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Tracce per una biografia di Copi 2/2

redazione Ritratti, SUR

di Stefano Casi

Presentiamo oggi la seconda parte del saggio di Stefano Casi su Copi.

Il 1966 è infatti l’anno del debutto in happening e performance che elettrizzano l’ambiente parigino dell’avanguardia artistica e teatrale, animato soprattutto da estrosi artisti immigrati.

È stata Martine Barrat a portarmi al teatro. Un giorno mi telefona all’«Observateur», dove facevo i miei disegni, dicendomi che vuol fare la «Femme assise», ha già il vestito e si è già fatta fare un costume da «pollo». Vado al Centre Américain, dove lei lavorava con Graziella Martínez, e gli propongo, se vogliono, di scrivere per loro un vero «sketch». Martine ha telefonato a Lavelli, che doveva essere il regista, e a Arrabal, che doveva essere l’interprete. Non ci conoscevamo. (…) Arrabal aveva troppa paura di recitare nella vasca da bagno, cioè nel solo elemento scenico di Graziella Martínez, l’equivalente del mio frigorifero, e ho dovuto sostituirlo. Era la mia prima interpretazione.

Lo sketch è Sainte Geneviève dans sa baignoire, con la sua stessa interpretazione e con la regia di Lavelli, che sarà il regista più costante nella frequentazione della drammaturgia di Copi. Pochi mesi dopo vanno in scena altre performance scritte da Copi, tra cui L’alligator e Le thé, dirette questa volta da Savary nell’ambito del festival dell’Unef, l’organizzazione nazionale studentesca. Si tratta di opere di cui non rimangono testi scritti, che probabilmente non sono mai esistiti (ma di cui a volte si possono rintracciare spunti nei vari disegni).

[Le thé] aveva dei temi cechoviani su Hilcia d’Haubeterre. Jérôme ci serviva del tè. Io dicevo: «Che bel tempo». E tre minuti dopo: «Che tempo pesante». Dopo tre minuti lei saltava sulla sedia e gridava per tre minuti. Cambiavamo posto, lei si risiedeva. Era come quelle novelle inglesi, dove ci si incontra in una stazione. Io dicevo: «Ho una sorpresa per lei». Le versavo la teiera sulla testa, e la inzuppavo. Era tutto qui. Poi si faceva la colletta, con la teiera.

Alla fine del 1966, sempre con la regia di Savary, Copi compare in scena come tanguero muto nella rappresentazione del testo di Arrabal Le labyrinthe. Nel 1968 compone finalmente la sua prima commedia vera e propria, La journée d’une rêveuse, che vede la luce al Théâtre de Lutèce, ancora una volta con la regia dell’amico-complice Lavelli, e viene pubblicata in contemporanea da Christian Bourgois, un altro amico che da questo momento diventa il principale editore del teatro di Copi. La pièce presenta tutte le tematiche personali caratteristiche del suo autore: il gioco della vita e della morte, il sesso, la maternità (già fin d’ora mescolata con la morte dei figli), ma ha un sapore da commedia tra l’assurdo, il surrealista e il simbolista. Un vero unicum nel corpus teatrale di Copi. Saranno i venti di nuove istanze sociali e culturali imposte dal maggio del ’68, che determinano una svolta dell’intero ambiente intellettuale parigino, a reindirizzare la drammaturgia di Copi verso altre strutture e verso altri linguaggi. Fin dalla seconda opera, che va in scena nel 1970: Eva Perón.

