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Ondate in successione. Per un barocco americano: Lezama Lima e l’avventura dell’immaginario / 1

Pubblichiamo oggi la prima parte di un lungo saggio che Francesco Varanini ha dedicato a uno dei maestri della letteratura cubana, José Lezama Lima, e al “barocco americano”.
La seconda parte si può leggere qui [1].

Ondate in successione / 1
di Francesco Varanini

«No olvide que hay que mirar el barroco de perfil para captarle el oleaje de sucesión». «E ricorda. Le chiese barocche vanno guardate di profilo». Impacciato dalla sua stessa mole, le parole entrecortadas dall’asma, Lezama ha lasciato per un istante il sillón vicino alla finestra, si è alzato faticosamente in piedi. Sta salutando con un ultimo monito, con un ultimo spiazzante lampo di conoscenza, il giovane poeta che è venuto a fargli visita.

Finestra a pianoterra, affacciata sulla strada modesta, popolare, calle Trocadero 162, La Habana, soffitto basso, stanze semibuie, lo studio in fondo ingombro di libri e di carte. Lezama vive ormai seduto lì vicino alla finestra, alla poca luce che viene dalla strada, lì pensa, parla e scrive, il grosso corpo affondato nel sillón, Lezama è voce, poesia, affabulazione, biblioteca vivente, divagante profondità, da Dante al pettegolezzo locale, da Góngora all’I Ching, da Martí a Proust, conversazione rete senza fine, intervallata da risate, sottolineata da sguardi, il sigaro in bocca o tra le dita.

«Non dimenticare, il barocco va guardato di profilo». Lezama, immobile nel suo centro, chiuso nella sua casa, viaggia nel tempo e nella letteratura universale, ma sempre ben radicato all’Avana. Conosce ogni dettaglio della topografia, della vita segreta – reale e immaginaria – della città. Sa che il giovane poeta – suo allievo in un privatissimo e gratuito percorso di iniziazione – tornando a casa passerà di fronte alla Cattedrale. Guardando il barocco di facciata si perde ogni prospettiva, ogni senso di profondità. Ma il monito va ben al di là dell’ambito stretto e letterale, va ben oltre lo sguardo posato sull’architettura; come ogni parola di Lezama, la frase è aperta a un’infinita serie di letture metaforiche: è l’enunciazione di un’estetica.

Solo guardando le cattedrali barocche di profilo è possibile cogliere «el oleaje de sucesión», la successione di ondate, le ondate in successione, ondeggiamento, ondosità. Come ogni parola di Lezama, c’è della poesia, non un senso già dato, ma il moto ondoso del senso che sta costruendosi. Del resto il dizionario ci dice: oleaje, «sucesión continuada de olas». Così le parole di Lezama, ricorsive, oleaje è già di per sé sucesión, ma è poetico e barocco, appunto, ri-dirlo in modo sorprendente, ribadirlo con parole vive che avvolgendosi su se stesse in un ricciolo, in una spirale, moltiplicano l’immagine, la espandono, rendendola infinita.

Proviamo a guardare il testo come una cattedrale, proviamo a guardare il testo di Lezama di profilo. Solo così potremo intravedere, senza comunque riuscire a separarli del tutto, i diversi strati. Strati e rilievi, ondate che si sovrappongono, niente è ridondante, ma tutto potrebbe essere detto altrimenti, o detto ancora, di nuovo. Un testo che è la poiesis, creazione di Lezama: un testo non chiuso, non finito, una galassia che comprende le conversazioni così come le parole scritte su carta, in poesia e in prosa – la poesia non si lascia ingabbiare, soffia dovunque.

Sólo lo difícil es estimulante. Solo il difficile è stimolante. Lezama attribuisce ad altri il pensiero. Lo ha ritrovato leggendo i classici greci e latini. È ragionevole supporre che ogni cosa che pensiamo sia già stata pensata prima da altri. Ma resta diverso il modo di pensare, che è solo nostro. E, se seguiamo Lezama, è vano cercare l’archetipo, l’unica fonte: non è così che si tesse la tela della letteratura, non è così che nasce la poesia. Perciò vale ogni consonanza, ma è pensiero di Lezama, è poesia di Lezama.

Sólo lo difícil es estimulante. Vediamo apparire e riapparire la frase – che sintetizza forse più di ogni altra il pensiero e la poesia e l’architettura testuale di Lezama – in innumerevoli luoghi della poesia, dei saggi, dei romanzi.

