Juan Carlos Onetti

Cervantes e Onetti: la destabilizzazione del sistema narrativo

redazione Autori, Juan Carlos Onetti, SUR

Presentiamo uno breve saggio che esordisce con una dichiarazione contundente: “Possiamo quindi affermare che, nella narrativa di lingua spagnola, tra Cervantes e Onetti non c’è nessun altro”. Ringraziamo l’autore, Jorge Luis Miguel, e la rivista Espéculo, dell’Universidad Complutense di Madrid, dove è comparso originariamente.
Le edizioni SUR pubblicheranno di Juan Carlos Onetti i romanzi Gli addii e Il cantiere.

di Jorge Luis Miguel
Traduzione di Carmen Mangiola

Lo studio di numerosi autori di lingua spagnola ha messo in luce una modalità del tutto nuova, in particolare in Cervantes e nel suo Don Chisciotte de la Mancia, con la quale l’autore costruisce e consolida il discorso narrativo, allontanandosi dalle convenzioni del genere, fino a scardinare i parametri referenziali di verosimiglianza e logica interna. Dopo Cervantes, tale modalità rimane dimenticata fino agli anni Trenta del secolo scorso, quando Juan Carlos Onetti la riscopre e inizia a esplorarne il potenziale ne Il pozzo. Tuttavia, è solo con il secondo romanzo, La vita breve, pubblicato a vent’anni di distanza, che Onetti la consacra e ufficializza come tratto peculiare della sua identità stilistica. Possiamo quindi affermare che, nella narrativa di lingua spagnola, tra Cervantes e Onetti non c’è nessun altro.

Come sottolinea Edward Riley, Cervantes, ne Il Chisciotte:

[…] narra la storia di un uomo che vuole trasformare la finzione letteraria in realtà. Questa radicale trasformazione sancisce il trionfo della creatività di Cervantes sulla sua natura critica. Cervantes apporta alla teoria del romanzo un contributo che sostanzialmente è il risultato, mai espresso in modo rigoroso e solo in parte esplicitato, del suo metodo critico e creativo, secondo il quale il romanzo deve originarsi dal materiale storico dell’esperienza quotidiana […]

Questa osservazione, la cui pertinenza va oltre l’aspetto creativo e l’innovazione dello stesso Cervantes, acquista maggiore significato in relazione ad alcuni passi tratti dal primo capitolo del Don Chisciotte, in cui Cervantes mette in guardia il narratore circa la passione per i libri di Alonso Chisciano:

[…] Fu anche stimolato le molte volte dal desiderio di dar di piglio alla penna per compiere quella promessa; e senz’altro l’avrebbe fatto giungendo allo scopo propostosi dal suo modello; se distratto non l’avessero più gravi ed incessanti divisamenti.

[…] quella sua lettura lo portò siffattamente all’entusiasmo da non distinguere più la notte dal dì, il dì dalla notte; di guisa che pel soverchio leggere e per il poco dormire gli s’indebolì il cervello […]

All’inizio del romanzo i lettori assistono alla trasformazione di Alonso Chisciano che, grazie al potere dell’immaginazione, inventa per sé e per i potenziali lettori, il personaggio di Don Chisciotte.

[…] In fine perduto affatto il giudizio, si ridusse al più strano divisamento che siasi giammai dato al mondo. Gli parve conveniente e necessario per l’esaltamento del proprio onore e pel servigio della sua repubblica di farsi cavaliere errante.

La passione per la lettura di don Alonso determina un’ansia creativa che, dal punto di vista del narratore, gioca un ruolo fondamentale nella creazione del personaggio di Don Chisciotte. La strategia di Cervantes è quella di lasciare che sia il romanzo stesso a costruirsi. Don Alonso, infatti, è un lettore che, oppresso dalle ingiustizie della società, inventa la propria storia, non attraverso la scrittura, ma proiettandosi dal piano della realtà a quello della finzione, sino a trasformarsi in un altro personaggio. Quando la coesistenza di entrambi i piani diventa insostenibile, Don Chisciotte può esprimere al massimo la condizione dinamica di cui gode, in quanto personaggio, lettore e autore, e i riferimenti ai romanzi cavallereschi diventano più espliciti. Lettura, immaginazione e azione creativa, che quasi sempre si svolge e termina con una sconfitta, consentono l’armonioso intreccio di finzione e realtà.

