Omaggio a José Manuel Arango

redazione Poesia, SUR

Nel decennale della morte pubblichiamo un omaggio al poeta colombiano José Manuel Arango di Stefano Strazzabosco, che ha curato anche la traduzione delle poesie, già comparse sulla rivista “L’immaginazione”.

José Manuel Arango (Carmen de Viboral, 1937 – Medellín, 2002), dopo un’infanzia contadina nel nordovest della Colombia, studiò Pedagogia, Filosofia e Lettere nel suo Paese e negli Stati Uniti, e divenne quindi professore di Filosofia presso le Università di Tunja e di Antiochia (Colombia). Negli anni ’60 militò nel Partito Comunista, per poi fondare le riviste “Acuarimántima”, “Poesía”, “Imago” e “DesHora”. Tra i suoi libri di poesia ricordiamo: Este lugar de la noche (1973), Cantiga (1987), Montañas (1995) e La sombra de la mano en el muro (2002). Dopo la sua morte, le Edizioni dell’Università di Antiochia hanno riunito e pubblicato la sua Poesía completa (2003).

Il periodo di permanenza negli Stati Uniti avvicinò José Manuel Arango alla poesia di Emily Dickinson, Ezra Pound, Walt Whitman, Wallace Stevens, W. C. Williams, cui dedicò studi e traduzioni. Contemporaneamente cominciò a scrivere e pubblicare poesia propria: partendo dai modelli di Machado, Vallejo, Jimenez, Neruda, giunse a trovare una voce originale che, per quanto appartata, ha influenzato e influenza tuttora molti giovani poeti delle nuove generazioni latino-americane, attratti dal suo modo di scrivere e di intendere la lirica.

I testi che pubblichiamo sono tratti dalla raccolta Signos (1978); vengono proposti nel decennale della morte per partecipare alla commemorazione del poeta in corso durante tutto quest’anno in Colombia. In queste poesie José Manuel Arango parla d’amore e d’erotismo: dell’erotismo implicito nell’amore tra due esseri, quando la forza del sentimento che li unisce conserva ancora il mistero originario e irriducibile che li trasforma in renitenti o docili strumenti del dio. Qui, come in altri suoi libri, lo stile di Arango rivela quell’eleganza di scrittura, quella necessità, quella tensione verso l’essenziale che lo rendono autentico, intenso e vitale come pochi.

Undici poesie da Segni (Signos, 1978)

traduzione di Stefano Strazzabosco

III

ci denudammo, ci
annodammo
chiudemmo gli occhi
per negarci
e sul confine
tra la sua pelle e la notte
misi la mano

X

come dovessi attraversare un fiume
mi spoglio vicino al suo corpo
rischioso
come un fiume di notte

XIII

ragazza
antichissima
nel gusto di sale del seno
nelle dita piegate intorno a un frutto
nel pube
erboso

XIV

questo è un paese di sole e di vento
d’aspre montagne
come negli affreschi antichi
la pelle screpolata delle donne
silenziose e dure che partoriscono
inginocchiate i figli
fra le rocce in agguato
puma senz’ombra
e in fondo canta
il mare, generato da una zucca

XVI

mentre sotto terra crescono le radici del pino
e i morti tranquilli pascolano gli astri
mentre un uomo canta per vincere la paura
lungo un cammino solitario
e su qualche città sconosciuta cade la pioggia
tu
e io
ci amiamo

XVIII

dipingiti il seno
di achiote[1] e di nero
noi ci ameremo
nel mezzogiorno giallo
come in un deserto
sulla linea dell’alba
come al confine tra due regni

XIX

la sua fronte
come un grappolo sull’acqua
sotto l’albero multiplo
da cui nasce il vento

XXV

stai distesa con la testa verso oriente
vicino al cuore gelato dell’acqua
un albero sparge la sua ombra sul tuo ventre
tra le tue dita cresce
tenera l’erba

XL

nuda sei più alta
nuda
quando chiudi gli occhi
col vento in faccia
risplendi come un
coltello

XLV

ubriaco e taciturno
mi piego sul tuo sonno
sul letto in cui giaci pura e inerme
abbandonata all’ombra
e lungamente
come una sentinella solitaria
ti faccio la guardia

XLVIII

per che ardui paesi
in quale oscura guerra
senza saperlo
ho combattuto e vinto
per averti
mentre tu
ritirata nella tua adolescenza
evitando le prove di una solitudine
così radiosa
ti preparavi per me

 

 


[1] nome di derivazione azteca della Bixa orellana, una pianta originaria del Sud America (dove i nomi vanno dal colombiano Onoto al brasiliano Urucum). Il colore del frutto e dei semi dell’achiote è il rosso vivo, il colore del sangue e della vita.

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