A rappresentare il frutto di questa svolta è il Groupe Tse diretto da Arias, ensemble argentino immigrato a Parigi da pochi mesi, che affida la parte della protagonista a un attore en travesti: Facundo Bo. Ma la dissacrazione del mito di Evita, che aveva in precedenza suggerito a Lavelli di evitare la messa in scena del testo, ha esiti ben diversi da quelli incoraggianti raccolti per il primo lavoro. La critica contesta spietatamente lo spettacolo, Maurice Rapin, su «Le Figaro» del 7 marzo 1970 scrive: «Non esiste parola per qualificare questo spettacolo. O piuttosto ce ne sarebbero troppe. È sinistro, inetto, indecente, odioso, disgustoso e disonesto anche perché in nessun caso Eva Perón avrebbe potuto meritare un tale trattamento. (…) E a cosa corrisponde il bisogno di ridicolizzarla perfino nel suo aspetto fisico facendola interpretare da un travestito smorfioso?». Ma non solo: gruppi peronisti e militanti di estrema destra assaltano il teatro durante una replica, distruggendo gli uffici, sfasciando la scenografia e appiccando un incendio con una bomba fumogena, in mezzo al terrore del pubblico e con qualche lieve ferito, con un’eco che arriva fino in Argentina, causando nuove ritorsioni sui familiari di Copi. Il raid neofascista, per il quale non ci saranno conseguenze penali nei confronti dei responsabili, non blocca lo spettacolo, che Arias, Copi e il direttore del teatro decidono di continuare a rappresentare, ripristinando al più presto teatro e scenografia.

Tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70 Copi fa spesso tappa a Milano, grazie all’entusiasmo dell’editore Giovanni Gandini che introduce l’opera di Copi (disegni e teatro) in Italia, attraverso il mensile «Linus» da lui fondato, dove la donna seduta fa la sua comparsa nel 1967, e attraverso la sua casa editrice Milano Libri, complici le autorevoli presentazioni critiche di Oreste del Buono. Inizia così una fortunata e ricambiata simpatia con il nostro paese, che porta Copi ad attivare ulteriori collaborazioni: facendo disegni per alcune pubblicità su «Linus» (come per Benetton o Alisarda); partecipando insieme ad Arrabal e Topor come attore, nella parte del Barone Paglione, in un «antifotoromanzo» dal titolo Letizia o le avventure di un’orfanella diretto da Savary; pubblicando in volume la traduzione di alcune sue opere come I polli non hanno sedie, La giornata di una sognatrice, Eva Perón (che proprio nel 1971 è la prima pièce di Copi rappresentata in Italia con la regia di Mario Missiroli e l’interpretazione di Adriana Asti), o pubblicando direttamente un’opera in italiano: l’album di disegni originali Un libro bianco nel 1970 (tradotto in francese solo molto dopo la sua morte).

Il secondo grande successo teatrale di Copi arriva nell’ottobre 1971 con L’homosexuel ou la difficulté de s’exprimer, diretto ancora da Lavelli e interpretato dall’autore stesso nei panni della signora Garbo. Risale a questi anni l’inizio dell’intensa amicizia con Guy Hocquenghem, figura di spicco del movimento omosessuale francese. Da questa relazione nasce un coinvolgimento di Copi, sia pure blando e più da fiancheggiatore che non da militante vero e proprio, in iniziative politiche e in scelte editoriali, come quella di passare nel 1973 alle pagine del quotidiano di sinistra «Libération», dove la presenza di diversi intellettuali omosessuali, guidati appunti da Hocquenghem, fa parlare di una sorta di redazione gay parallela all’interno della redazione del giornale, fino alla sottoscrizione della lettera aperta per sostenere proprio Hocquenghem e altri come candidati del movimento gay francese alle elezioni legislative del 1978.

Nel 1973 Copi pubblica il suo primo romanzo L’Uruguayen e l’album di disegni Le dernier salon où l’on cause. Il 29 ottobre debutta a Le Palace Les quatre jumelles nientemeno che all’interno del prestigioso Festival d’Automne, che addirittura dedica alla coppia Copi-Lavelli un prezioso volumetto nella collana del festival edita da Gallimard. È la consacrazione ufficiale di un nuovo importante autore teatrale, grazie all’impegnativa protezione di due istituzioni culturali come il Festival d’Automne e il prestigioso editore Gallimard.