Tre secoli più tardi Onetti riprende questo espediente narrativo, facendo affermare a Eladio Linacero, narratore e protagonista de Il pozzo:

Quelle che scrivo sono le mie memorie. Ogni uomo, arrivato ai quarant’anni, dovrebbe scrivere la storia della sua vita, soprattutto se ha da raccontare cose interessanti. L’ho letto non so dove.

Come Alonso Chisciano, anche Eladio Linacero è personaggio, lettore e autore allo stesso tempo, e anche le sue azioni si svolgono e terminano con una sconfitta.

Il professor Hebert Benítez, nel saggio Il cantiere: valore della finzione e imminenza del reale, mette in luce tre aspetti salienti della narrativa di Onetti quali produzione, immaginazione e sconfitta, che senza dubbio rimandano a figure come Brausen, Larsen, Díaz Grey, Eladio Linacero e a molti altri personaggi onettiani, i quali hanno il loro predecessore in don Alonso Chisciano. In particolare è possibile ravvisare una stretta somiglianza fra quest’ultimo e Brausen che, come il personaggio di Cervantes, crea il suo romanzo senza alcuna dissimulazione. Josefina Ludmer afferma che il suo studio del romanzo La vita breve:

[…] si fonda sulla modalità di rappresentazione, nel testo, delle condizioni e dei processi di costruzione narrativi.

Separate da ben tre secoli, durante i quali non sono rintracciabili altri esempi simili, l’opera di Cervantes e quella di Onetti presentano una deviazione dai canoni convenzionali, nella costruzione del testo narrativo, che si produce attraverso tre aspetti fondamentali: produzione, immaginazione e sconfitta.

La destabilizzazione del sistema narrativo convenzionale, e le implicazioni che ne derivano, farebbe pensare a un autore di epoca postmoderna piuttosto che a Onetti e ancor meno a Cervantes. Tuttavia, proprio la modernità di questa intuizione narrativa, seppur rimasta nell’oblio per circa tre secoli, ha fatto sì che Cervantes fosse considerato il padre del romanzo moderno.

Nel 1907 Sigmund Freud pubblica Il poeta e la fantasia, saggio particolarmente interessante per l’approccio critico ai temi trattati. Freud traccia un parallelo fra il bambino che crea il suo mondo quando gioca, e il poeta in quanto creatore e fabulatore. Il mondo della fantasia, che implica l’esistenza del produttore (autore) e del prodotto (personaggio), permette al bambino di compensare una frustrazione o un desiderio; allo stesso modo l’opera letteraria, e il romanzo in particolare, consente all’autore di creare un alter ego del proprio inconscio e soddisfare così desideri più o meno consapevoli. Il lettore, a sua volta, viene trasportato in un sogno a occhi aperti, ben concepito e strutturato, ma che lascia ampio spazio ai meccanismi di proiezione e identificazione, di cui l’autore stesso è il primo destinatario.

Alonso Chisciano, al quale:

[…] La fantasia gli si riempì di tutto quel che leggeva nei libri, sia d’incantamenti che di litigi, di battaglie, sfide, ferite, di espressioni amorose, d’innamoramenti, burrasche e buscherate impossibili. E di tal maniera gli si fissò nell’immaginazione che tutto quell’edifizio di quelle celebrate, fantastiche invenzioni che leggeva fosse verità, che per lui non c’era al mondo altra storia più certa.

non solo crea un mondo fantastico, ma lo vive in prima persona attraverso una variabile inedita della creazione letteraria, diventando egli stesso il personaggio delle sue avventure e trasformando la fabula in azione. Anche Eladio Linacero parla di avventure riferendosi ai suoi sogni a occhi aperti:

C’è sempre un prologo, quasi mai uguale. In Alaska, nei pressi della pineta dove lavoro. O nel Klondike, in una miniera aurifera. O in Svizzera, sulla vetta più alta, in uno chalet dove mi sono rifugiato per terminare in pace il mio capolavoro.

