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Chi non ha vissuto l’epoca della dittatura non può parlarne. Intervista ad Alan Pauls

Gabriella Saba Alan Pauls, SUR

In attesa dell’imminente uscita per le Edizioni Sur del romanzo «Storia dei capelli» di Alan Pauls, pubblichiamo un’intervista all’autore comparsa originariamente sul quotidiano «La Nuova Sardegna» nel 2009 a cura della giornalista freelance Gabriella Saba, appassionata fra l’altro di letteratura latinoamericana e profonda conoscitrice della realtà di quel continente, anche grazie alle sue lunghe permanenze in loco, dalla Cuba del «periodo especial» al Cile dell’ultimo devastante terremoto.

di Gabriella Saba

Benché non sia un patito della natura e si definisca, anzi, un tipo urbano, allo scrittore argentino Alan Pauls non verrebbe mai in mente di passare le sue vacanze in un posto diverso da Cabo Polonio: villaggio sperduto sulla costa uruguayana, una “via di mezzo tra una comunità hippy e una villa miseria”, in cui non c’è acqua né luce elettrica e dove, per tre settimane si diverte e guardare il mare, a leggere e a tirar su l’acqua da un pozzo e, a volte, fissa per ore una duna la cui forma cambia, impercettibilmente, per il costante lavorio del vento.

“Ricordo una lettera che mi aveva scritto molto tempo prima”, scrisse di lui, qualche anno prima di morire, lo scrittore cileno Roberto Bolaño. “Mi diceva che sarebbe andato con la moglie in una comunità hippy uruguayana. Non a viverci, ma a passare qualche giorno… l’unica cosa che avrebbe fatto era finire di leggere un romanzo e contemplare una specie di duna di cui il vento cambiava la forma… però la cosa strana era che nessuno se ne accorgeva. Alla fine, caro signor Pauls, sono cose che capitano… E lei è uno dei migliori scrittori latinoamericani viventi e siamo in pochi a goderne e ad averlo capito”.

È molto probabile che Bolaño avesse ragione, eppure il cinquantenne porteño Alan Pauls non ha per nulla l’aria del divo, benché disponga di tutte le carte per fare il fenomeno: un gran talento e una bella faccia scavata e chiari capelli a spazzola, fiisico asciutto e un complessivo look per cui sarebbe appropriato (e abusato) il termine cool.

Due anni fa sfondò in Europa con Il Passato, pubblicato in Italia da Feltrinelli, e adesso è nelle librerie italiane con Storia del pianto, edizione Fazi: un piccolo romanzo perfetto che parla di un ragazzino in crescita negli anni Settanta, la sua educazione da madre e padre divorziati, la sua infantile adorazione di Superman e dopo, ma molto più tardi, l’impegno politico a metà tra l’idealismo e l’innocente, sentimentale devozione di un groopy.

Ha scritto un romanzo politico, signor Pauls?

“C’è un filo legato alla poltica ma tutto passa per l’intimità. Non mi interessa la letteratura che insegue la lotta politica. La mia intenzione era parlare degli anni Settanta”.

Lo studio è spoglio di mobili e si affaccia sulla grande, trafficata avenida Las Heras, nel cuore elegante di Buenos Aires. Ci sono un tavolo e qualche libreria. Alan Pauls organizza con attenzione il pensiero prima di confezionare le sue risposte perfette, un po’ sofferte.

“Ho scritto il libro in una grande oscurità, non avevo idea di quello che sarebbe successo, sapevo solo che volevo sviluppare il concetto di testimonianza e quello di intimità e politica”.

Tra le altre cose, il ragazzino adora il padre e piange solo quando è con lui: però le lacrime si congelano man mano che cresce, e infatti non riesce a piangere davanti alle immagini, in diretta televisiva, del bombardamento del Palazzo della Moneda che pure, lacrime a parte, lo sconvolgono. Da qui, il titolo del libro. Storia del pianto è il racconto di un’interiorità sofferta che passa per molte tappe tra cui, ma è quasi incidentale, quella politica.

Dunque, tornando a Bolaño. Fu solo un rapporto epistolare o lo incontrò, alla fine?

“No, non ci incontrammo mai. È stata una relazione per corrispondenza, come avveniva tra scrittori nel diciannovesimo secolo. Durò dal ‘98 a poco prima che morisse. Non ci scrivemmo molte volte, in realtà. Avevo letto Los detectives salvajes e gli scrissi che mi era piaciuto moltissimo, lui mi rispose e ci scambiammo qualche mail, ogni tanto. Mai niente di troppo personale, è stata una relazione che definirei intima e distante a un tempo, cioè da letteratura”.

Nel 2003 ha vinto il Premio Herralde de Novela con Il Passato, romanzo di amore e di ossessione su una coppia perfetta che finisce per rompersi, ma lei continua a inseguire lui, non si capisce se per amore o perché è ossessiva, addirittura pazza.

“Non so”, riflette Pauls e la domanda, probabilmente, non gli piace. “Non riesco a distinguere, in amore, tra patologia e normalità. L’amore non è pur sempre una situazione patologica, con la sua carica di dipendenza, di possessività e gelosia?”.

Esistono, però, amori equilibrati.

“È vero, ma non mi servono per le mie storie”.

In ogni caso, Il Passato non era il suo primo romanzo. Ne aveva scritti altri tre, più alcuni saggi. E poi, sceneggiature. Di professione fa ancora il giornalista, anche se free lance: qualche anno fa ha lasciato il prestigioso quotidiano «Página 12», in cui ha lavorato per sette anni. Scrive i  suoi libri e inoltre articoli, fa conferenze.

Storia del pianto ha, come sottotitolo, El testimonio.

“Mi è sembrato che di quegli anni, degli anni Settanta, non si potesse scrivere senza parlare da un testimone. Qui”, si lamenta “c’è ancora il problema che chi non ha vissuto l’epoca della dittatura non può parlarne. Il problema è che molti di quelli che vissero quegli anni sono oggi al potere. In ogni caso, a me interessava occuparmi del periodo precedente il ‘76, perché di quello dopo si è parlato molto”.

Anche nel prossimo romanzo si occuperà di quegli anni.

“L’ho quasi finito, si intitola Storia del capello. E poi, subito dopo, ne ho in programma un altro. Si chiamerà Storia del denaro. E ancora non so bene cosa scriverò, però la traccia è questa, grosso modo: l’economia degli anni Settanta”. Guarda per qualche secondo un punto vago oltre la finestra, qualcosa che non è in quella stanza e forse nemmeno nella città. Sono le sei di sera e Buenos Aires, lì sotto, è piena di traffico.

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