L’anno successivo il fratello Jorge raggiunge Raúl a Parigi, diventandone il fotografo di fiducia e firmando i più famosi ritratti di scena di Copi. E sempre nel 1974 Copi è ancora interprete teatrale di un proprio lavoro, calandosi nei panni del suo nuovo personaggio, protagonista di un delirante monologo: Loretta Strong. Un personaggio che costituirà d’ora in poi una sorta di alter ego, ripreso più volte e in diverse versioni in tournée nei paesi europei e negli Usa, e che qui si presenta per la prima volta con un aspetto spiazzante: Copi in scena è nudo, tutto dipinto di verde, a parte i capelli lunghi e le scarpe con i tacchi alti, e indossa di volta in volta vestiti e costumi, entrando e uscendo da un frigorifero o dialogando con pupazzi zoomorfi. In questo stesso anno firma alcune canzoni per l’opera musicale di Savary Good bye, Mister Freud, in cui interpreta anche una sorta di Dracula che balla il tango e cammina sospeso sopra il pubblico (le testimonianze ricordano l’abilità funambolica circense di Copi, che si esibiva in diverse occasioni nelle feste), mentre l’anno dopo questo sodalizio artistico continua con la partecipazione di Copi come attore al film Le boucher, la star et l’orpheline di Savary insieme a Christopher Lee, Michel Simon e Roland Topor. Un incontro rapido, quello con il cinema:

Non mi sono mai interessato al cinema. È teatro molto imperfetto. L’astuzia del teatro è che tutto accade in un tempo reale. La sciocchezza del cinema è che il tempo è esploso. Tagliato senza alcuna regola.

Sempre nel 1975 è Copi stesso a dirigere e interpretare con altri attori la sua nuova commedia La pyramide. Quello del regista è un compito che Copi non ha mai amato, preferendo essere solo autore o attore: la sua ritrosia si rafforza con una sostanziale mancanza di dimestichezza con il mestiere della direzione e una sostanziale non volontà di dare ordini con idee precise agli attori. L’effetto di questa sua prima regia sembra appunto quello di uno spettacolo senza guida, nel quale ciascun attore sembra cercare autonomamente di costruire la propria parte. La pyramide, composta e rappresentata l’anno successivo la morte di Juan Perón e il subentro al potere della vedova Isabel, è un nuovo punto di svolta per Copi, che comincia con quest’opera un lento riavvicinamento agli orizzonti culturali, tematici e politici di un’Argentina perennemente in bilico tra riscatto dal peronismo e ricatto dei militari e dei poteri forti (che con un golpe impongono nel 1976 una nuova, feroce dittatura, quella del generale Jorge Videla), che culmineranno tre anni dopo con la stessa riappropriazione della lingua spagnola, abbandonata fin dal suo arrivo a Parigi.

Nel 1976, mentre è negli Usa in tournée con Loretta Strong, invitato a New York dal Cafè La Mama in occasione del bicentenario dell’Indipendenza, Copi si rompe una caviglia (cosa che comporterà un’ennesima variante del personaggio di Loretta: sulla sedia a rotelle), e durante la convalescenza scrive il suo secondo romanzo Le bal des folles, dove il protagonista porta il suo stesso nome e svolge la sua stessa professione, seminando, come in altre sue opere di narrativa, trabocchetti pseudo-autobiografici (alcuni veri o verosimili, ma quasi sempre palesemente irreali), come nell’incipit del romanzo che dopo queste righe apparentemente reali si svilupperà in modo assolutamente allucinato e pirotecnico:

È la terza volta in un anno che mi metto a scrivere questo romanzo il cui soggetto non deve interessarmi poi molto se, appena arrivo alla fine di un quaderno (scrivo sempre con la Bic in quaderni a spirale), il giorno stesso lo perdo. E siccome dimentico tutto quello che scrivo, devo ripartire da zero. L’editore mi fa dei cazziatoni tremendi. (…) L’editore mi spinge a scrivere. Mi chiese il primo libro di disegni quando ancora non ne avevo fatti abbastanza neanche per mettere assieme una plaquette. Un giorno gli consigliai di andarsi a vedere Yvonne, Principessa di Borgogna di Gombrowicz per la regia di Lavelli. Segnò l’inizio della sua passione per il teatro. Mi anticipò i diritti dei miei primi lavori teatrali, che vennero pubblicati prima ancora di aver trovato regista o attori.

