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Intervista con Tomás Eloy Martínez / 1


In occasione dell’uscita per le Edizioni Sur del romanzo Santa Evita [1], di Tomás Eloy Martínez, presentiamo oggi la prima parte un’intervista con l’autore pubblicata nel 2002 dalla rivista madrilena di studi letterari «Espéculo», a cura di Juan Pablo Neyret, ringraziando l’autore e la testata.

“Romanzo significa licenza di mentire” – Intervista con Tomás Eloy Martínez / 1

di Juan Pablo Neyret

traduzione di Dajana Morelli

Siamo nella settimana in cui si celebra il 50º anniversario della morte di Eva Perón e ovunque in Argentina rivive l’immagine della “portavoce degli umili”. Infatti, Tomás Eloy Martínez passerà il 26 luglio a venti isolati dalla Casa del Governo in cui la first lady arringava i “descamisados”, sostenitori di Perón, che la veneravano da Plaza de Mayo, quando Madonna non era ancora nata. Nel suo appartamento – il suo “rifugio”, come lui stesso lo chiama – c’è, ovviamente, una biblioteca, con alcune delle 36 traduzioni di Santa Evita, in inglese (britannico), svedese, danese, coreano, che mostra con orgoglio, ma senza vanità.

Eloy è abituato alle interviste. Ne ha fatte a decine, con i grandi personaggi del XX secolo, ed è stato oggetto dell’avidità di centinaia di giornalisti, studenti e critici interessati alla sua vita (è nato nel 1934) e alla sua opera. Queste saranno il motivo centrale della prossima ora e mezza, con particolare enfasi sulla fusione dei generi di scrittura, le genealogie testuali e la militanza politica argentina degli anni ’70.

Che cos’è successo? Santa Evita si è mangiato Il romanzo di Perón?

Il romanzo di Perón è comparso per primo, da una parte. Dall’altra, il romanzo di Evita è coinciso curiosamente con una specie di esplosione della figura di Eva Perón. Inaspettata esplosione, perché quando ho scritto il romanzo non esisteva nemmeno il progetto del film di Madonna, ancora in forse quando Santa Evita è comparso, in luglio. Quasi subito dopo, si è deciso di fare il film. C’è stato un episodio decisivo: il romanzo, siccome conteneva la storia di un cadavere, era curioso per il giornalismo, e si è guadagnato un’intervista molto lunga, una domenica, a pagina 3 del New York Times. Un’intera pagina dedicata al romanzo sul quotidiano con maggiore diffusione al mondo ha fatto sì che immediatamente si creasse un’aspettativa generale attorno al libro e che fosse comprato in massa. Ciò prova che uscire sulla terza pagina del New York Times è molto più importante che vincere il Premio Alfaguara… (Sorride).

Storia e finzione

In Historia e imaginación literaria, Noé Jitrik parla di due tipi di romanzo storico: quello “archeologico”, che prende i fatti più distanti nel tempo, e quello “catartico”, che parla di fatti recenti. Tuttavia, dice che Il romanzo di Perón, anche se parla di fatti recenti, mantiene la distanza da un atto catartico della scrittura. Ma possiamo chiamare romanzi storici Il romanzo di Perón o Santa Evita?

– Io non ho avuto questa intenzione, assolutamente. Ho sempre detto che sono romanzi tessuti sul telaio della storia, di certi personaggi storici, ma non pretendono di offrire una ricostruzione ordinata e fedele dei fatti. In generale, il romanzo storico tradizionale che, secondo la tua definizione, si chiamerebbe “archeologico”, è l’opera romanzesca di Manuel Gálvez in Argentina; perfino alcune di Hugo Wast, e più recentemente ci sono un enorme quantità di autori su questa linea, da José Ignacio Garcia Hamilton fino a certi romanzi di María Esther de Miguel, che hanno sì una deliberata intenzione di ricostruzione e ri-creazione storica. Sia nel caso di Il romanzo di Perón sia in quello di Santa Evita, i giochi sono altri. Da una parte, la mescolanza di generi. Come chiameresti, in che strato posizioneresti, se classifichi come romanzi storici i romanzi che lavorano sulla storia, un romanzo come Respirazione artificiale di Ricardo Piglia? O romanzi come Las nubes o El entenado di Juan José Saer?

