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Ornamento, un estratto

Una società classista, il problema della droga, l’utilizzo del corpo, le contraddizioni della politica e i cliché dell’arte: Ornamento [1] del giovane scrittore colombiano Juan Cárdenas [2] racconta questo e molto altro. Da oggi è in tutte le librerie, e se non lo avete ancora sfogliato, il brano che segue ne è un piccolo assaggio. Buona lettura!

di Juan Cárdenas
traduzione di Chiara Muzzi

 

Oggi finalmente hanno portato le volontarie, quattro donne di mezza età con storie cliniche insignificanti, senza episodi noti di dipendenza né precedenti penali. L’unico particolare è che tutte sono diventate madri in giovane età, ma questo è normale nelle donne delle classi inferiori. Le ho fatte passare dal mio ambulatorio, una a una, per fare un ultimo controllo e prelevare alcuni campioni di sangue. Nessuna si è innervosita, tranne l’ultima, la numero 4, che ha fatto troppe domande e ha esitato quando le ho chiesto di togliersi i vestiti. Poi sono state condotte nelle loro stanze, dove è stata somministrata una prima dose per via orale. La 1, la 2 e la 3 si sono addormentate venti minuti dopo l’assunzione, quindi l’osservazione si è ridotta in questi casi a un monitoraggio dell’attività cerebrale. La 4, invece, è sempre rimasta sveglia e finché è durato l’effetto non ha smesso un attimo di parlare. Ho pensato che sarebbe stato utile trascrivere quello che ha detto:

Il marito di mia madre viene ad accoglierci sulla porta, paga il taxi. Hanno una casa molto grande, a due piani, con un piccolo cortile davanti. Mia madre ci sta aspettando di sopra. Che bello che sei arrivata, mia cara, dice quando ci vede entrare in camera. La bambina si arrampica veloce sul letto per darle un bacio. Mia madre è nuda sulla trapunta a fiori, davanti a un ventilatore, e sta leggendo un giornale alla luce di una lampada. Le tende sono tirate. Le piace riceverci così per farsi ammirare. Com’è bella mia nonna, dice la bambina, mia nonna è bella come una bambola. Ed è vero, mia madre sembra appena uscita dalla scatola. L’anno scorso si è fatta la depilazione laser e non ha neanche un filo di pelle flaccida perché regolarmente se la fa ridurre da un chirurgo molto bravo. Il problema è che dopo tante operazioni, vai a sapere perché, la sua pelle ha sviluppato un’allergia molto strana e due volte al giorno si deve spalmare creme speciali su tutto il corpo. Di solito se ne occupa suo marito, ma il signore in questione esegue il compito controvoglia, con spirito di sacrificio ed evidente repulsione, trattenendo a malapena i conati. Dice che non gli piace la consistenza untuosa delle pomate e nemmeno il profumo di cocco che sprigionano. Per questo mia madre approfitta di ogni mia visita per rifilarmi i suoi benedetti trattamenti. E chi è più bella?, chiede alla bambina, la nonna o la mamma? La bambina ci pensa. Mi guarda con aria da furbetta. Io le faccio l’occhiolino per dirle che può rispondere come avevamo stabilito. È più bella la mia mamma, dice la bambina, ma solo perché è tua figlia. La nonna le fa i complimenti per la pensata.

La bambina accende la tv e si distrae guardando i cartoni animati mentre io imbratto di crema il corpo di mia madre. E il naso, mamma?, le chiedo quando vedo che lo arriccia. Come va? Lei si tocca con il pollice e il medio e a me viene la pelle d’oca. Più o meno, dice. Da poco mia madre si è di nuovo operata al setto nasale e adesso sembra avere paura perché di notte sogna che le cade il naso e le si vede l’osso. A volte lo tocco e mi sembra strano, dice, come se fosse il naso di un’altra persona. E a me viene da pensare che il naso di mia madre sia davvero il naso di un’altra persona, il naso di un morto. E per scrupolo tocco di nascosto il mio e mi dico: c’è ancora, tranquilla.

Quando abbiamo finito con i suoi benedetti trattamenti, mia madre si mette una vestaglia a fiori e scendiamo tutte e tre in salotto perché vuole mostrarci le porcellane nuove. Questa volta c’è un gruppo di personaggi con parrucca e livrea e vestiti di pizzo, minuscole statue di cortigiani che mia madre compra su internet. Le figure formano un cerchio sopra un granchio rosso a grandezza naturale. La scena si chiama Voltaire e i suoi amici, dice mia madre. E chi è Voltaire?, chiede la bambina. E mia madre le dice che è un filosofo francese. La bambina vuole sapere quale delle statuine è quella di Voltaire. No, no, dice mia madre, Voltaire è il granchio. Alla bambina piace molto la scenetta e chiede se può aprire la vetrina e toccare le statuine. Allora mia madre la prende per un braccio con forza, piantandole le unghie nella carne, e apre la bocca puntandole contro l’indice, ma non riesce a dire niente, non le escono le parole. Vuole ma non ci riesce. E io vedo come le ossa del cranio le affiorano sulle tempie, intorno alle orecchie. Sono costretta a intervenire perché smetta di torturare il braccio di mia figlia. Non si toccano le porcellane, cazzo, dico. La bambina abbassa la testa in un gesto di finta sottomissione. Mia madre lascia la presa. Io le sollevo il mento e la bambina mi guarda con due monete false nelle pupille. Non si toccano, le dico e alzo le sopracciglia per farle capire che parlo sul serio. Guardare e non toccare è una cosa da imparare, dice mia madre, che trova finalmente le parole giuste.

Poi vado dal marito di mia madre nello studio in fondo al corridoio. Siediti, dice il vecchio alla scrivania. È circondato da un mucchio di diplomi di contabilità, statistica ed economia rilasciati da università improvvisate, una libreria con volumi rivestiti in pelle verde scuro e una foto di mia madre sotto le torri gemelle. E pensare che quest’uomo è stato il mio primo uomo, il mio primo amore, e adesso lo guardo e vedo solo un vecchio schifoso, che si tinge i capelli bianchi di un rosso scoiattolo e va sempre in giro così, ben vestito, iperprofumato, con le scarpe lucide da far paura.

Ignoro se si tratti di un ricordo o di una menzogna gratuita che la paziente inventa sotto gli effetti della droga.

Fuori abbaiano i cani, senza nessun motivo apparente. Per scrupolo mi affaccio alla finestra, ma trovo solo la consueta serenità notturna del giardino, il bosco di pini e, più in là, la recinzione elettrica che ci protegge dalla città.

 

© Juan Cárdenas, 2015. Tutti i diritti riservati.