Nel 1978 vanno in scena due nuove opere: in febbraio tocca a La coupe du monde al minuscolo Théâtre Le Sélénite, ispirata ai campionati mondiali di calcio che si sarebbero svolti in giugno in Argentina, considerati dagli oppositori di Videla come una legittimazione del suo crudele regime basato sulla repressione, sulla tortura e sul sequestro che stava creando migliaia di desaparecidos. Lo spettacolo, il cui testo è andato perduto, è per la seconda volta con la regia di Copi, e riporta in primo piano l’impegno politico dell’autore, sia pure su un registro comico impostato sulla rimozione dell’omosessualità nella patria dei ‘veri’ macho. Nel luglio dello stesso anno è la volta di un altro testo di vasto respiro storico-politico ambientato in Argentina: La sombra de Wenceslao, presentato al Festival de La Rochelle, con la regia di Savary. Il testo è il primo scritto da Copi in spagnolo (anche se tradotto per la rappresentazione in francese), è il primo ad avere un’impostazione da vero e proprio dramma, e si rifà addirittura a una specifica tradizione letteraria argentina popolare e contadina che risale all’800, di cui l’autore riprende temi e linguaggio. Copi è ora più che mai coinvolto idealmente nella tragedia che il suo paese d’origine sta vivendo, e anche il suo teatro registra il suo esplicito impegno. In ogni caso, è la stessa scrittura drammaturgica ad aver segnato una forte evoluzione verso impianti più complessi e solidi, e verso una maggior drammaticità ‘epocale’, come denuncia anche La tour de la Défense, scritta in questo periodo.

Nel 1979, mentre vengono date alle stampe altre due opere di narrativa (La cité des rats e La vida es un tango, primo testo di narrativa in lingua spagnola, e ancora una volta legato al bisogno di riconnettersi con la madrepatria), Copi ritorna a Milano, per l’avvio della tournée della versione in lingua italiana di Loretta Strong. Il successo è travolgente e da questo nascono immediatamente, come era accaduto una dozzina di anni prima, alcune collaborazioni. Il 16 novembre 1979 debutta al Teatro Parnaso di Roma la versione italiana de Les quatre jumelles, con la regia (ancora una volta fallimentare: sarà l’ultima) dello stesso Copi. Il 23 gennaio 1980 va in scena nello stesso teatro Tango-charter, scritto a quattro mani con Riccardo Reim, che ne è anche il regista, e che sembrerebbe riprendere in qualche modo la traccia narrativa de La coupe du monde. Il mese successivo Copi è invece impegnato come attore (piuttosto indisciplinato, pare, per la sua spettacolare esuberanza) per il Teatro Stabile di Torino nei panni di Madame nelle Bonnes di Genet, insieme ad Adriana Asti e Manuela Kustermann, con la regia di Mario Missiroli.