A un certo punto sembra quasi comportarsi come Alonso Chisciano, nell’episodio della rambla ed Eduardo Acevedo:

Quella notte non ci fu nessuna avventura che potesse ricompensarmi per il giorno appena trascorso. Sotto le palpebre, si riproponeva, ostinata, un’immagine ormai lontana…

mentre nel paragrafo successivo si conferma il fallimento del proposito di trasformare la fabula in azione:

Fu allora che mi venne quell’idea pazza e ossessiva. La svegliai; le dissi che doveva vestirsi di bianco e seguirmi. C’era speranza, la possibilità di gettare le reti e catturare il passato e la Ceci di un tempo.

Eladio colloca Doña Cecilia Huerta de Linacero nel mondo che ha inventato, nel ruolo della Ceci di un tempo. Una proiezione piuttosto forzata perché la differenza tra realtà e fantasia, tra realtà e verità, passi inosservata. Eladio può ricreare aspetti della realtà che evoca, o della fabula che ha immaginato, ma non la verità, in quanto può riprodurre fatti, ma non la loro anima. Il materiale della narrazione (di Onetti, non più di Eladio; o di Cervantes, non più di Alonso) è il modo in cui essa si costruisce e gli effetti che produce. Ancora una volta le parole di Riley (op. cit.) su Cervantes valgono anche per Onetti:

La sua essenza poetica è caratterizzata dal senso di perdita e impossibilità, da una fervida ricerca dell’identità, e da una consapevolezza nostalgica di tutto ciò che sarebbe potuto essere e non è mai stato. Questa espropriazione è controbilanciata dall’affermazione dell’esistenza nella realtà immaginata.

Alonso Chisciano si trasforma in Don Chisciotte; Eladio Linacero è il protagonista delle avventure che immagina; Brausen inventa un proprio universo narrativo all’interno di quello in cui egli già esiste… perché così lo ha creato Onetti.

Il sistema narrativo si destabilizza nella misura in cui l’autore trasferisce ruoli e facoltà al suo personaggio, che a sua volta diventa autore e li trasferisce ai personaggi che immagina. Si tratta di un processo non sempre unidirezionale, pertanto i personaggi del Chisciotte nominano Cervantes e lo stesso Don Chisciotte; Brausen cita Onetti e sarà a sua volta citato in modo esplicito dai suoi personaggi. Perfino lo stesso Cervantes allude a Cide Hamete Benengeli e ad altre fonti di dubbia attendibilità per il suo narratore, che oscilla tra l’onniscienza più convincente e una forma infrascientifica che in alcuni casi sfuma nell’indeterminatezza dell’apocrifo. Una destabilizzazione analoga si riscontra alla fine del capitolo I di Raccattacadaveri:

La banchina era al completo, un gruppo di uomini sarebbe rimasto a guardare dalla porta del Club, un altro avrebbe appoggiato le spalle contro il muro laterale dell’hotel Plaza…

o all’inizio di Per una tomba senza nome:

Tutti noi, quelli che contano, che abbiamo il diritto di giocare a poker al Club Progreso…

ma anche nel capitolo IV de Il cantiere:

Non sa come si sono incontrati Jeremías Petrus e Larsen. Senza dubbio l’incontro è stato organizzato da quest’ultimo, forse con l’aiuto di Poetters, il padrone di Belgrano; è inammissibile pensare che Larsen abbia chiesto un simile favore a qualcuno che abiti a Santa María…

nel racconto Esbjerg, sulla costa:

…a quest’ora dovrebbero essere a Puerto Nuevo, vicino alla barca o a passeggiare da un molo all’altro… […] Lo immagino mentre rimugina…

e nel capitolo II di Lasciamo che parli il vento:

Non bisogna dimenticare che Brausen mi ha creato già quarantenne e Commissario, a capo del Distaccamento, di Santa María. C’è un precedente. All’età di circa dieci anni, quando il Principe Orloff mi faceva da tutore, sparii e rimasi nel limbo fino ai quarant’anni. Mi riferisco allo scorrere del tempo in alcuni luoghi; qui, a Lavanda, per esempio…

Si tratta solo di alcuni esempi rintracciabili nella produzione dell’autore tra Il pozzo (1939) e Quando ormai nulla più importa (1993).

Per quanto ci si possa aspettare che la destabilizzazione del sistema narrativo abbia un impatto notevole sulla verosimiglianza, non è così. Paradossalmente l’effetto di verosimiglianza non perde né efficacia né fondatezza, resistendo agli attacchi di Cide Hamete Benengeli o di Brausen. Infatti, nonostante il naufragio congetturale del discorso, la narrazione si consolida sulla base di azioni che fondamentalmente contestano la realtà, in quanto i personaggi di Cervantes e quelli di Onetti fanno parte di un sistema di riflessioni in cui non contano i fatti o le azioni, ma la loro anima. Eladio Linacero lo dice con estrema chiarezza:

[…] i fatti sono sempre vuoti, sono contenitori che prenderanno la forma del sentimento che li riempirà.

Lo stesso Onetti, in un’intervista con Rodríguez Monegal a proposito di La vita breve, afferma:

Brausen si comporta in modo molto comune: immagina come sarebbe vivere un’altra vita. Tutti quelli che conosco lo fanno, anche se non sempre se ne rendono conto. Si chiama “bovarismo”, la vita immaginata. Quello che succede a Brausen succede a tutti. Quando inizia a immaginare Santa María e a costruire mentalmente un romanzo, un copione, per vivere, per sopravvivere, ciò che Brausen veramente vuole, il suo unico desiderio, è diventare qualcun altro. Non gli interessa essere migliore, più importante, più ricco o intelligente, l’unica cosa che vuole è semplicemente essere un’altra persona. Come la Bovary.

Brausen, come Alonso Chisciano, è un gran fabulatore. Entrambi sono oggetto di un’incessante evoluzione che deriva dall’essere non solo personaggi, ma anche lettori e creatori. Il sistema narrativo convenzionale trema sotto le scosse dell’inverosimile, vacilla e si destabilizza, fino a riacquistare un’insolita fermezza, il cui fascino risiede nell’esplorarne, a livello narrativo, le possibilità di funzionamento. La destabilizzazione e l’alternanza di piani della finzione si consolida nei racconti di Alonso Chisciano, Cide Hamete Benengeli e altre voci narranti del Chisciotte, così come avviene in Eladio Linacero, e il meccanismo si istituzionalizza in Brausen, Díaz Grey e altri narratori onettiani. Il sistema narrativo destabilizzato non cede di fronte alla dimensione inverosimile in quanto il nocciolo della questione non è studiare una realtà inventata, ma la molteplicità degli aspetti che entrano in gioco nell’inventarla. Basti pensare al modo in cui questi personaggi reinventano se stessi nella nuova realtà: Alonso Chisciano e Brausen trovano nell’immaginazione la porta di acceso ad ambiti di realizzazione che altrimenti sarebbero loro preclusi nella realtà convenzionale. L’attenzione narrativa si focalizza sul procedimento di reinvenzione e sulla costruzione di universi intimi e privati.

Alla fine del capitolo XXIII di Lasciamo che parli il vento, Larsen si diverte a esplicitare ciò che è sottinteso:

Brausen. Si distese come se volesse dormire e si mise a immaginare Santa María e le sue storie. Che sia chiaro. (…) Così è scritto, niente di più. Non ci sono prove. Ve lo ripeto, fate lo stesso. Sdraiatevi sul letto e inventate anche voi. Date vita alla Santa María che più vi piace, mentite, sognate persone, cose e avvenimenti.

