fontanarrosa

Quel che si dice un idolo

redazione Racconti, Ritratti, SUR

Presentiamo un originale contributo di Fabrizio Gabrielli sullo scrittore argentino Roberto Fontanarrosa (1944-2007).

È il 20 Luglio 2007, centinaia di persone si sono date appuntamento fuori dallo Stadio Gigante de Arroyito: ci sono scrittori, autorità politiche, ma anche moltissimi cittadini comuni. Da là, dalla cancha del Rosario Central, il corteo si dirige verso nord: accompagna nel suo ultimo viaggio la salma di Roberto Fontanarrosa, sconfitto con un goal in contropiede dalla sclerosi laterale amiotrofica – malattia subdola per chi, come Fontanarrosa, faceva della sveltezza della mano, della grazia dei tratti la ragione d’una vita.
Non aspiro al Nobel per la Letteratura. Io mi considero più che soddisfatto quando qualcuno mi si avvicina e mi dice «Mi sono cagato sotto dalle risate, col tuo libro», aveva detto una volta. E tutti, tutti i partecipanti a quel corteo dovevano averlo amato. Anche cagandosi sotto dalle risate per uno dei suoi libri.
Nato a Rosario nel ’44, Fontanarrosa è stato per anni il fumettista principe del quotidiano Clarín, dando vita ai celebri personaggi di Inodoro Pereyra e Boogie el aceitoso.
Ma el Negro, come si faceva chiamare, è stato anche un appassionato cultore del fútbol, accanito tifoso del Rosario Central, disincantato osservatore del mondo dell’undici contro undici – per citare il titolo di un suo libro – e delle sue implicazioni metaforiche, oltre che raffinato paroliere.
A che servono le parolacce? E poi perché male parole? Perché sono di pessima qualità? Perché a pronunciarle si deteriorano? […] Dovremmo riconsiderarla, la situazione delle parolacce. Chiedo un’amnistia per la maggior parte di queste, […] ne abbiamo bisogno, disse al Terzo Congresso della Lingua Spagnola tenutosi nella sua città natale, pochi mesi prima che gli venisse diagnosticata la malattia che ne avrebbe spento per sempre genio e talento.
Si presenta, qua di seguito, Quel che si dice un idolo, un racconto dal quale trasudano, fontanarrosamente, tutta la sua passione per il fútbol, E quella per le parolacce, anzichenò.

«Quel che si dice di un idolo»
di Roberto Fontanarrosa
traduzione di Fabrizio Gabrielli