Nel 1981 scrive Cachafaz, ancora una volta in spagnolo, e addirittura in versi (ispirandosi al genere teatrale gauchesco), ambientato in Uruguay, mentre va in scena, a tre anni dalla pubblicazione, La tour de la Défense, con la regia di Claude Confortès (tra gli interpreti, anche Pierre Clementi). Nel 1982 Copi recita nuovamente in un film, nelle vesti di un padre alcolizzato: Maman que man di Lionel Soukaz, che con gli scarti delle riprese realizzerà nel 2002 un breve omaggio dal titolo Copi, je t’aime. Negli anni successivi escono sue nuove opere di narrativa come La guerre des pédés e la raccolta di racconti Virginia Woolf a encore frappé, e nel 1983 va in scena, nell’ambito del Festival d’Automne, Le frigo, di cui è regista e interprete (l’anno successivo, Copi vestirà i panni di uno dei personaggi di questo monologo, la domestica Goliatha, per fare da testimonial nella pubblicità televisiva dell’acqua Perrier). La scrittura di Copi è, secondo una sua definizione, «per spasmi», con addensamenti periodici durante i quali l’autore lavora a più opere contemporaneamente, come in questo caso:

Scrivo più commedie alla volta. Le frigo e La nuit de Madame Lucienne sono state scritte fra il primo e il secondo atto di Les escaliers. È possibile solo perché queste tre commedie sono totalmente diverse.

L’anno successivo Arias porta in scena una sua composizione drammaturgica ispirata alle tavole della donna seduta, che Copi ha smesso di disegnare da tempo: La femme assise, che sarà successivamente ripresa in spagnolo e, molti anni dopo, in una nuova versione, anche in italiano. Sempre nel 1984 Copi scrive la prefazione per un futuro romanzo che non scriverà mai, Río de la Plata, e partecipa come attore (nelle vesti del Viaggiatore) al cortometraggio Le livre de Marie di Anne-Marie Miéville (Il corto è collegato a Je vous salue, Marie di Jean-Luc Godard, di cui Anne-Marie Miéville è collaboratrice e compagna. Usciti entrambi nel 1985, i due film sono spesso abbinati nelle proiezioni. Il corto, preambolo ideale al film di Godard, racconta la storia di Marie bambina di fronte alla separazione dei suoi genitori.) Nello stesso anno Copi presenta a teatro Les escaliers du Sacré-Coeur, in versi. Anziché essere rappresentata l’opera viene letta pubblicamente dall’autore stesso al Théâtre de la Bastille, per quasi un mese di seguito, senza attori né scene. Ed è l’ultima volta in cui Copi calca le scene, sia pure da autore-lettore.

Nel luglio 1985 al Festival d’Avignone è il trionfo con La nuit de madame Lucienne, con la regia di Lavelli e la partecipazione di Maria Casarès. Copi è ormai considerato un autore imprescindibile del teatro francese, sia pure con le anomalie del suo percorso. L’anno seguente esce l’ultimo album di disegni, Le monde fantastique des gays, testamento dolorosamente comico e graffiante di Copi, che dalla fine del 1984 sa già di avere l’Aids. Nel 1987 Copi, mentre entra ed esce in continuazione dall’ospedale (riuscendo anche a tornare per un’ultima volta a Buenos Aires insieme alla madre e a Hocquenghem, che sta scrivendo il suo romanzo d’addio Ève), porta a compimento le sue due ultime opere: il romanzo L’internationale argentine e la commedia Une visite inopportune, nella quale esorcizza la sua malattia e la sua morte imminente, e che viene messa in produzione al Théâtre National de la Colline con la regia di Lavelli, imbarazzato e costernato dal lavorare su una pièce comica sulla morte dell’amico che stava in effetti morendo in ospedale, ma spinto dall’autore stesso a mettere in scena l’opera, divertito dell’intera bizzarria della situazione. Per festeggiare il suo ultimo compleanno, il 20 novembre, Copi viene accompagnato a casa e poi riportato subito in ospedale. L’11 dicembre gli viene assegnato il Prix du Meilleur auteur dramatique – Ville de Paris, che però non può recarsi a ritirare. Copi muore tre giorni dopo, il 14 dicembre 1987, all’ospedale Claude Bernard, due mesi prima del debutto di Una visita inopportuna, accolta tra risate e lacrime dagli amici e dal pubblico.

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