con Andrés ha importanza. Perfino per Nicolás, uno dei nipoti di sua sorella María Victoria, che a undici anni le chiese con la stessa sfrontatezza e innocenza dei personaggi di Viva la música: “Nonna, è vero che hai un fratello famoso che si è ucciso? E che era un pazzeriello?”.

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