Passaggio di consegne: “Da McOndo a Afterpop” / 2

Raul Schenardi SUR

Concludiamo oggi con questa seconda parte la pubblicazione dell’intervista di Jorge Carrión allo scrittore messicano Jorge Volpi e al boliviano Edmundo Paz Soldán sul tema delle generazioni, dei movimenti letterari latinoamericani e spagnoli degli anni Novanta e dell’inizio di questo secolo, fondamentalmente: McOndo, Crack, Afterpop.

Traduzione di Raffaella Accroglianò

J.C: Con McOndo il processo espansivo fu molto differente? Si esaurì con l’antologia? Per quanto tempo furono etichettati i suoi autori?

E.P.S.: Il prologo combattivo di Fuguet e Gómez fece sì che McOndo venisse percepito non come una semplice antologia ma come un movimento coerente, con un manifesto generazionale, nel quale tutti gli autori erano concordi nel raggiungere lo stesso obiettivo. Di fatto molti scrittori non erano d’accordo con il prologo e si allontanarono. Per esempio, qualcuno si ricorda oggi che Santiago Gamboa figurava nell’antologia? Altri, compresi noi che avevamo alcune obiezioni ma non ci separammo dal gruppo, siamo rimasti etichettati come “scrittori McOndo”. Mi fanno ancora interviste in cui devo rispondere a qualche domanda sulla mia appartenenza a McOndo.

J.C.: Finora abbiamo parlato di coincidenze nella forma dei fenomeni. Che accadde veramente in sostanza?

E.P.S.: In realtà, anche se vi fu una coincidenza temporale e obiettivi comuni fra il Crack e McOndo, penso che vi siano state pure differenze importanti. Una di queste riguarda la relazione della letteratura con la cultura popolare. A volte penso che il Crack, con la sua difesa dei romanzi “difficili”, abbia continuato a mostrare un divario gerarchico molto marcato fra cultura alta e cultura popolare. McOndo cercava un dialogo con la cultura popolare, con i mezzi di comunicazione, con le nuove tecnologie. Nel manifesto del Crack, Padilla attacca i videogiochi; a me, per esempio, sembra che alcuni degli autori più interessanti dei nostri tempi lavorino alla progettazione di videogiochi.

J.V.: Credo che tu abbia perfettamente ragione Edmundo. A Palau, Herrasti, Uroz o a me non è mai interessata troppo (finora) la cosiddetta “cultura popolare” (Nacho invece è sempre stato un fanatico dei fumetti). Io sono cresciuto con la musica classica e finora questa continua a essere la mia passione. Non so quasi nulla di musica pop, tutto il contrario per esempio di Fuguet. Nei nostri libri ci sono pochi giovani, non ci interessava dipingere quel mondo di sesso, droga e rock and roll che fece tanto furore sia in Spagna sia in America Latina. Invece siamo cresciuti tutti con la tv e il cinema, che sono fondamentali sia per McOndo sia per il Crack.

J.C.: In occasione del decimo anniversario dell’antologia, Fuguet ha scritto sul suo blog: «Presto pubblicherò quel cazzo di prologo». Come vedono quel progetto, adesso, i suoi membri?

E.P.S.: Dal 1996 al 2003 McOndo è stato una parolaccia nella letteratura latinoamericana, i suoi scrittori erano ragazzi dei quartieri alti, alienati dalla cultura nordamericana. Credo che la stessa cosa sia accaduta con il Crack. Dico 2003 perché quell’anno fu uno spartiacque. Nel congresso organizzato da Seix Barral a Siviglia mi colpì che si parlasse di McOndo come di una cosa accettata e data per scontata, senza scandali, semplicemente come parte della storia recente. McOndo può essere visto come un’intensificazione della presenza dei media e della cultura popolare già presenti nell’opera di Cabrera Infante o di Puig, ma quello che viene dopo McOndo, tutta la generazione Youtube, rivela che McOndo non era poi un granché. Per quanto riguarda il progetto rimane la sensazione ambivalente che si trattò di una sorta di raptus, ma che contemporaneamente ebbe un forte impatto proprio perché fu un raptus. Quando penso ad Afterpop, invece, sento che possiede un grado di sofisticatezza teorica che McOndo non aveva.

J.C.: Sei o sette anni dopo il Crack e McOndo, senza etichette né manifesti, nacque in America Latina un fenomeno molto differente e in qualche modo antitetico. Mi riferisco al progetto Eloísa Cartonera, che nacque nell’Argentina della crisi e si diffuse in altri paesi latinoamericani. Si tratta di un progetto di origine sociale promosso da scrittori che, a priori, non devono aver avuto, come Fuguet o come te, Edmundo, una formazione nordamericana né la possibilità economica di accedere al mondo dei centri commerciali, a Miami, all’alta tecnologia, ecc., cose che venivano rivendicate nel famoso prologo di McOndo, che poteva anche essere letto come una difesa del neoliberismo…

E.P.S.: È vero, McOndo può essere letto come un sintomo del momento celebrativo del neoliberismo che si viveva a metà degli anni Novanta nel continente. Penso che questo sia stato uno dei suoi limiti: un progetto che includeva solamente uomini, scrittori di classe media, e che non era interessato a esplorare problematiche sociali o politiche, ecc., ma credo che i compartimenti stagni di quel periodo siano cambiati. C’è un ritorno ai temi sociali e politici, e molti di noi – me compreso – abbiamo pubblicato in alcune versioni di Eloísa Cartonera sorte in paesi come Perú, Bolivia, Cile, Messico.

