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Vecchie e nuove ipotesi: intervista a Julio Ortega

Pubblichiamo oggi un’intervista di Manuel Sánchez al critico e scrittore peruviano Julio Ortega, apparsa su El Boomeran(g) [1], ringraziando l’autore e la testata.

«Vecchie e nuove ipotesi»
traduzione di Silvia Bonuccelli

Possiamo continuare a parlare di “generazioni” in letteratura?
In America Latina abbiamo sviluppato il presupposto che l’identità, tra altre fonti, abbia a che fare con la nazione, la razza, l’ideologia politica, la classe sociale, il nostro ruolo nelle migrazioni. Ciononostante, dalla fine degli anni Sessanta tutti questi postulati di costruzione di un orizzonte culturale a partire da un soggetto situato in uno spazio, entrano in crisi. Oggi facciamo ricerche sull’idea che i nostri progetti di identità abbiano un riscontro nella letteratura e nella nostra funzione di lettori. Entra in crisi il vincolo della letteratura nazionale, che appare molto limitata e malinconica. Emerge persino l’idea di una letteratura non solo latinoamericana, bensì diversa nella scena globale delle lingue. Nello specifico, si tratta di una letteratura transatlantica, cioè, in interazione, scambio, riappropriazione, parodia, inserimento nelle letterature europee e, insieme a quello, nel dibattito per un altro mondo.

Se le letterature nazionaliste sono in crisi, come possiamo capire l’entusiasmo della delegazione peruviana nell’ultima Fiera del Libro di Bogotà?
Le fiere sono come uno “showcase” di ciò che sta succedendo. Il problema è che il modello della fiera è illusorio. Crea un senso di presente privilegiato che diluisce molto velocemente. La retorica del discorso nelle ferie è autocompiacente, per niente critico, poco sobrio e più che altro celebrativo. Forse il problema è che il sistema dei protocolli delle fiere, delle tavole di quattro o cinque persone, ormai si è logorato. È molto poco quello che si porta avanti nel senso critico e analitico della lettura, oltre la celebrazione retorica dello scrittore e del suo territorio. Temo che ormai non siano una buona guida per la lettura, perché prescindono da ciò che è più nuovo e meno protocolloso. Quello che propongo è che, invece di tavole numerose, promuovessimo laboratori riflessivi di lettura. Per esempio, laboratori di racconti o di poesie. Il pubblico si iscrive, prima legge il racconto e quello spazio serve per discuterne. Una volta l’ho fatto per Casa tomada di Julio Cortázar e il risultato è stato impressionante. Non c’era uno spettatore passivo, tutti avevano qualcosa da dire e sono venute fuori ipotesi valide. Preferisco quell’intimità del testo e non la coda oscena di cento persone che leggono Cento anni di solitudine o il Chisciotte.

Si può continuare a parlare di generi letterari?
È difficile. Adesso la differenza tra vita quotidiana e vita artistica non è chiara. Per esempio, in autori come César Aira o Mario Bellatín dove tutto è più concettuale, autoreferenziale e abissale. Inoltre, appaiono questi spazi denominati non luoghi. Per esempio, nell’ultimo romanzo di Agustín Fernández Mallo, che finisce con un capitolo disegnato nel quale i personaggi sono il loro scrittore ed Enrique Vilas-Matas, che nella mera realtà non si conoscono, ma, su un’isola galleggiante di Repsol, in un comic end, parlano delle loro letture.

Quale pensa che sia adesso la tradizione dei giovani scrittori latinoamericani?
Adesso è molto difficile sapere dov’è il nuovo o verso dove va il progetto della scrittura. Uno legge un libro e ormai non sa di quale nazionalità è lo scrittore, perché il linguaggio è contemporaneo, le storie contengono una certa volontà di oggettività, i racconti sono concettuali e si gioca con idee e parodie che non si dichiarano come tali. Allo stesso tempo, sono progetti che intendono iniziare tutto da capo. Ho appena finito di leggere un’antologia di giovani poeti argentini, intenzionalmente somiglianti: micro-racconti narrati con distacco, senza pathos, che possono essere di qualsiasi posto. O saranno personaggi di Aira?

Che ne pensa della “nuova” crónica latinoamericana?
Credo che sia un genere sentimentale, nel quale il cronista evidenzia una facile emotività. È un genere minore che non ha virtù maggiore se non la sua brevità. Ci sono grandi cronistas, come Alma Guillermoprieto, Carlos Monsiváis, Edgardo Rodríguez Juliá, Tomás Eloy Martínez. Questi maggiori cronistas seguivano il modello del giornalismo investigativo. I cronistas di oggi scrivono di ciò che vedono per la strada e testimoniano i loro stati d’animo, soffocantemente personali. In quello non c’è niente di intellettuale.

Che ne pensi delle saghe di letteratura fantastica, per esempio, Game of Thrones?
Di necessità della fabula ne sono meglio provvisti il cinema o la televisione. È chiaro che siamo in un’epoca di “anti-fabule” e queste serie rispondono a quella nostalgia. Credo anche che abbia a che vedere con il fondo di violenza di queste saghe e col fatto che viviamo nell’epoca più violenta di tutte, non per il numero di morti, ma per quello degli emarginati. Forse è così che si può capire Game of Thrones, come la storia di uno stato in formazione che attraversa la corruzione e la violenza cercando di legittimarsi, grazie al lieto fine di un drago.

Chi ci sarebbe nella sua attuale lista dei migliori scrittori latinoamericani?
César Aira, Mario Bellatín, Diamela Eltit e Rodrigo Fresán. E lì ci potremmo fermare. Dopo si fa tutto più testuale, il linguaggio riceve più indipendenza, l’opera d’arte è meno importante e si cerca un lettore diverso. In Argentina, Matilde Sánchez; in Cile, Alejandro Zambra; in Perù, Carlos Yushimoto; in Messico, Yuri Herrera e Luigi Amara.

Cosa direbbe dei seguenti scrittori…
Roberto Bolaño: Un fenomeno della lettura: più che un autore, un mito.
Rodrigo Fresán: Scrive con maggiore libertà ed è il più creativo.
Daniel Alarcón: Uno scrittore globalmente peruviano, come un’asfissiante memoria affettiva.
Gabriel García Márquez: Il nostro narratore più classico. Il maggiore stregone della tribù dei lettori.
Julio Cortázar: La sua opera si basa sullo stupore, sulla rivelazione, sull’ignoto. È colui che meglio ha esplorato lo spazio della soggettività.