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Guillermo Cabrera Infante

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È in libreria La ninfa incostante [2], dello scrittore cubano Guillermo Cabrera Infante, e pubblichiamo la voce dedicatagli da César Aira nel suo Diccionario de autores latinoamericanos (Emecé – Ada Korns, 2001), ringraziando l’autore che ci ha autorizzato a “saccheggiare” quest’opera, dalla quale abbiamo già ripreso le voci dedicate a Juan Carlos Onetti [3] e Roberto Arlt [4].

Con un’avvertenza per il lettore: Cabrera Infante è morto nel 2005, ed è uno dei pochi autori ancora in vita accolti nel Dizionario di Aira. La ninfa incostante è stato pubblicato nel 2008, e insieme ad altri libri inediti dell’autore (Cuerpos divinos e El mapa hecho por un espía) non viene ovviamente preso in esame dall’autore.

di César Aira
traduzione di Raul Schenardi

Nacque a Gibara, Cuba, provincia di Oriente, nel 1929. Nel 1941 si radicò all’Avana con la famiglia; interruppe gli studi (aveva pensato di diventare medico) per fare diversi mestieri e poi finire nel giornalismo. Nel 1954 fu responsabile della sezione di critica cinematografica del settimanale Carteles, di cui divenne caporedattore nel 1957. Fra il 1951 e il 1956 diresse la Cinemateca di Cuba, da lui fondata. Alcuni suoi racconti vinsero dei premi e furono raccolti in volume nel 1960 con il titolo Así en la paz como en la guerra. Nel 1959, con il trionfo della Rivoluzione, diresse l’Istituto del Cinema e l’importante supplemento letterario Lunes de Revolución, che poi venne chiuso nel 1961.

Nel 1962 andò in Belgio come addetto culturale. Nel 1963 comparve una raccolta delle sue critiche cinematografiche, Un oficio del siglo XX, firmata con lo pseudonimo che aveva usato per pubblicarle originariamente, G. Cain. Nel 1964 il suo romanzo Vista del amanecer en el trópico vinse il premio Biblioteca Breve della casa editrice Seix Barral di Barcellona, ma il libro non poté essere pubblicato a causa della censura spagnola. Nel 1965 Cabrera Infante tornò a Cuba per i funerali della madre, rinunciò all’incarico diplomatico e tornò in Europa (è probabile che la sequenza di questi ultimi due fatti sia stata quella inversa); si insediò a Londra, dove ha vissuto da allora dedicandosi alla letteratura e occasionalmente alla scrittura di sceneggiature per il cinema.

Il romanzo premiato e censurato in Spagna venne finalmente pubblicato nel 1967, profondamente modificato e con il titolo di Tres tristes tigres; una volta liberatosi dei suoi impegni verso il governo del suo paese, l’autore eliminò la prolissa moralità politica e lasciò soltanto la materia narrativa, lavorata in una lingua ricca di espressioni colloquiali, allitterazioni e puns. L’autore ha spiegato la genesi emotiva di questo romanzo, che tradiva la sua prima versione: rendere omaggio a (e lasciare testimonianza di) certi stili di vita, della vita notturna dell’Avana, condannati all’estinzione dalla morale socialista.

Anche il suo secondo romanzo, comparso molto tempo dopo, paga un tributo a questo proposito di riscatto, di tipo quasi etnologico. La Habana por un infante difunto (1979), minuziosa autobiografia degli anni – o piuttosto degli amori – giovanili, fu accolto con qualche riserva dalla critica, ma poi finì per essere apprezzato in tutto il suo valore, che è molto. La sua prosa è vertiginosa, esplicativa, costellata di incisi e di parentesi, e si smarrisce in occasionali allitterazioni che la rendono ancora più languida. L’esclusione di altri interessi al di fuori di quello erotico (“erotico, cioè memorabile”, dice l’autore) contribuisce alla fascinazione, non meno intensa per il fatto di essere diluita, che il libro sa suscitare. Si potrebbe considerare l’epitome definitiva della letteratura dell’esilio. Sprovvisto di trama, di progressione, di struttura, il suo unico obiettivo è ricordare, e dare un’entità oggettiva ai ricordi.

Fra i due romanzi, Cabrera Infante pubblicò altri quattro libri: Vista del amanecer en el trópico (1974), con lo stesso titolo della prima versione di Tres tristes tigres ma con un contenuto del tutto diverso, è una serie di brevi immagini della storia cubana, senza nomi né date; l’intento, magnificamente raggiunto, è dimostrare che la storia, quella cubana e tutte le altre, non è stata altro che un catalogo di inutili atrocità; O (1975) è una raccolta di articoli e saggi; Exorcismos de esti(l)o (1976), prose sperimentali o ludiche; Arcadia todas las noches (1978), cinque saggi su altrettanti registi cinematografici nordamericani. Si tratta di conferenze tenute nel 1962 come introduzione alle proiezioni della Cinemateca dell’Avana; si può leggerle come una sorta di romanzo che ha per protagonista il giovane presentatore pedante e commovente nel suo entusiasmo per il cinema; il che non significa in alcun modo sottovalutare la genuina conoscenza della materia dimostrata da Cabrera Infante, né il suo acume critico.

Dopo La Habana… passarono vent’anni senza che l’autore pubblicasse un libro nuovo. Come Léautaud, Cabrera Infante sembra essere uno di quegli scrittori che hanno bisogno dell’esperienza vissuta come stimolo per scrivere, e l’esilio chiuse la possibilità di quell’esperienza, perlomeno nel suo valore per la trasmutazione letteraria. Comunque seguirono altri libri, raccolte o rifacimenti di vecchi testi, o esperimenti saggistici: Holy Smoke (1985), scritto in inglese, è una storia dell’uso e del piacere del tabacco; Mea Cuba (1993) una virulenta raccolta di articoli contro il regime castrista; Delito por bailar el chachachá (1995), tre racconti che ne riprendono uno scritto negli anni Sessanta; Ella cantaba boleros (1996) isola la storia centrale di Tres tristes tigres; Cine o sardina (1997), ampia e variegata raccolta di articoli sul cinema; Vidas para leerlas (1998), riedizione parziale, con articoli nuovi, di Mea Cuba.