Eduardo Rabasa | Orwell e i Radiohead

Orwell e i Radiohead: l’alienazione e le multinazionali

Eduardo Rabasa Eduardo Rabasa, Scrittura, SUR

In seguito all’uscita del suo romanzo Cintura nera, abbiamo avuto il piacere di invitare lo scrittore messicano Eduardo Rabasa in Italia. Tra gli altri appuntamenti, Eduardo è stato ospite del bellissimo Festival della Disperazione, che si è svolto ad Andria dal 16 al 19 maggio scorso. Pubblichiamo oggi il testo del suo intervento al festival: «Orwell e i Radiohead: l’alienazione e le multinazionali». Buona lettura!

di Eduardo Rabasa
traduzione di Giulia Zavagna

 

UNO

Orwell e i Radiohead sono per me due grandi punti di riferimento, soprattutto in relazione a come interpreto il mondo contemporaneo, la realtà che viviamo.
Vorrei cominciare mostrando quattro brevi video che credo renderanno piuttosto chiaro l’argomento di cui mi piacerebbe parlare questa sera. Il primo è l’ormai mitica pubblicità con cui Apple ha presentato il nuovo computer Macintosh, lanciata durante il Super Bowl del 1984, e ispirata ovviamente al romanzo 1984, di George Orwell.

Il video seguente è un frammento della presentazione del computer fatta il giorno del lancio sul mercato, quando il Macintosh stesso prende per la prima volta la parola per ringraziare della propria esistenza il padre, un giovane imprenditore chiamato Steve Jobs.

Il terzo è un frammento del film 1984, diretto da Michael Radford e con John Hurt, che uscì quello stesso anno, e che mostra il rituale quotidiano conosciuto come «Two Minutes of Hate» [due minuti di odio, ndt].

https://www.youtube.com/watch?v=0KeX5OZr0A4

L’ultimo video invece è un meeting politico di Donald Trump dopo che è stato eletto presidente.

Alla luce di questi video, mi sembra piuttosto logico che dopo la vittoria di Trump 1984 sia volato in cima alla classifica dei libri più venduti negli Stati Uniti. Nonostante sia stato scritto circa settant’anni prima dell’ascesa di Trump al potere, è probabile che non ci siano libri in grado di spiegare questo fenomeno meglio di 1984. Sebbene solo questo argomento basterebbe per un monologo di almeno cinque ore, non è su questo che voglio concentrarmi. Vorrei innanzitutto segnalare l’intuizione di Orwell riguardo all’utilizzo politico dell’odio. Come abbiamo visto sia nella pubblicità della Apple sia nel frammento del film, nell’universo orwelliano il culto per la figura del leader e l’odio verso il nemico sono fondamentali per predisporre gli abitanti alla lealtà nei confronti del leader e della nazione trasformata in causa. Si tratta insomma dell’antico meccanismo del capro espiatorio, ruolo che oggi i migranti stanno occupando in quasi tutti i paesi sviluppati del mondo occidentale, basato sulla canalizzazione politica dell’odio verso un obiettivo ben preciso che Orwell percepì con tanta chiarezza da trasformarla in uno degli elementi politici essenziali del suo romanzo. È chiaro che la cosa più importante è il meccanismo in sé, il processo mentale ed emozionale che si genera, e il contenuto è, in questo senso, quasi secondario, poiché serve semplicemente come oggetto che genera nelle persone l’odio necessario.

Tuttavia, l’arrivo al potere di una figura come Trump, in quanto imprenditore, proprio come quello di Mauricio Macri in Argentina, dello stesso Bolsonaro in Brasile (che per quanto non sia un imprenditore in senso stretto ha fatto suo quello stesso credo), o forse anche qui in Italia con il caso di Berlusconi, è anche molto simbolico del consolidamento della classe imprenditoriale sia a livello ideologico-simbolico, come in questi casi reali, sia della classe dominante a livello politico ed economico in buona parte del mondo. Quest’egemonia del mercato elevata a ideologia, la diffusione del neoliberalismo e le conseguenti pratiche dominanti creano una realtà definita da Mark Fisher come «realismo capitalista», che si presenta come l’unica alternativa percorribile e l’unica forma possibile di concepire l’esistenza. In termini orwelliani, credo che questo senso di inevitabilità sia dato da ciò che il funzionario O’Brien dice al protagonista di 1984, Winston Smith, quando viene torturato verso la fine del romanzo: «Se vuoi un’immagine del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto umano. Per sempre».