J.C.: I due fenomeni generazionali latinoamericani si articolano in un mondo quasi senza internet. Questa è la grande differenza rispetto a quanto è accaduto con Nocilla Dream (Il sogno della Nocilla, di Agustín Fernández Mallo, Neri Pozza Bloom, 2008; n.d.r.) e Afterpop (di Eloy Fernández Porta, Ed. Berenice 2007): il fenomeno è strettamente spagnolo. Finora questo è, secondo me, uno dei suoi difetti. Grazie ai blog e alle e-mail c’erano piattaforme d’internazionalizzazione, perlomeno nell’ambito della lingua, invece il dibattito si è limitato, in sostanza, alle nostre frontiere…

E.P.S.: Penso che la differenza principale sia che McOndo e il Crack offrono circa dieci anni di prospettiva. È più facile fare un bilancio. Nocilla e Afterpop sono fenomeni ancora in divenire, in formazione, come scattare una foto a un gruppo che si muove, credo che questo complichi un po’ l’analisi… la verità è che pure il Crack all’inizio era un fenomeno locale, messicano. È stata la cassa di risonanza spagnola ad amplificarlo.

J.V.: Come dice Edmundo, dal Crack e McOndo sono trascorsi già dieci anni, e la loro contaminazione e diffusione all’estero, in verità, è stata molto lenta. Credo che, alla fine, il congresso organizzato dalla Casa de América e dalla casa editrice spagnola Lengua de Trapo nel 1999 sia stato il detonatore dei contatti internazionali per la nostra generazione (lì diventammo amici Edmundo e io, per esempio). Nocilla e Afterpop, in effetti, sono fenomeni recentissimi ed esclusivamente spagnoli, perlomeno finora. La distanza fra ciò che succede in Spagna e in ogni paese latinoamericano continua a essere molto grande, nonostante internet e la globalizzazione. Nocilla, per assurdo, è un nome puramente spagnolo, non significa nulla in America Latina (in Messico questo prodotto si chiama “Nucita”). Per il momento mi sembra difficile che entrambe le denominazioni siano adottate o copiate in altri paesi, ma non si sa mai.

E.P.S.: In Bolivia si chiama Nutella… Io trovo alcuni punti di contatto tra McOndo e Nocilla/Afterpop: l’interesse per la cultura pop e di massa, il tentativo di raccontare l’impatto dei mezzi di comunicazione sulla soggettività, il desiderio di vedere la letteratura nella sua relazione molto intensa con un’ecologia dei media, ecc., però mi sembra che McOndo non sia un referente conosciuto dai narratori spagnoli, a differenza del Crack. O mi sbaglio? D’altro canto, sono passati dieci anni tra McOndo e Nocilla/Afterpop. È Nocilla una versione ritardata di quanto è accaduto in America Latina una decennio fa? Quali sono i cambiamenti fondamentali?

J.C.: Considera che parliamo di spazi di visibilità. Dalla metà degli anni Novanta, Afterpop era configurato, almeno in parte, in romanzi pubblicati dalla casa editrice Debate, in congressi di narrativa giovane, in articoli di Lateral… Vale a dire che l’interesse per gli audiovisivi (che poi si è tradotto in un interesse concettuale e formale per le nuove tecnologie, in una posizione ironica rispetto alla cultura pop, nella rete personale d’interlocutori, nella sperimentazione, ecc.) arriva da lontano e s’inserisce nella lista aperta degli autori spagnoli che attualmente vedono il linguaggio come un problema e non come una soluzione. Finora, però, non è stato visibile. Questo mi porta alla domanda che vi ho rivolto prima: separazione istituzionale; ciò che è latinoamericano fa tendenza o è di moda in Spagna, ed eclissa la produzione locale… Come la vedete?

E.P.S.: I mondi culturali ispanoamericani funzionano a compartimenti stagni. I lettori peruviani, per esempio, non sanno cosa si pubblica in Ecuador, e viceversa. Nel bene e nel male, per la diffusione la letteratura latinoamericana dipende dalle case editrici spagnole. Il pericolo, quindi, è provare a scrivere pensando a ciò che potrebbe interessare il mercato spagnolo. La tentazione è fortissima. E non mi sembra che ci sia impermeabilità a questi canti di sirena.

J.C.: Diego Trelles, nel prologo dell’antologia El futuro no es nuestro, dice che McOndo non aveva una base teorica solida e che la sua proposta estetica era un “simulacro inoffensivo”. Nota, inoltre, qualcosa che richiama l’attenzione: il “gruppo” è unito dal “superamento del romanzo totale”. E conclude che loro hanno optato per chiamarsi “senza onomatopeici né prefissi leziosi”. Che ne pensate del progetto?

E.P.S.: McOndo era una risposta viscerale a uno stato di cose, non c’era una base teorica bensì varie idee forza molto importanti. E la selezione dei testi aveva una certa aria familiare. Non credo che in letteratura non avere una base teorica sia un punto a sfavore. Gli onomatopeici e i prefissi sono impossibili in un’antologia come quella di Trelles, che vuole essere rappresentativa e così facendo indebolisce ogni possibilità di una proposta estetica chiara.

J.C.: Il paradosso di Bogotà 39 (incontro del 2007 di 39 giovani scrittori latinoamericani; n.d.r.) è stato che gli autori più letti erano quelli pubblicati dalla casa editrice spagnola Anagrama… Jorge dichiarò perfino che siamo una “generazione Anagrama”, perché le nostre letture sono state influenzate dal catalogo di questa casa editrice. Generazione YouTube, generazione persa, generazione X, Y o Z, Next Generation, computer di nuova generazione, generazione Nocilla o Anagrama… Forse è giunto il momento di dimenticare questa parola, non credete?

E.P.S.: Credo di sì in teoria, ma in pratica continueremo a usarla…


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