Nel capitolo V della prima parte, Don Chisciotte rivolge queste parole a un uomo che lo riconosce come don Alonso Chisciano:

So io chi sono — rispose don Chisciotte —, e so che posso essere non soltanto quelli che ho detto, ma tutti i dodici Pari di Francia e ben anche tutti i Nove della Fama, poiché a tutte le gesta che tutti insieme e ciascuno d’essi compirono, saranno superiori le mie.

Ogni personaggio ha un punto di vista così persuasivo e inflessibile da prevalere su quello di ogni altro possibile narratore, causando un effetto di frammentazione che, se si amalgama in alcuni punti della storia, si allontana completamente in altri. Ne consegue che la narrazione convenzionale delle sequenze aneddotiche si complichi, poiché non sono l’azione sul piano di finzione principale, ma le azioni narrate su piani secondari e, in ogni caso, la riflessione, a interessare di più.

In fin dei conti Brausen abbraccia l’estetica di Alonso Chisciano quando, nel capitolo VII della Seconda parte di La vita breve, afferma:

Bacerò i piedi di colui il quale capirà che l’eternità è ora, che egli stesso è l’unico fine; che accetterà e si impegnerà a essere se stesso, semplicemente, in ogni momento e contro tutti quelli che gli si opporranno,  trascinato dalla veemenza, ingannato dalla memoria e dall’immaginazione.

All’inizio abbiamo affermato in modo perentorio che nella narrativa di lingua spagnola, tra Cervantes e Onetti non c’è nessun altro. Nessuno scrittore di lingua spagnola, attivo nei secoli trascorsi tra il Chisciotte e Il pozzo, ha trasgredito le convenzioni del genere, messo in discussione la sua autorità, in modo sistematico o significativo; a eccezione forse del timido tentativo di Miguel de Unamuno con Nebbia, pubblicato nel 1914. Nel 1939, quando Onetti pubblica Il pozzo, avviando una produzione letteraria che proseguirà fino alla fine del XX secolo, sono ormai passati oltre tre secoli dal Don Chisciotte della Mancia.

Basti ricordare i contemporanei di Cervantes: Mateo Alemán o Salas Barbadillo, e più tardi María de Zayas, Sotomayor e Baltasar Gracián; nel XVIII secolo, Benito Feijoo, Cadalso, Jovellanos, Diego de Torres Villarroel; nel XIX secolo, Mariano José de Larra, Estébanez Calderón, Pedro Antonio de Alarcón, José María de Pereda, Benito Pérez Galdós, Armando Palacio Valdés, Vicente Blasco Ibáñez, Ángel Ganivet; successivamente, nel XX secolo, Azorín, Pío Baroja, Valle Inclán, Unamuno, Gómez de la Serna e altri ancora. Spostandoci in America, Miguel Ángel Asturias, José María Arguedas, Ciro Alegría, Alejo Carpentier, Leopoldo Lugones, Ricardo Güiraldes, Borges, Amorim, Quiroga, Felisberto Hernández ecc.

L’elenco potrebbe continuare. Nessuno di questi autori, menzionati e non, ha portato avanti una propria estetica di destabilizzazione del sistema narrativo, rompendo le convenzioni del genere in modo efficace, coerente e degno di nota. Il primo grande passo verso il rinnovamento e la fondazione del romanzo moderno, sviluppato poi nel XX secolo, è stato fatto da Cervantes con il Chisciotte. La consacrazione del romanzo moderno in lingua spagnola si deve a Onetti.

Non si tratta di un’opinione, ma di una presa di coscienza, avvallata in modo obiettivo da osservazioni in parte discusse in questo saggio, secondo la quale possiamo affermare che nella narrativa di lingua spagnola, tra Cervantes e Onetti, non c’è assolutamente nessun altro.

 

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