Seguire Lezama è osservare il pensiero prendere forma. Il pensiero si manifesta in parola – e non c’è veramente differenza tra la parola pronunciata e la parola codificata in segni vergati su un supporto –, il testo, in ogni caso, emerge come sucesión continuada de olas. Possiamo quindi fissare una prima immagine. Lezama, poeta, pensando alla propria vita, alla propria mente, alla propria opera, dice a se stesso: «Sólo lo difícil es estimulante».

Ma ecco che una fuga di immagini si presenta ai nostri occhi.

Vediamo José Lezama Lima intento a scrivere il IX capitolo del suo gran romanzo, Paradiso. Nel romanzo José Lezama Lima è José Cemí. Cemí, giovane adulto, nel suo primo giorno di Università si trova coinvolto in una dura manifestazione studentesca, rivolta contro Gerardo Machado, generale, Presidente della Repubblica trasformatosi in dittatore. Aveva dichiarato che durante il suo governo «ninguna huelga duraría más de 24 horas», nessuno sciopero sarebbe durato più di ventiquattr’ore – ma proprio la protesta studentesca e operaia lo costringerà all’esilio.

È il 30 settembre 1930. «Algunos ya han regresado a su casa con visible temor», ma José, che è Lezama ed è Cemí, ventenne, partecipa alla manifestazione. Nasce di fronte all’Università, violentemente repressa dalla cavalleria, attraversa l’Avana come onda, come raffica di vento. Nel romanzo è descritta con toni epici, con evidenti richiami all’Iliade. L’eroe, la guida, bello e magnanimo, luminoso come Apollo – «un dios en la luz, no vindicativo, no obscuro, no ctónico», è Juan Antonio Mella – e qui il mito prende il posto della storia: Mella, ventiseienne, era stato ucciso da sicari di Machado, a Città del Messico, nel gennaio dell’anno precedente.

In questo luogo del testo Lezama, svolgendo e riavvolgendo la spirale di un difficilissimo discorso, accumula strato su strato e colloca poeticamente l’origine de lo difícil.

José torna a casa, e sua madre, Rosa nella vita, Rialta nel romanzo, si rallegra, «pues siempre que las madres ven que que un hijo parte para un sitio de peligro, se atormentan pensando que fuera de su cuidado le pasará a su hijo lo peor».

Rosa-Rialta sa quello che è successo, ha passato la mattina pregando che al figlio non accadesse qualcosa di spiacevole. «Ya sabe que cuando te agitas, el asma te ataca con más violencia». E subito, le parole si allontanano dal generico, dall’astratta relazione tra genitori e figli, per farsi personalissime. «Mi hijo –Rialta se emocionó al decir esto –, perdí tu padre tenía treinta años, ahora tengo cuarenta y pensar que te pueda suceder algo que ponga en peligro tu vida, ahora que percibo que vas ocupando el lugar de él…» E qui, al lezámico modo, il discorrere si perde in una serie di subordinate, di incisi: … tutto quello che tuo padre – era morto a trentatré anni – «no lo pudo realizar, tú lo vas haciendo através de los años… una desgracia de tal magnitud… Una extraña significación» lega gli accadimenti della vita, l’assenza può essere riscattata.

Poi le parole della madre tornano a essere più piane, più chiare. «No es que yo te aconseje que evites el peligro, pues sé que un adolescente tiene que hacer muchas experiencias y no puede rechazar ciertos riesgos que en definitiva enriquecen».

Mentre aspettavo il tuo ritorno, continua Rosa-Rialta, «pensaba en tu padre y pensaba en ti», recitavo il rosario e mi dicevo: «¿Qué le diré a mi hijo cuando regrese de ese peligro?»

La madre passa tra le dita i grani del rosario, prega perché una «volontà segreta» accompagni il figlio lungo tutta la sua vita, prega perché il figlio sia mosso sempre da un’ossessione che lo spinga a cercare «en lo manifestado lo oculto, en lo secreto lo que asciende para que la luz lo configure».

Ed ecco che il discorso si avvicina al nodo, al nucleo generatore del pensiero che è di Rosa-Rialta e di Lezama-Cemí – nella «fluidez de lo temporal», nella poesia che cerca di risalire alle origini, non c’è il prima e il dopo, non c’è l’uno e l’altro.

«Oyeme lo que te voy a decir: no rehúses el peligro, pero intenta siempre lo más difícil». Ascolta, non rifiutare il pericolo, però tenta sempre il più difficile.

