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La salsa e il suicidio. Andrés Caicedo: cultura giovanile e cultura della violenza in Colombia / 3

Francesco Varanini Andrés Caicedo, SUR

Concludiamo oggi la pubblicazione del saggio di Francesco Varanini dedicato ad Andrés Caicedo e al suo romanzo «Viva la musica!» ricordando che fa parte del volume «Viaggio letterario in America latina» e ringraziando l’autore.

di Francesco Varanini

A Cali

Verso la fine del 1973, in quelle stesse notti in cui María del Carmen si trascina da un locale all’altro, e Caicedo coltiva la sua solitudine guardando film e scrivendo, a Cali si riunisce un gruppo clandestinamente di politici e di guerriglieri di diversa provenienza. Nel gennaio successivo appare sui giornali una campagna pubblicitaria: “Contro vermi e parassiti… Aspettate: M-19”. Poteva sembrare il lancio di un nuovo medicinale, ma tutto si chiarisce il 19 aprile, quando il Movimiento 19 de abril compie la prima azione: un gruppo di militanti penetra nella Quinta di Bolívar, a Bogotá, e si impossessa della spada del Libertador.

Cali sarà teatro di diverse azioni della organizzazione guerrigliera. Gesti esemplari, come nel ’79 quando viene requisto un camion, e seimila bottiglie di latte sono distribuiti in un quartiere povero della città. Azioni violente, come quando nel marzo 1986, al termine della campagna “Paso de Vencedores” l’M-19 arriva a prendere il controllo di zone della città. Ma è un colpo di coda; l’M-19 ha già chiuso la sua stagione. Da quando nel 1983 è morto Jaime Bateman, [5] un vero genio della politica, per il movimento le cose sono andate sempre peggio.

Quella che voleva essere testimonianza armata contro la violenza è divenuta puro esercizio di violenza, uguale a quella praticata dall’esercito regolare, da altre organizzazioni della guerriglia e dai nuovi attori: i Cartelli della droga, uno dei quali proprio a Cali ha il centro dell’attività. È una Cali più crudele; Caicedo ha scelto di non vederla. Eppure in questa città si realizza un suo piccolo sogno. La salsa è musica antillana, caribica. La Colombia è sì lambita dal movimento della salsa, ma solo perché si affaccia sul mar del Caribe, la costa caribica, quella dove erano cresciuti Bateman, rivoluzionario anomalo, e Márquez. Cali, ridente città dall’eterna primavera, resta comunque una città andina, dove il colore ed il calore della salsa giungono solo come eco. Ma ecco negli anni ottanta affermarsi a Cali un originale scuola di salsa.

La salsa di Jairo Varela e del suo gruppo Niche (che sta per ‘negro’) non ha testi politicamente corretti alla Rubén Blades. Varela mette in musica spezzoni di frasi ascoltate per strada, lingua viva, non normalizzata, saggezza popolare, miti di massa, le stupide parole del gergo colloquiale.

E la prima volta che è in tournée all’estero scrive Cali pachanguero (potremmo tradurre Cali che balla), un nostalgico tributo – kitsch, pop, ingenuo ma sincero – al culto di Cali. Kali, scrive talvolta Caicedo, che di certo avrebbe inserito questo brano nella discografia posta in appendice a ¡Qué viva la musica!.

Possiamo anche immaginare come Caicedo avrebbe recensito i dischi di Varela: con manifestazioni di stima, ma con un tono per principio non amichevole, e ricordando l’opportunità di restare fedeli alla filosofia di Roger Corman. Prodotti poveri e anche un po’ raffazzonati, film di serie B realizzati in deroga agli standard hollywoodiani, in pochi giorni di lavoro accanito. Opere che proprio in virtù di questa loro relativa incompiutezza e provvisorietà si mostravano efficaci.

E sarebbe piaciuto a Caicedo il progetto di Varela: investire il frutto dei suoi successi newyorchesi in una discoteca nel nord di Cali (il quartiere dove spendeva le sue notti María del Carmen), una discoteca che nel nome doveva evocare un mito cinematografico: La chica en rojo.

Sguardo femminile

Per quale motivo una autobiografia immaginaria al femminile?

Caicedo sceglie con determinazione di guardare la scena dal basso, dal punto di vista degli ultimi. E gli ultimi non sono (come vorrebbe una certa retorica) i contadini con sangue indio nelle vene: loro almeno posseggono una solida cultura, forti radici. Gli ultimi sono i ragazzi del ‘proletariato giovanile’: delusi dai propri padri e dal proprio paese; troppo lontani da Londra e da New York e dalla California per sentirsi parte di una controcultura che forse laggiù sta crescendo. E gli ultimi degli ultimi sono le ragazze, oppresse anche da una cultura fortemente machista, intrinsecamente violenta.

La scena può dunque essere pienamente letta e criticata solo da uno sguardo femminile; più pietoso, più acuto, più attento ai dettagli. Solo raccontandosi in prima persona María del Carmen può parlarci di come, consapevole di non potersi salvare, sceglie di essere artefice della propria distruzione. Offrendosi sempre per evitare lo stupro.

