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Perché ci piacciono tanto le liste?

Cristian Vázquez ci racconta perché le liste ci accompagnano sempre, perché ne facciamo di continuo e perché non possiamo vivere senza. L’articolo, uscito originariamente su Letras Libres [1], viene qui riprodotto per gentile concessione dell’autore.

di Cristian Vázquez
traduzione di Giulia di Filippo

1.

L’anno è finito, così come il periodo delle liste delle cose migliori del 2017. Un periodo di cui alcuni si lamentano: sanno che una di queste liste è sempre dietro l’angolo. Sembra quasi che lo spirito natalizio comporti una sorta di febbre per le liste. Tuttavia, non sono un’esclusiva di dicembre. Facciamo liste di continuo, in ogni momento: quella della spesa, quella dei luoghi del mondo dove non siamo stati, quella delle canzoni che vogliamo ascoltare su Spotify per la prossima mezz’ora, quella delle cose da fare prima di morire, quella delle liste che facciamo in ogni momento, e un interminabile eccetera (non dovrei usare questa parola, poi capirete perché).

Perché ci piacciono tanto le liste? Probabilmente il motivo principale è la pigrizia. Una lista trasmette informazioni in modo che siano facili da leggere, da interpretare, da capire. Rivela sin dall’inizio di quanti elementi è composta per poi enumerarli uno a uno, in maniera chiara e ordinata: quale viene prima, quale viene dopo. Non bisogna pensare, né valutare. Se poi ogni voce è preceduta da uno spazio bianco, o ricorre a un asterisco per aprire il paragrafo, o a una o più parole in grassetto, in corsivo o in maiuscolo, o tutte queste cose insieme, è impossibile perdersi. Successo garantito.

È per questo che il web è pieno di liste. Sono facili, acchiappano bene. Sono i risultati principali delle ricerche su Google. Se poi la proliferazione di liste fa sì che titoli come «37 ragioni per non andare in Australia» comincino a perdere il loro fascino, un rafforzativo tra parentesi («non crederai alla numero 9») restituisce loro vitalità. Quando a tutto ciò si aggiunge l’ossessione per i bilanci di fine anno, il banchetto è servito. Se vi piacciono, è il momento dell’abbuffata.

 

2.

Ricardo Piglia, in una nota a Los diarios de Emilio Renzi datata 13 maggio 1970 scrive:

Come facevo prima con i racconti e prima con i libri che avevo letto, e prima con i musicisti di jazz, e prima con i giocatori di calcio e prima con le serie di fumetti, faccio liste. Liste della spesa, liste delle cose da fare, liste di amici da vedere, liste di amiche da chiamare, liste di città che non conosco, liste dei capitoli del romanzo che sto per scrivere. Le liste mi hanno sempre tranquillizzato, come se appuntandomi le cose mi dimenticassi del mondo e, in alcuni casi, come se lo stesso appuntare fosse già fare ciò che immagino o prometto, come se avessi già scritto il romanzo di cui mi sono appuntato i capitoli.

Per noi che scriviamo, in effetti, le liste sono delle alleate sempre fedeli. Nel capitolo dedicato alle liste, nel suo libro Essayism, lo scrittore irlandese Brian Dillon racconta che fa liste di tutto quello che vuole inserire nei suoi testi:

Penso il saggio come un recipiente: voglio calmare l’ansia che viene con la scrittura e, se ho un piano (e i miei piani sono sempre liste, non diagrammi), non dovrò affrontare la pagina o lo schermo bianco senza una parola o un’idea in mente. Mi basta seguire i punti della mia lista dalla A alla Z, dal primo all’infinito.

Ad ogni modo, Dillon sottolinea che se la lista fa bene il suo lavoro «lascia sempre spazio alla possibilità di inventare o di ricordare qualcosa che si è dimenticato al momento della sua stesura». In questo senso, scrivere è come un viaggio, come ricordano gli appunti di Liliana Villanueva nel libro Las clases de Hebe Uhart: «al momento di scrivere ci deve essere un attimo di esitazione, devo sapere e non sapere dove vado, affinché il testo sia come un viaggio e affinché si presentino novità durante il percorso, che è la cosa migliore che mi possa succedere. Ho una visione d’insieme, ma lungo la strada mi succedono cose».

Tutti facciamo delle liste, anche solo mentali, prima di un viaggio: cose che non possono mancare nella valigia, posti da visitare una volta a destinazione, persone a cui comprare regali… Gli insegnamenti della Uhart raccolti dalla Villanueva vanno ancora oltre: «il lavoro dello scrittore non è tanto il lavoro di scrivere, quanto tutto il processo preliminare di ideazione». Ovvero, il processo di fare liste.

 

3.

