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I brani tagliati da L’Angelo dell’abisso

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La prima edizione di Abaddón el exterminador di Ernesto Sabato risale al 1974 (Seix Barral, Spagna) e nel 1977 uscì una traduzione italiana a cura di Paolo Vita-Finzi (Rizzoli) con il titolo L’Angelo dell’abisso. Successivamente Sabato continuò a rielaborare il testo e nel 1990 pubblicò quella che lui stesso definì la “versione definitiva” del romanzo. Un confronto fra i due testi mette in luce numerosi cambiamenti, aggiunte e soppressioni. L’edizione Sur [2] si basa naturalmente sull’edizione definitiva, ma forse qualche lettore appassionato dell’opera di Sabato sarà incuriosito da uno dei più lunghi brani soppressi, che presentiamo oggi sul blog con un’avvertenza: le pagine che seguono portavano il titolo Bene, lo strutturalismo! e figuravano prima del capitoletto intitolato Bruno era affascinato dalla faccia di quel Puch, a pag. 190 dell’edizione Sur. Buona lettura.

Bene, lo strutturalismo!

di Ernesto Sabato
traduzione di Paolo Vita-Finzi

[…]

I ragazzi continuavano a discutere e ad accusarsi a proposito di strutturalismo, Marcusa, imperialismo, Sartre, rivoluzione, Cile, Cuba, Mao, burocrazia sovietica, Borges, Marechal.

– E allora?

– Allora che cosa.

Quel che il Cosacco, con voce inadeguatamente acuta, voleva dire era se allora si doveva smettere di scrivere.

– E tu chi sei?

– Mauricio Sokolonski, con la i latina, 23 anni, segni particolari n.n.

S. lo esaminò. Non scriveva, per caso?

– Devo ammetterlo.

E che cosa scriveva?

– Aforismi. Aforismi di un selvaggio. Io sono molto brutale, sa.

– Che genere di aforismi?

– Lei mi disse che erano eccellenti.

– Io? Quando?

– Quando le mandai il libro. Ritratto nel risvolto di copertina. Non deve averla impressionata molto, a quanto vedo.

– Ah sì, certo. Sokolinski con l’i latina, naturalmente. Bene: e allora?

– Ci sono migliaia di riviste nelle edicole della calle Corrientes che masticano la stessa cosa.

– Che cosa?

– Che la letteratura non ha più senso.

– Scusatemi – intervenne S. – ma quei ragazzi cosa sono? Operai edili, metallurgici?

– No, natturalmente no. Scrittori, o per lo meno scrivevano in riviste. E allora?

Allora che cosa.

– Niente – affermò Silvia –: soltanto, sarebbe coerente da parte loro finirla di pubblicare quelle riviste. Che comunque non solleveranno le masse del Nord-ovest. Prendano un fucile, passino alla guerriglia. Questa sarebbe coerenza.

– Però anche ammettendo che passino alla guerriglia – proseguì S. – questo deporrebbe molto in favore di quelli che si decidessero, ma non per questo risulterebbe invalidata la letteratura, non i libri tipo Marx o Bakunin, ma la letteratura in senso stretto. È come se la medicina fosse stata squalificata per l’atteggiamento di Guevara. Un’altra cosa: quando un quartetto di Beethoven servì a fomentare la Rivoluzione francese? Si dovrebbe allora negare la musica per questa inefficacia? Non soltanto la musica: la poesia, quasi tutta la letteratura e tutta l’arte. Se non ricordo male la dialettica marxista, una società non è matura per una rivoluzione se non è capace di comprendere quel che c’è di valido e per tanto di riscattabile nella società a cui si vuole sostituire. Mi sembra che lo abbia detto lo stesso Marx. Questi ragazzi sono più marxisti di Marx?

– Primo – stabilì Silvia –: che questi ragazza della calle Corrientes…

– E tu, di dove sei – interruppe araujo.

– Che questi ragazzi della calle Corrientes che s’esaltano a vicenda con le loro riviste simmetriche smettano di scrivere e prendano un fucile. Secondo…

– Un momento – interruppe Sabato – non leggo quelle riviste. Però insisto nel dire che le rivoluzioni non si preparano solo col fucile. E può darsi che qualcuna di queste riviste aiuti.

– Secondo, che lascino in pace le arti e le lettere mentre faranno la Rivoluzione.

– Sì – notò il Cosacco – però la maggioranza non entrerà nella guerriglia; se la caveranno dicendo che il loro dovere di combattenti è quello di aiutare la loro trincea.

– Trincea? Che trincea?

– La letteratura.

– Ma come, non eravamo rimasti d’accordo che la letteratura non ha senso? Che non aiuta a rovesciare questa società putrefatta?

– Certo. Ma questa letteratura.

– Quale, per favore.

– Dante, Proust, Joyce, ecc.

– Vale a dire, tutta la letteratura.

– Naturalmente.