Rosa-Rialta spiega il suo perché. La morte di tuo padre avrebbe potuto farmi uscire di senno, distruggermi, ma sentivo che non questo non sarebbe accaduto, perché sapevo che un fatto di quella portata avrebbe generato una oscurità che sarebbe stata rischiarata nella trasfigurazione emanata dall’abitudine a tentare lo más difícil.

E qui, come in ogni parola detta o scritta da Lezama, non possiamo non notare il faticoso procedere, il discorso è enrevesado, intricato, oscuro. Con difficoltà lo si può intendere: ma è una scelta, una scelta necessaria. Lezama ci pone senza ambasce di fronte al pensiero grezzo che sta emergendo – ci ospita nella sua stanza, nella sua mente, condivide con noi ciò che è poco chiaro per lo stesso poeta che pensa. La forma non può essere separata dal pensiero, la forma di un pensiero che nasce nel profondo, che a fatica sta emergendo nella mente non potrà mai essere facile – a meno che non se en esponga solo una parte superficiale. Anche questo è barocco, barocco originario, d’accordo con il probabile etimo: barroco, “perla irregular”: nulla è liscio e uniforme – e l’aspetto scabroso risulta evidente solo guardando di profilo.

Ed è barocca, naturalmente, anche la sovrapposizione di piani, di soggetti agenti: Cemí e Lezama, Rialta e Rosa, ognuno, come in gioco di specchi, ci sta parlando di sé.

Rialta continua a dire al figlio con inusitata chiarezza: anch’io ho tentato lo más difícil: sparire, vivere soltanto «en el hecho potencial de la vida de mis hijos». «La muerte de tu padre fue un hecho profundo», so che i miei figli ed io passeremo la vita a comprendere questa profondità. A questa morte posso rispondere solo con il sogno che qualcuno di noi avrebbe tentato una risposta, trasfigurando il dolore e e riempiendo l’assenza attraverso la testimonianza. «A mí ese hecho de la muerte de tu padre me dejó sin respuesta, pero siempre he soñado, y esa ensoñación será siempre la raíz de mi vivir, que esa sería la causa profunda de tu testimonio, de tu dificultad intentada como transfiguración, de tu respuesta».

La tua testimonianza, la tua difficoltà tentata come trasfigurazione, la tua risposta.

Il difficile è trovare la risposta all’assenza di risposta, il difficile è comprendere quello che appare incomprensibile. Il barocco alla fin fine non è che il difficile percorso per illuminare l’oscuro. La sua difficoltà non sta in un enunciato, in un verso, ma nel desaforado, scandaloso, audace tentativo di sondare l’incomprensibilità della vita. È un percorso rischioso, pericoloso, ma per questa via che potremo vivere la trasfigurazione, l’epifania, veder manifestarsi il divino che è in noi.

È un percorso di ri-nascita. Da Rosa-Rialta nasce José, non a caso madre e figlio inestricabilmente, originariamente legati – non c’è distinzione tra origine della vita e origine della poesia. Così, nel luogo dove si manifesta nel modo più evidente l’alterità: la differenza tra madre e figlio, si mostra anche la più piena fusione. Madre e figlio convivono nell’origine, e si ritrovano nell’idea del generare.

Origine: latino oriri, nascere, provenire, cominciare. Non a caso Lezama sceglierà Origen come titolo della sua rivista. Ritroviamo l’idea del generare nella ricca messe di espressioni che discendono dalla radice indeuropea gene: genio, genitore, generazione, genere, germe, gente, indigeno, progenie, nascere, nazione, ingenuità. Da gene anche ingegno, dove il prefisso in assume il senso di «indole», «idea spontanea». (E poi a Cuba – non possiamo dimenticare, perché la poesia è fatta di assonanze – «ingenio» è «finca que contiene el cañamelar» e «conjunto de aparatos para moler la caña y obtener el azúcar», piantagione di canna da zucchero e zuccherificio).

La madre non sa trovare risposta all’assenza e al dolore. Così, una volta nella vita, chiede. Chiede un risarcimento per la sua sofferenza. Chiede al figlio di partecipare al processo genetico della vita, al di là di ogni morte. Chiede al figlio di essere poeta. E chiedendo impegna il figlio a scrivere il romanzo – e di più: offre al figlio il nucleo generatore della sua poesia.

© Francesco Varanini. Tutti i diritti riservati.

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