Eppure, la versione contemporanea di questo stivale orwelliano è meno visibile rispetto all’immagine violenta che appare nel romanzo, e come ben dimostrano il caso di Trump e simili, l’assalto al potere della classe imprenditoriale si concretizza in questioni come lo smantellamento dello Stato Sociale e la riduzione delle imposte per i più ricchi, una disuguaglianza e una concentrazione della ricchezza mai viste prima, la perdita dei diritti sul lavoro, e la precarietà come condizione di base, e un retrocesso anche nelle regolamentazioni contro il riscaldamento globale, proprio in un momento di estinzione di massa di innumerevoli specie, e in cui sembrerebbe che il futuro della stessa razza umana potrebbe trovarsi in pericolo se non si dovesse correre subito ai ripari. Il fatto che il primo segretario degli affari esteri di Trump sia stato proprio l’ex direttore della compagnia petrolifera Exxon Mobil mi sembra un’allegoria così potente che potrebbe essere perfettamente tratta dalle pagine di 1984.

In questo senso, e per introdurre un altro degli elementi fondamentali di questo intervento, come cantano i Radiohead nella canzone «Idioteque»:

We’re not scaremongering, this is really happening, happening.

 

DUE

Da ormai circa venticinque anni, i Radiohead sono in assoluto il mio gruppo rock preferito, e mi hanno assicurato ore e ore di splendida miseria e tristezza, ogni volta che ho ascoltato a ripetizione le loro canzoni. Credo che chiunque ascolti la sua musica possa intuire che Thom Yorke è una persona con un sacco di problemi e voci in testa, forse le «chicken voices in my head» a cui fa riferimento in una delle sue canzoni più emblematiche, quell’inno alla paranoia e al disprezzo di sé intitolato «Paranoid Android». Per questo in fondo non mi ha sorpreso leggere in un’intervista, non molto tempo fa, che Yorke dichiarava di aver letto 1984 a undici anni, e che da allora il romanzo aveva cambiato la sua visione politica e sociale del mondo.

È quindi chiara l’influenza di Orwell nell’angosciante macrocosmo formato dalla musica dei Radiohead, che senz’altro ha molto di distopico. Nell’album Hail to the Thief c’è una canzone intitolata «2+2=5», un riferimento esplicito a quel concetto orwelliano secondo il quale se lo Stato (o qualsiasi altro centro di potere) dice che 2 + 2 è uguale a 5, come scopre Winston Smith, la mente individuale finirà per adattarsi a quella nuova realtà, mediante l’uso della forza fisica se necessario. Allo stesso modo, sulla pagina web ufficiale dei Radiohead anni fa c’era una sezione chiamata «Memory Hole» [buco della memoria], in un altro chiaro riferimento orwelliano a quei tubi in cui i funzionari governativi dovevano gettare la versione precedente della storia, sempre suscettibile di essere riscritta per adattarsi alle nuove versioni ufficiali della storia stessa.

L’album che in molti considerano il capolavoro dei Radiohead, Ok Computer, può essere interpretato tra molte altre cose come un lacerante lamento di fronte all’avvento della società postindustriale tatcheriana, inquadrata nell’ideologia del neoliberalismo, con l’egemonia del mercato e l’ascesa della classe imprenditoriale che ho già menzionato. Facendo riferimento a una delle frasi più famose dell’album, tratta di nuovo da «Paranoid Android», Yorke ha spiegato che una volta si trovava in un bar di moda a Los Angeles, circondato da estranei attratti dalla sua fama, che cercavano di ottenere qualcosa da lui, quando qualcuno ha rovesciato accidentalmente una bibita addosso a una donna. La cosa le ha causato un attacco di furia, grazie al quale sarebbe stata poi immortalata come la «kicking, screaming Gucci little piggy» della canzone. Yorke racconta che in quel momento si è reso conto di essere circondato da persone appartenenti alla classe dominante, di farne parte lui stesso, e questo gli ha prodotto un immenso orrore e disprezzo di sé.

 

TRE

La lettura più diffusa dell’opera di Orwell, in particolare dei suoi due romanzi più famosi, La fattoria degli animali e 1984, è che fossero delle stupefacenti avvertenze contro i totalitarismi, in particolare del nazi-fascismo tedesco-italiano, e del comunismo sovietico. Sebbene sia senz’altro vero, tra le altre cose per il fatto che è facile intuire tra i maiali della Fattoria degli animalile figure che corrispondono rispettivamente a Lenin, Trotsky e Stalin, a mio avviso non è questa la caratteristica principale o più longeva dell’opera di Orwell. Nella mia interpretazione, sono proprio i meccanismi di potere più sottili, invisibili, che spesso si celano dietro le strutture soggiacenti, le facciate delle istituzioni, come nel meccanismo di uso politico dell’odio, quelli che Orwell aveva compreso e descritto in modo più brillante, anche prevedendo situazioni allora inesistenti che si sarebbero però verificate in futuro. Da qualche parte nella sua opera, credo in un articolo giornalistico, si trova una frase che racchiude l’importanza che per Orwell aveva la capacità di esercitare un potere sulla coscienza, sulla mente degli individui, poiché non c’era modo più efficace di orientare un comportamento che spingere le persone ad agire in modo volontario, senza bisogno di ricorrere alla minaccia della forza: «Circus dogs jump when the trainer cracks his whip, but the really well-trained dog is the one that turns his somersault when there is no whip» [I cani ammaestrati saltano quando l’addestratore fa schioccare il frustino, ma il cane addestrato meglio è quello che fa una capriola senza bisogno del frustino, ndt].