Se la violenza della Colombia contemporanea è tutta machista , la violenza di ¡Qué viva la música! è vissuta al femminile. Non l’uso di un arma, nessun grido, nessun gesto esplicitamente violento, ma la solitaria e silenziosa assunzione di barbiturici.

E se nelle periferie di Cali la guerriglia e gli eserciti privati dei Cartelli della droga sono solidamente radicati, la città sarà ricreata come mitico scenario ludico, nel segno liberatorio della salsa. Rispetto al rock – hard, heavy metal – più femminile la salsa, più rotonda, legata ad un uso più consapevole del corpo.

Lo sguardo di María del Carmen segna la distanza dal  machismo della letteratura colombiana. In Rivera natura selvaggia, foresta da conquistare e domare. In Márquez guerre infinite, generali e colonnelli e morti annunciate e sequestri e di rivoli di sangue che attraversano interi villaggi: tutto però trasfigurato in favola, o peggio in sogno esotico, cosicché il vero dolore, la pena ed il pianto sono allontanati, rimossi.

La Colombia di Caicedo appare incommensurabilmente diversa: dolorosa, ferita, piena di angoscia.

Cumplir

Annullandosi nella propria opera e rinunciando alla vita, l’autore, per sé e  per una intera generazione, conquista il diritto al ricordo. Caicedo può dire con piena coscenza di haber cumplido, di aver fatto la sua parte. Può dirlo per sé, e a nome di gente come Bateman, o lo stesso Varela. E a nome tutti i giovani anonimi che hanno testimoniato a modo loro il loro dissenso, magari solo intontendosi con la salsa. Gente vissuta in un momento storico particolarmente duro, che ha chiesto tanto ai colombiani, e che non si è tirata indietro. “La mia modesta opinione, vedendo le loro facce, le loro bocche, le loro occhiaie, è che loro, i miei amici, hanno fatto la loro parte. Siamo le note dolci e dolenti del violino. Se la ridevano di noi e guarda adesso.”

Per quanto lo riguarda, Caicedo sa che per cumplir fino in fondo non poteva percorrere altra strada. Usare e ri-usare fino all’estremo limite cinema e musica pop: appropriarsene, perché tutto questo non ci possa essere imposto dall’esterno. Mettere a repentaglio la propria vita e scegliere di perderla a modo proprio, perché sarebbe stata comunque una vita priva di libertà. Togliersi con le proprie mani dalla scena prima che la scena si accorga di noi e prenda in considerazione la possibilità di usarci.

Come non di rado accade, tutto appare riassunto in un dettaglio che sta ai confini dell’opera; ci dice quasi ogni cosa quella fotografia sulla quarta di copertina: il volto giovanissimo e imberbe, lo sguardo basso ma straordinariamente intenso dietro gli occhiali.

 

Note

5. Jaime Bateman Cayón, mulatto originario di Santa Marta, sulla costa caribica, la terra più allegra e pacifica della Colombia, incarna in modo originale la figura del rivoluzionario latinoamericano. Prima di fondare l’M-19 aveva militato nella Juventud Comunista, nel Movimiento Revolucionario Liberal, era stato a fianco di Camilo Torres, guerrigliero nelle FARC. Espulso dal Partito Comunista aveva lavorato nell’ANAPO. Alto, sorridente, gran naso, gran capigliatura afro, estroverso, casinista, gran ballerino, buon bevitore, creativo, dotato di immensa immaginazione. Aveva scelto il suo nome di battaglia –Pablo – in riferimento a quella sorta di manifesto delle condizioni del sottoproletario ispanoamericano che è la salsa Pablo Pueblo di Rubén Blades. Bateman, popolarissimo, carismatico, dalla clandestinità candidato alla Presidenza della Repubblica e interlocutore autorevole del governo, muore nell’aprile 1983, a quarantatre anni, in un misterioso (ma a guardare altrimenti, forse per niente misterioso) incidente mentre vola con piccolo aereo monomotore sopra un zona di folta selva, diretto verso Panamá.

A differenza delle altre organizzazioni guerrigliere, l’M-19 arriverà a deporre le armi. Nel 1990 ottiene la maggioranza relativa nell’Assemblea Costituente. Carlos Pizarro, ex guerrigliero canditato alla presidenza della repubblica per l’M-19 è ucciso dai narcotrafficanti. Prende il suo posto Antonio Navarro Wolf, che sarà ministro.

Nel 1981 Márquez temeva di essere formalmente accusato di connivenze con il movimento. Aveva poi incontrato Bateman nel febbraio del 1983, “fuori dal paese, con il consenso del presidente della Colombia”, spinto dal “proposito impenitente di propiziare la pace interna”. Nella primavera di due anni prima Márquez, temendo un interrogatorio a proposito della sua presunta connivenza con l’M-19, aveva precipitosamente lasciato la Colombia.

Inizialmente il Cartello di Medellín domina la scena. Ma all’inizio degli anni novanta prenderà il sopravvento il Cartello di Cali, più accorto, più capace di lavorare senza ostentazione dietro le quinte, colludendo con apparati dello stato.

Secondo stime attendibili attorno alla metà degli anni ’80 nel narcotraffico lavorano due milioni di colombiani. Il giro d’affari è probabilmente pari a circa il 10% del prodotto interno lordo.

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