Le dico che Respirazione artificiale e El entenado, nel canone accademico argentino, sono trattati come romanzi storici.

Gli autori inorridirebbero se lo sapessero, così come inorridisco io quando scrivono “romanzo storico” sui miei libri o mi piazzano nelle collane di romanzi storici. Prima di tutto, perché il lavoro è assolutamente libero. Nel caso del Romanzo di Perón, se mi dicessero che è un thriller politico, mi sembrerebbe molto più vicino che un romanzo storico. Cosa succede? Che, oltretutto, per cercare di rompere questo dato, questo gioco, ho attribuito nomi propri ai personaggi. E a quei tempi, non era ancora così frequente come adesso lavorare con esseri vivi. Il romanzo storico, in generale, lavora su personaggi già morti. Credo che la divisione tra ciò che è recente e ciò che è meno recente sia completamente arbitraria e serva solo per la classificazione e l’uso didattico dei professori, ma non ha nulla a che vedere con l’intenzione degli autori. Altrimenti, che cosa diresti di Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar? È un romanzo storico? C’è un romanzo che reputo straordinario, l’unico romanzo straordinario di questo autore, che ne ha scritti molti altri. Mi riferisco a D.M. Thomas, un professore inglese, che ha scritto un romanzo intitolato L’hotel bianco (The White Hotel). È un romanzo su una paziente di Freud, che inizia con una serie di lettere di Freud, false, ovviamente, e finisce con una minuziosa descrizione di un massacro in un ghetto russo. Tutti i racconti, apparentemente, hanno un legame con la storia.

Il romanzo, invece, fuoriesce dal genere, non si chiamerebbe romanzo storico. Il romanzo di Perón e Santa Evita sono romanzi assolutamente impuri, perché contengono frammenti di copioni, mescolanze di generi deliberate, insomma, non rientrano per niente nella tradizione dei romanzi storici, che, in generale, sono lineari.  Non è un problema di struttura, ma di personaggi. Che cosa succede? Per il lettore argentino, in particolar modo, e ancor più particolarmente nella Accademia argentina, si tratta di romanzi storici perché lavorano su due personaggi storici molto forti. Nel caso di altri lettori, Brasile incluso, il cui caso mi sembra singolare, ma anche Germania e Stati Uniti – cito i luoghi in cui i miei libri sono più letti –, non gli si dà attributi, sono solo romanzi. C’è un’enorme confusione generica, per esempio, Il pappagallo di Flaubert, il romanzo di Julian Barnes. Agli inglesi non salta in mente di chiamarlo romanzo-saggio, è un romanzo, e come tale lo giudicano, sebbene abbia varianti, giochi, elementi di altra indole. O Una storia del mondo in dieci capitoli e mezzo, sempre di Barnes, che contiene anche racconti. In Santa Evita, così come nel Romanzo di Perón, ci sono storie di immaginazione flagranti, false, che nel primo caso sono state prese come verità dal cinema e dal giornalismo.

Per esempio, la frase di Evita quando conosce Perón: “Grazie di esistere”