Pedrito sè reso conto tardi, di comè che girava. Perché sarebbe potuto essere un idolo pure lui, un idolo popolare, da molto molto tempo prima. Cè che il Pedro, hai visto comè?, è uno che fa tutte le cose per bene, un bel tipo.
Ma tu dimmi, otto anni in prima divisione e mai una volta che fosse stato espulso. Mai, vecchio mio, mai! Né unespulsione né un cartellino giallo che fosse uno.
E guarda che ce ne vuole, eh. Perché poi lui andava sempre dritto, avanti, e allora lo gonfiavano che era una bellezza. Molto rispettato dagli avversari, dallarbitro, da tutti: però sempre glassestavano certe falciatacce che non ti dico. Eppure, avesse reagito una volta. E guarda che ce nerano state di occasioni in cui si sarebbe potuto rialzare e dare un cazzottaccio a quello che glaveva fatto il fallo, o anche nell’azione seguente ammollargli una gomitata; eppure lui… niente fratè. Una femminuccia.
Un gran signore, il Pedro. Ovvio, comera possibile non amarlo? Avversari, compagni: tutti. Però… vuoi che te lo dica? Mica lo so se era per carineria, bellomìo. Quello era rispetto. Altroché. Rispetto. Hai visto? No perché guarda che io lo conosco, Pedro, e ti dico che non è un tipo che è facile attaccarci bottone, parlarci, come te lo spiego?, non è un tipo che ti si apre facilmente.
Non è uno di quelli che va e viene e senza che glielo domandi piglia e ti racconta i cazzacci suoi, i suoi fatti privati… no, non è uno di quelli. È più un tipo chiuso, prigioniero di sé stesso, che a volte per farti raccontare quello che gli succede, porcaputtana, glielo devi chiedere mille volte; con tutto che a me mi conosce bene, per dire.
Alle volte, ero addirittura io a dirgli «Non lasciare che ti colpiscano», perché mi faceva incazzare come subiva, fermo, come una mozzarella. «Non lasciare che ti colpiscano, Pedro», gli dicevo. «Scansati, scalciali da dietro, poi vediamo se le faranno ancora, quelle entratacce».
E lui mi diceva che no, che gli era fottutamente difficile colpire gli avversari, visto che era un attaccante. Sì, vabbè, vagliela a dire a Pepe Sasía,* questa cazzata, vaglielo a dire al cordovegno Willington che non li puoi mica colpire gli avversari, se sei un attaccante. O a quel negro Pelé, senza andare troppo lontani, che cha il record di tipi fracassati. Vaglielo a dire a Pepe Sasía che aglattaccanti risulta più complicato, colpire gli avversari. Pepe che ogni botta che ti dava ti staccava la capoccia. Ammollava certe zampate al libero che te le voglio dire. Ma che gli andavo a chiedere, a Pedro? Che pure quando si tiravano su quei casini tutti contro tutti, o quelle mischione coll’arbitro nel mezzo, che sono sai che? tutto un dividersi, tutta una mazzumaja di gentaccia, lui se ne rimaneva in disparte, con le braccette incrociate, e mica si avvicinava. E in quelle risse non cè neppure il rischio che ti caccino, là ci si piantano i tacchetti nelle caviglie, o ci si tirano i capelli, o ci si mettono le dita negli occhi o ci si dà delle gran capocciate, vale tutto. Ma poi nessuno ha visto niente. Che il divertimento continui.
E non è che il Pedro fosse un cacasotto, eh. Perché tutto quanto, ma cacasotto un cazzo. Uno che si piazza in area come ci si piazza Pedro, stammi a sentire, un tipo come quello non puoi catalogarmelo cagasotto per un cazzo.
Pedro non si scaldava mai. Aveva questo. Che non si scaldava. Non era tipo che potesse scaldarsi. Lo pigliavano a botte e lui se ne rimaneva impassibile. E i tifosi gli volevano bene, sì, ma niente di più. Quando usciva dagli spogliatoi, dopo la partita, le pacche sulle spalle, «Bene Pedro», «Bravo Pedrito». Ma poi férmati. A volte qualche coretto. Oppure non gli rompevano troppo i coglioni quando perdevano. Pedro sempre normale, a sei punti come a sette punti, avrebbe detto il Flaco.
Sai qual era la cazzata di Pedro? Ci stavo pensando. Era molto logico. Ecco, era molto logico. Non diceva mai niente di illogico. Faceva tutto, diciamo, con criterio. Pensandoci su. Logico, tutto in lui era logico. Mi ricordo che stavamo andando a giocare contro il Boca, a Buenos Aires, e gli domandano cosa pensasse della partita. E lui risponde che la cosa più probabile era che saremmo stati noi, a perdere. Che con un pareggio saremmo stati più che soddisfatti. Ovvio che la cosa più probabile quando vai a giocare fuori casa è che ti facciano il culo, e mica solo sul campo del Boca, ovunque. Però oh, vecchio, che ne so, fa il gradasso, di «gli romperemo il culo», «gli faremo un cappottone», che ne so. Non dico sempre, ma qualche volta va da vincitore. No, il Pedro sempre veritiero, «la verità è che vinceranno loro». «Se riuscissimo a strappare un pareggio saremmo felicissimi». «La logica dice che ci faranno il culo».
Chiaro, da un punto di vista razionale tutto quello che dichiarava era sicuro. Non cera troppo da discutere. Oppure quando perdevamo. Era lo stesso di quando lo picchiavano. Era sempre daccordo con il risultato. «Ci hanno sconfitti per bene», «giocando così, è normale che abbiano vinto loro», «cavrebbero potuto segnare pure più goal». Non sarrabbiava mai. Era come quando i difensori lo gonfiavano. Incassava sempre. Mai che leggessi dichiarazioni sul fatto che gl’avessero rubato la partita, che lo avevano fracassato di calcioni, che glavevano segnato un gol contro in fuorigioco. Mai. Ma ve lo immaginate!  Mille occasioni, in ognuna un tributo alla cavalleria.
E pure la prima volta che hanno montato la storiaccia di quella donnicciola, pure quella volta là.
Perché il Pedro non era neppure un tipo di quelli che potevi trovargli qualche pecca nella vita privata.
