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#InCasaEditrice /10

In questi giorni la redazione si è sparpagliata nelle case di tutti noi: ecco allora i dispacci dalle sedi distaccate di SUR, che mai come adesso si sente una CASA editrice. Oggi scrive Maria Galeano, ufficio stampa.

Cari lettori,
in questo periodo per prendere sonno mi capita di pensare al mare, al rumore delle onde sul bagnasciuga, al calore del sole sulla pelle, alla sabbia che scotta i piedi e mi viene in mente il libro che più di tutti mi ha regalato il sapore nostalgico dell’estate. Quella del primo amore, quella del primo bacio, quella della scoperta di sé, della prima delusione, degli appuntamenti al bar, delle canzoni al jukebox.
Questo libro si chiama Acqua di mare [1] e l’ha scritto Charles Simmons [2] nel 1998. Anche se il libro parla di un’estate più lontana, quella del 1963.

 

Acqua di mare

 

Mentre l’America vive gli ultimi scampoli di ottimismo e prosperità dell’era kennediana, il quindicenne Michael trascorre le vacanze con il padre e la madre nella villa di Bone Point, sulle rive dell’Atlantico.

 

Nell’estate del 1963 mi innamorai e mio padre annegò. Alla fine di giugno, per una settimana, a mezzo miglio dalla costa si formò una secca. Non potevamo vederla, ma sapevamo che c’era perché in quel punto dell’oceano le onde si infrangevano. Ogni giorno, all’arrivo della bassa marea, ci aspettavamo di vederla affiorare.

 

La nuova traduzione di Tommaso Pincio restituisce il luccicore del passato a questo romanzo fatto di luce, una luce che abbaglia e riscalda… come il sole pieno dell’estate. Perché durante quella fatidica estate Michael si innamora per la prima volta di una ragazza bellissima e magnetica, Zina, in vacanza anche lei a Bone Point con la madre. E noi, leggendo, ci innamoriamo e soffriamo insieme a lui, perché Zina ha vent’anni, dei sogni tutti suoi, è sfuggente, gioca con Michael, ma non ricambia l’intensità del suo sguardo…

 

Io e papà restammo sdraiati a lungo sulla spiaggia. I due cani ci annusarono per vedere se eravamo vivi. Mamma mi teneva la mano. Ce l’aveva a morte con papà. Le due inquiline, che si erano appena trasferite nella dépendance, rimasero con noi. La signora Mertz aveva la stessa età di mamma. Sua figlia, Zina, era stupenda anche a testa in giù. Aveva occhi e capelli castani, la pelle dello stesso colore anche se una tonalità più chiara, e le labbra rosso porpora. Sembravano intagliate. Non smetteva di abbracciare e carezzare il suo cane, come se fosse lui ad aver corso un pericolo anziché noi. Poi mi toccò la guancia; per curiosità, pensai. Mi innamorai di Zina a testa in giù.

 

Acqua di mare

 

Leggere Acqua di mare è come immergersi in un bagno caldo di nostalgia, rivedere un classico magnifico e struggente, ricordarsi di quanto sia difficile crescere, perdere l’innocenza.
Un viaggio nei sentimenti in subbuglio di un adolescente, che in questi giorni può diventare una splendida evasione in un luogo che è esistito ed esiste ancora da qualche parte dentro di noi.
Mi godo ancora un po’ la sensazione di nostalgia e vi lascio con questo dialogo tra Zina e Michael, mentre ascolto «A Sunday Smile» dei Beirut [3].

 

«Per come la vedo io, l’amore non è una consolazione alla condizione umana. Penso piuttosto che ne sia parte integrante. A volte funziona, a volte no, come molte cose nella vita. Ma è sempre un’illusione. L’amato non è mai all’altezza delle aspettative, e se l’amore persiste malgrado la delusione può tramutarsi anche in una trappola».
Parlai io. «Perché l’amato non è mai all’altezza delle aspettative?»
«Perché le aspettative sono alte e l’amato imperfetto».

Charles Simmons, Acqua di mare [1], traduzione di Tommaso Pincio

 

A presto e buone letture,
Maria