– La frase di quando si conoscono, di cui posso raccontare l’origine senza alcun problema, e quell’altra, quando Perón dice a Eva “Non posso assegnarti la vicepresidenza perché hai il cancro”. Questa frase è stata ripresa letteralmente nel film La vera storia di Eva Perón. Mi sono lamentato con lo sceneggiatore, José Pablo Feinmann, e lui mi ha risposto “Ma come, non era un’intervista?”. Gli ho detto che c’è un sottotitolo enorme in Santa Evita, e mi sono impegnato affinché compaia sempre, che dice Romanzo. Romanzo significa licenza di mentire, di immaginare, di inventare. Como ho già detto più di una volta, Santa Evita inverte il procedimento dei romanzi di non-finzione degli anni ’50 e ’60, dal Racconto di un naufrago fino a A sangue freddo. In quei casi si usavano le tecniche del romanzo per narrare fatti reali e verificabili. In questo caso, per creare un effetto di verosimiglianza superlativa, uso gli strumenti del giornalismo: interviste, lettere, copioni, ma falsi. C’è gente che compare adesso e dice che sapeva che il corpo di Eva Perón si trovava dietro al cinema Rialto. Ma io ricordo perfettamente il momento in cui uscendo da un pranzo a casa di amici ho detto: “Dietro al telone di questo cinema – che ovviamente era un cinema degli anni ’30 o ’40 – metterò il cadavere di Eva Perón. Ho appena finito di pubblicare una lunga serie che sta uscendo su El País, di Madrid, sono interviste ai tipi che avevano sequestrato il cadavere, e loro sostengono che non c’è mai stata una copia e non c’è nessuna prova che ci sia mai stata. Ma, quando ho inventato delle copie nel romanzo, perché ne avevo bisogno affinché il colonnello Carlos Eugenio de Moori Koenig si confondesse con un’Eva falsa e così esplodesse il processo di pazzia – e, inoltre, la trovasse nel peggior luogo possibile per il suo oggetto di culto, la vetrina di una strada di bordelli ad Amburgo –, è apparso, quindici giorni dopo la pubblicazione del romanzo, in una delle presentazioni a Buenos Aires, un signore, noto assistente di uno scultore, che in teoria aveva fatto le copie del corpo. Ogni volta che si crea un mito, e in questo caso ho visto la gestazione del mito, cominciano a sbucare conoscitori, o testimoni, o complici, di quello che è il mito.

Giornalismo e letteratura

– Lei dice che Il romanzo di Perón e Santa Evita sono il contrario della non-finzione. Tuttavia, c’è un’operazione di ricerca giornalistica molto forte in entrambe.

– È ovvio. Naturalmente c’è una ricerca giornalistica, perché per poter mentire bene bisogna sapere tutto. Non si può mentire senza sapere. Come Picasso, che per imparare a rompere le regole ha dovuto disegnare copiando fotograficamente la realtà, come dimostrano le sue prime dieci o dodici grandi opere dell’adolescenza e primissima gioventù. Dopo di che, fa Les Demoiselles d’Avignon, che è una rottura completa dei codici, il principio del cubismo. Qui accade la stessa cosa, sia nel Romanzo di Perón sia in Santa Evita. Perón si organizza affinché si sappia tutto quel che c’è da sapere su di lui. L’immagine che ha cercato di costruire Perón è, come ogni autobiografia o memoria, un’immagine verbale nella quale ci sono enormi lacune e, per di più, enormi bugie. La genesi del Romanzo di Perón deriva dal fatto che Perón non ha voluto che pubblicassi i documenti reali che gli avevo fornito per completare le sue memorie. Allora, ecco che mi sono preso la libertà di lavorarli, in modo tale che costruissero un ritratto di Perón che a me sembrasse quello vero. Con la stessa esatta intenzione, e lì c’è una copia, o ispirazione, o come tu voglia chiamarla, del Facundo.

La mia idea iniziale, al momento di scrivere il libro, è che Perón, che avevo intervistato, mi ha reso veicolo della costruzione di un monumento storico che io so essere falso. Allora, con gli strumenti che ho raccolto per completare quel monumento storico, cerco di mostrare agli argentini, che per più di quarant’anni in quel momento, alla pubblicazione del romanzo, sono vissuti all’ombra di Perón e della sua ideologia – e ancora oggi, perché sebbene la sua ideologia si sia trasformata, il peronismo persiste –, come atto di giustizia, un’immagine di Perón che corrisponde all’immagine vera. Il romanzo di Perón, dal punto di vista della libertà dell’autore, è molto meno libero di Santa Evita, nel quale la costruzione della menzogna è costante.

Nel caso del Romanzo di Perón, non è casuale che colui che porta il discorso più vicino a quella che potremmo chiamare verità – se potessimo chiamare qualcosa verità – sia il giornalista.