Genitori dalla condotta ineccepibile, nessun problema con loro, e poi la Isabel, la fidanzatina duna vita. E férmati. Niente risse, niente colpi di testa, neppure una scarpata in faccia, da quelle parti. Niente di niente. E si sono inventati la storiaccia quella con la Mirna Clay, la cabarettista, quella. Ma tu guarda!  Andarsi a inventare che era proprio Pedro a infilarsi nel letto con quella donnaccia. Pedro, che Isabelita lo marcava più stretto di quanto facessero i difensori avversari. Che poi non c’era neppure bisogno di marcarlo, che per quelle cose là era un tontolone. Eppure lo sai, ci sono giornalisti che non sanno più che cazzo inventarsi e allora hanno tirato su quella voce che Pedro andava con Mirna Clay. Che casino quella volta! E perché, poi!
Il Pedro, quella volta sì, andò alla rivista, alzò la voce, si mise a litigare e gl’incaricati della rivista fecero marcia indietro e smentirono tutto. Che erano stati solo pettegolezzi, cattiverie; e fine. Al che Pedro se ne stette tranquillo. E guarda che lì per lì quasi volevo dirgli qualcosa, però niente, me ne sono stato zitto.
Mi son detto «stattene zitto, Negro, che ti immischi a fare», e me la sono cucita bene la bocca. Perché io li conosco bene, i genitori suoi, e Isabelita, sai? Ho preferito starmene da parte.
Però ma tu guarda, passa il tempo e questaltra rivista ricomincia con la stessa milonga. Donnaccia diversa, ma stessa milonga. Stavolta con la pazza, quellIvonne Babette: lo stesso pettegolezzo. Che li avevano visti insieme, che sembrava che Pedro se la portasse a letto, che che-ne-so-io.
E colmo dei colmi, questa troietta, che doveva essere bella sveglia… una troietta proprio sveglia… afferra il boccino e comincia a dire che erano perdutamente innamorati, che Pedro era l’unico amore della sua vita, alla fine. Si vede che tutta questa sbobba lavevano messa su a partire da quella foto che era scappata fuori quando la squadra era andata in viaggio in Perù e avevano scattato queste foto in aeroporto e cera pure quella pazza furiosa che aveva preso lo stesso aereo. Colmo dei colmi, questa donnicciola me la vanno a fotografare vicino a Pedro. Erano tipo mille, in tutta la delegazione, e però sè data la puttana casualità che questa troietta venisse fuori di fianco a Pedro. E si vede chè da lì che avevano messo su questa sbobba. Che per la donna era cascata a fagiolo, senti che novità.
E allora sì che lho preso da una parte, Pedro, e gli ho detto «Pedrito, non rilasciare dichiarazioni. Non dire né smentire niente. Non fare nulla, senti a me». Gli ho imbastito un po il discorso che lui poteva mica prestarsi a questo scandalo, che lui doveva tenersi al di sopra di queste sozzerie, che non era tenuto nemmeno a parlarne, di questa faccenda. Che già sera sporcato abbastanza con l’imbroglio precedente, quello di Mirna Clay. E Pedro m’è stato a sentire. Lo chiamavano dai quotidiani e lui diceva che non avrebbe parlato della faccenda. Che non insistessero. E i giornalisti, che sono pure ritardati, saggrappavano al fatto che «chi tace acconsente». E per loro il fatto era comprovato. Addirittura quotidiani più seri presero a parlare della storia di Pedro con questa donnaccia. E lei, che te lo dico a fare!, sinventava le peggiori fandonie per fomentare quelle voci.
Quando Pedro volle chiudere definitivamente la faccenda, già era diventata più grande di lui, e dovette starsene in disparte.
Tutto questo sarà durato un paio di settimane. Isabelita sera talmente arrabbiata con Pedro che quasi lo manda affanculo, i giornali dissero che quei litigi confermavano la liaison di Pedro con quella Babette, alla fine della fiera un casino impressionante.
La domenica successiva dovevano giocare una partita chiave a Buenos Aires, contro il Vélez. E a Pedro lo marca Carpani, un gran figlio di puttana che menava pure la madre, e questo Carpani comincia a insultarlo. Gli diceva «Che cazzo ti rigiri quella troietta se in tutta la tua vita non te ne sei ribaltata manco una!», «visto che sei così macho azzardati a entrare in area che ti rompo la gamba in quattro pezzi», ròbe del genere. E gli toccava il culo. Alla fine Pedro, puoi immaginartelo come stesse, gli ammollò una chiodata che gli rovinò la faccia. Una tranvata sulla bocca che lo mise col culo sul dischetto del rigore. Tu non t’immagini le conseguenze! Carpani il terribile, lòmo che si mangiava le gambe deglavversari crude, il padrone dellarea, che gli ammollavano una crocca del genere sul campo del Vélez, il proprio campo, nel Fortino di Villa Luro. Dovettero portarlo fuori in barella che se nera rimasto rintontito per mezzora. E a Pedro, oltretutto, cartellino rosso e negli spogliatoi! Per la prima volta nella sua vita. Però poi mi raccontava, quelli del Vélez lo guardavano passare mentre se ne andava verso le docce e non dicevano niente, lo guardavano e basta. Ci fu addirittura uno che gli diede la mano.
Gli diedero poche giornate di squalifica. E tornò per una partita casalinga contro La Lebbra. E lì si confermò la mia teoria. Cera un fracco di gente. Molti erano lì per la partita, ma molti solo per vedere Pedro. E quando è entrato… quasi veniva giù la tribuna, vecchio mio! «Scopa scopa scopa, Pedro scopa!», cantavano i negri. Un manicomio. «Gonfia gonfia gonfia, Pedro gonfia!» Tanto che Pedro sè emozionato, e sè allontanato, sè allontanato daglaltri ragazzi per salutare la tifoseria con le braccia in alto. Un manicomio. Lì, è lì che ha cominciato a essere un idolo. Lì, ha cominciato.
Anche se non me lha mai riconosciuto, perché poi non è mai più tornato il perfettino che era, vecchio mio.
Se non hai nessuna storiaccia alle spalle, se non thanno mai cacciato in un bruttaffare…. Come cazzo fa la gente a identificarsi con te? Cosa hai in comune con gli scimmioni che si agitano in tribuna?
No, vecchio mio.
Io dico che Pedrito sé reso contro troppo tardi, di comè che girava.

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