– Ma allora – si risolse a interloquire S. – quale sarebbe l’altra?

– Le spiegherò – rispose Silvia. – Questi ragazzi hanno scelto la letteratura, continuano a fare gli scrittori, e di lì, da quel fronte, dicono o fingono di credere che assaliranno la Caserma della Moncada. Di qui la loro petizione di principio: la possibilità d’una specie di Libro Rivoluzionario, modello assoluto collo cato in un cielo dove Platone detiene, fra altri oggetti ideali, la faccia di Fidel. A partire di lì decretano quali libri si accostano a quell’archetipo, e quali no.

– Se non ho capito male – disse Sabato – quali no è tutta la letteratura.

– Effettivamente. Quella letteratura, cioè tutta la letteratura, questi rivoluzionari la mettono nella stessa cassetta delle sciarade e delle parole incrociate. Giuochi gratuiti. Fuori dalla cassetta rimarrebbe la Letteratura Rivoluzionaria, che ha l’efficacia di un mortaio.

– L’unico inconveniente di quella letterattura – osservò Sabato – è che non esiste.

– Le pare? – osservò gelidamente Araujo.

– A meno di chiamare letteratura rivoluzionaria i proclami, i discorsi da barricata e i libelli. O le opere teatrali sovietiche in cui il Trattorista Decorato convola a nozze con la Stakanovista Premiata per generare Figli della Rivoluzione chimicamente puri. Anche i francesi, del resto, non fatevi illusioni, al tempo della loro rivoluzione. V’erano opere (lo raccontano, perché è come una leggenda, sono scomparse dall’orizzonte tanto erano brutte) intitolate Vergine e Repubblica.

Araujo e Silvia si misero a litigare violentemente.

– Però questi terroristi della critica di sinistra – disse Silvia – continuano a cercare la quinta ruota del carro, e vedono un colonialista in qualunque autore di racconti fantastici. E il comico si è che in fondo all’anima sono dei letterati.

– Perché non smettono di scrivere nemmeno un secondo – chisò il Cosacco.

– E nemmeno lasciano scrivere gli altri.

Ma Sabato, che diceva?

Li ascoltava, gli sembrava inverosimile che si discutessero ancora certe cose. S’erano dimenticati che Marx recitava Shakespeare a memoria?

– Chi glielo dirà: Shakespeare ha scritto quel Libro Rivoluzionario e i ragazzi di calle Corrientes non lo sanno.

Va bene, lasciamo in pace il povero Karl Marx, che a quanto pare era un incurabile romanticopiccoloborghesecontrorivoluzionarioalserviziodell’imperialismoyankee.

– Ma allora – chiese inaspettatamente quel tale d’aspetto indigeno, che s’era mantenuto nel suo silenzio ieratico – a parte di fare il guerrigliero non si può far nulla con libri in favore della Rivoluzione?

– Stiamo parlando di finzione, di poesia, diamine – disse Sabato, già annoiato –. Certamente si può far molto per la Rivoluzione con libri di sociologia, di critica, l’ho già detto in principio. Il Manifesto comunista è un libro, non è una mitragliatrice. Stiamo parlando di scrittori in senso stretto. Che qualcuno cerchi d’aiutare la rivoluzione con un manifesto, con una critica delle istituzioni, con un lavoro di genere giornalistico o filosofico, non solo è possibile, ma anche doveroso, se pretende d’essere un rivoluzionario. Ma la cosa si fa grave quando si confondono i piani. Come se si sostenesse che quel che è valido in Picasso è la sua celebre colomba, mentre le sue donne di profilo con due occhi sarebbero marcia arte borghese, come ancora sostengono i critici sovietici: la polizia del realismo socialista.

Qualcuno parlò di una mostra di Picasso a Mosca.

– Chi? Come?

Cominciò una confusa discussione a base di urli fra i ragazzi.

– Non perdiamo il tempo con questa discussione inutile – disse Sabato. – Non so se alla fine hanno fatto o no un’esposizione di Picasso. Parlo della dottrina ufficiale, che è il fatto grave. Non credo che la colomba abbia evitato un solo bombardamento nel Vietnam, ma almeno è una cosa legittima. Illegittimo invece è sostenere che solo quella è arte, che quel genere di manifesti è quanto deve fare un pittore che vuole un cambiamento nella società. Illegittimo è confondere i piani, e l’arte coi manifesti. A volte ci vengono a sostenere che ora l’arte non può concedersi questo genere di lussi, mentre il mondo sta crollando. Ma stava crollando anche al tempo della Rivoluzione francese, e un artista come Beethoven era rivoluzionario, sino a stracciare la dedica a Napoleone quando mancò alle sue promesse. Tuttavia Beethoven non scriveva marcette rivoluzionarie. Scriveva grande musica. Non fu Beethoven a scrivere La Marsigliese.

– È chiaro! – gridò quasi Puch.