– Certo, nelle Contromemorie, che giocano con le Memorie. Il giornalista si chiama Zamora, è veniale, più o meno corrotto, e mi intervista per cercare di non farmi confondere. L’invenzione dell’intervista tra me e Zamora c’è perché molta gente pensava che Zamora fosse un autoritratto. Sì, la voce che si impone è del giornalista, per poter introdurre una visione d’insieme, vale a dire, prendere distanza. Il giornalismo prende sempre distanza dai fatti, e l’introduzione di un narratore lontano permette di prendere distanza. Molto diverso il caso di El vuelo de la reina, in cui avevo bisogno di avvicinarmi il più possibile al personaggio. È un personaggio così nero, così tenebroso così sinistro, che narrandolo dall’esterno, anche l’effetto di distanziamento poteva essere un effetto di distorsione. Allora, la seconda persona, che è una persona invocativa, cerca di creare, da una parte, un effetto di identificazione dell’eventuale lettore con il personaggio. E poi cerca di afferrare il personaggio; il rimproverare, o l’interpellare, ha anche un significato di comprensione.  Non vedevo altro modo di incontrarmi con il personaggio. È così distante da ciò che sono, o credo di essere, che per poter entrare in esso non ho avuto alternativa se non la seconda persona; è una seconda persona ausiliare, diciamo.

Tuttavia, nel Romanzo di Perón ci sono fatti e azioni attribuiti a Zamora che poi vengono attribuiti al personaggio di Tomás Eloy Martínez in Santa Evita. Nel primo, il personaggio Nun Antezana, il montonero[1] [2], dice a Zamora: “ Non ti chiederò come stai perché lo so, Zamora. Ti abbiamo visto a Parigi: l’altro ieri alle sei di sera nel caffè Bonaparte. E la settimana scorsa ti abbiamo visto a Gstaad, con Nahum Goldman. Scriverai un’altra glorificazione degli ebrei?”. E nel capitolo 13 di Santa Evita, quando Tomás Eloy Martínez si riunisce con Rodolfo Walsh, ha appena concluso la stessa intervista. Vale a dire che  Zamora non si distanzia molto da Martínez.

– Se leggi i due romanzi e presti attenzione, no. Ed è vero. Il dato da sottolineare era, da una parte, l’antisemitismo di Antezana, la cui amante, sia detto en passant, era ebrea, Diana Bronstein.

Chiarisco che non metto il tema degli ebrei in primo piano, anche se è bene chiarirlo, ma la coincidenza tra i personaggi.

– Sì. L’esperienza dell’incontro con Walsh a Parigi è reale, ed è raccontata, credo, con più realismo, con più vicinanza alla verità, in Santa Evita che non nel Romanzo di Perón. Nel caso di Santa Evita mi sembrava più pertinente perché, in effetti, c’è stato un progetto di andare a cercare insieme il corpo di Eva Perón, che credevamo si trovasse a Bonn, e al quale avrebbe partecipato anche la moglie di Walsh, Lilia Ferreyra, che ora lavora per Página/12, e che si ricorda sempre di questo episodio. Senza dubbio, lo hai scoperto. Io mischio molte cose autobiografiche, non per introdurmi come personaggio romanzesco, ma per introdurre esperienze che conosco bene. Per esempio, tutta la storia del personaggio Irene Kaufman e di suo padre, Emilio Kaufman, è una storia d’amore vera che ho vissuto. Che io ho vissuto e che è vissuta in Santa Evita dal narratore Tomás Eloy Martínez, che non assomiglia neppure al Tomás Eloy Martínez autore. C’è molta esperienza personale in questi libri, però, sì, non mi ero reso conto del salto da un romanzo all’altro, di modo che la tua osservazione è giusta. In definitiva, io direi, Zamora fa cose che Tomás Eloy Martínez ha fatto, che gli sono state rimproverate da gente come Antezana e che venivano a proposito in questa storia.

 

[1] [3] Membro di un gruppo armato attivo negli anni Settanta in Argentina. In aperta opposizione col regime militare instauratosi con la Rivoluzione Liberatrice, sosteneva un ritorno di Perón in Argentina.