In letteratura «le liste sono una maniera eccellente di comunicare lusso, abbondanza e corruzione», afferma Brian Dillon citando un articolo di William Gass. Offre come esempio le pietre che Dorian Gray ordinava e riordinava nel romanzo di Oscar Wilde: «il crisoberillo verde oliva che diventa rosso alla luce della lampada, il cimofane con le sue striature d’argento, il crisolito color pistacchio, i topazi rosa o ambrati come il vino, i carbonchi di uno scarlatto intenso con le tremule stelle a quattro punte, i granati fiammeggianti, le spinelle arancioni e violette, e le ametiste con i loro strati alternati di rubino e zaffiro».

Un altro esempio è quello di Francis Scott Fitzgerald che, in Tenera è la notte, descrive il personaggio di Nicole attraverso alcune delle cose che compra, sfruttando, così, quello che lo scrittore britannico David Lodge definisce «il potenziale espressivo di un elenco nel discorso narrativo». Nel capitolo dedicato alle liste, nel suo libro L’arte della narrativa, una specie di manuale con consigli per scrittori, Lodge spiega:

«Oggetti da poco prezzo, comuni, come le perline colorate, e articoli di uso domestico come il miele sono mescolati promiscuamente con grossi oggetti funzionali, come il letto, giochi costosi come quello degli scacchi in oro e avorio, frivolezze come l’alligatore di gomma. Nell’elenco non esiste nessun ordine logico, nessuna gerarchia di prezzo o importanza, non c’è un raggruppamento di articoli secondo qualsiasi altro principio. E proprio qui sta il punto».

In un testo del 1976 intitolato «Note sugli oggetti che si trovano sulla mia scrivania», Georges Perec si lamentava del fatto che «la scrittura contemporanea, salvo qualche rara eccezione (Butor), ha dimenticato l’arte di enumerare: le liste di Rabelais, l’enumerazione linneiana dei pesci in Ventimila leghe sotto i mari, l’elenco dei geografi che hanno esplorato l’Australia nei Figli del capitano Grant…» L’era di internet (che per Perec sarebbe stata una festa interminabile) ha recuperato il desiderio di fare liste. O almeno così sembra. Bisognerebbe fare uno studio, sempre che nessuno l’abbia già fatto, sullo stato attuale della questione.

 

4.

Anni fa, un amico decise di aprire un chiosco. Quando andò all’ufficio municipale competente per chiedere informazioni sulle condizioni a cui si sarebbe dovuto attenere, gli consegnarono una lista dei prodotti che si potevano vendere in un’attività di quel tipo: caramelle, lecca-lecca, alfajores, sigarette, cioccolata, bibite analcoliche… Il documento enumerava decine e decine di articoli, in maniera sempre più dettagliata, come se avesse la pretesa di includere tutti i tipi, famiglie, generi e specie di leccornie e dolciumi, per poi alla fine, laggiù in fondo, chiudersi con un laconico «ecc.». Eccetera! Perché addentrarsi in tali precisioni, perché annoiarci con tanta minuzia di possibilità, se ci aspetta il finale aperto a cui sempre ci condanna la parola eccetera?

Perec, nel suo articolo, si rivelava categorico: «Nulla sembra più semplice della stesura di una lista, mentre invece è molto complicato: ci si dimentica sempre qualcosa, si è tentati di scrivere ecc., ma, giustamente, in un inventario non si scrive ecc.». A meno che uno sia, come Borges, capace di comporre una classificazione simile a quella dell’Emporio celeste di conoscimenti benevoli, in cui la categoria «eccetera» non è l’ultima e si trova allo stesso livello degli animali «che s’agitano come pazzi», «che hanno rotto il vaso» e «che da lontano sembrano mosche».

“Non c’è classificazione dell’universo che non sia arbitraria e congetturale”, scrive Borges nello stesso testo. “La ragione è molto semplice: non sappiamo che cosa è l’universo.” È in virtù di questa arbitrarietà che ci sono liste e liste di qualsiasi cosa. È vero, a volte sembrano troppe e uno si sente angosciato e oppresso, e gli viene voglia di urlare “Basta con queste liste!” Ma ecco allora che spunta un link che promette, per esempio, le dieci azioni più singolari della Copa Libertadores 2017, il tutto in modo chiaro e ordinato e senza nessuno spiacevole eccetera. È un’offerta che non si può rifiutare. [1] [2]

 

© Cristian Vázquez, 2018. Tutti i diritti riservati

 

 

[1] [3] Le citazioni all’interno dell’articolo provengono dalle seguenti edizioni: Borges, J. L., Altre inquisizioni, trad. di Francesco Tentori Montalto, Feltrinelli 1985; Lodge, D., L’arte della narrativa, trad. di Mary Buckwell e Rosetta Palazzi, Bompiani 2006; Perec, G., Pensare/Classificare, trad. di Sergio Pautasso, Rizzoli 1989; Wilde, O., Il ritratto di Dorian Gray, trad. di Luciana Pirè, Giunti 2004.
Le traduzioni di Piglia, Dillon e Villanueva sono mie. [n.d.t.]