Da questo deriva principalmente l’importanza dell’effetto psicologico del leader come figura che orienta gli affetti e i comportamenti degli individui, come nel caso del Grande Fratello per esempio. In 1984 a un certo punto si dice esplicitamente che è del tutto irrilevante il fatto che il Grande Fratello esista davvero oppure no, perché l’importante è l’immagine a lui associata, che scruta incessantemente i membri della società. È vivo o morto?, forse è un’invenzione? Non importa, l’importante è che li stia vigilando, da qui la frase: Big Brother is watching you. Nel caso delle società contemporanee, a livello politico lo vediamo con l’ascesa di figure che sebbene in termini formali vengano elette democraticamente, si iscrivono più nella figura dell’autocrata severo, violento, implacabile che difenderà la società dalle minacce esterne, con una retorica e una simbologia fortemente nazionalista e militarista, come nei casi già citati di Trump e Bolsonaro, ma anche di Erdogan, Rodrigo Duterte, eccetera.

Tuttavia, un elemento relativamente nuovo è che quello stesso culto della personalità e quello status di quasi celebrità si applica ora anche ai leader imprenditoriali più in vista, come nel caso di Steve Jobs appunto (nel video che abbiamo visto poco fa, l’accoglienza che riceve mi sembra impressionante: la gente lo applaude e lo acclama per un computer che parla…), e come senz’altro avviene con Mark Zuckerberg, Bill Gates, Elon Musk e altri ancora. Sono diventati le nuove rockstar, al punto che esiste una tendenza secondo cui si sposano con attrici e supermodelle, onore che tradizionalmente era riservato a celebrità e calciatori. Grazie alle loro piattaforme tecnologiche e ai milioni che distribuiscono le loro fondazioni filantropiche – credo che Bill Gates abbia fatto più beneficenza di chiunque altro nella storia –, si mostrano sempre sorridenti e rilassati, o nell’atto di vaccinare bambini affetti da malaria in giro per il mondo. E così come è successo con Trump, in alcuni casi è stata espressa l’idea che potessero formalmente iniziare una carriera politica, ed è logico perché la loro ottima immagine pubblica e la visibilità di cui godono superano quella della stragrande maggioranza dei politici tradizionali. Nonostante in termini socioeconomici (o perfino giornalistici, poiché è ampiamente documentato che Google e Facebook abbiano direttamente contribuito alla chiusura di centinaia di giornali, nell’accaparrarsi tutte le entrate della pubblicità, in molte occasioni perfino avvalendosi dei reportage di quegli stessi media per attirare click, per non parlare del ruolo di Facebook nel trionfo di Trump e di Amazon nella distruzione della catena produttiva) siano corporazioni che causano un enorme danno al tessuto sociale, i capi in vista si presentano normalmente come grandi imprenditori preoccupati per la società stessa, fatto che produce la cruciale piroetta orwelliana di elevare l’immagine personale e gli affetti che questa genera al di sopra dell’impatto reale nella comunità politica. Come vedremo in seguito, l’egemonia delle megacorporazioni ha raggiunto ormai proporzioni che vanno molto al di là dell’immagine dei loro proprietari, dando vita poco a poco ad autentici feudi che, di nuovo, potrebbero perfettamente appartenere alla più audace delle distopie orwelliane.

 

QUATTRO

It’s the devil’s way now / There is no way out / You can scream and you can shout / It is too late now

 

È un’ovvietà affermare che le corporazioni siano diventate il grande protagonista economico e sociopolitico dei nostri tempi, oltrepassando in molti caso lo Stato-nazione. Il valore di Apple rappresenta l’1% del PIL mondiale, e supera quello di 183 dei 199 paesi di cui la Banca Mondiale ha traccia.

Eppure, nonostante vivano la loro età dell’oro, le corporazioni sostengono che il proprio sviluppo venga ancora ostacolato, principalmente attraverso il sistema di imposte e di regolamentazioni del lavoro. E sebbene siano riuscite a ridurre entrambi gli aspetti a livelli irrisori, la ricerca costante di espansione e benefici illimitati le obbliga a cercare nuovi modi di aggirare questi concetti arcaici, che si rifiutano di assecondare i tempi una volta per tutte. Non sorprende quindi leggere che esiste il progetto di fondare una sorta di Arcipelago Google, una serie di isole nel Pacifico che sarebbero territori non soggetti a nessuna legge o giurisdizione che non siano quelle dell’azienda stessa. Il direttore di Google, Larry Paige, ha dichiarato che «ci sono molte cose emozionanti che si potrebbero provare, che attualmente sono illegali o proibite dalle varie regolamentazioni». Allo stesso modo, Peter Thiel – il fondatore di PayPal e membro della squadra di transizione presidenziale di Donald Trump – ha investito ingenti somme di denaro in un progetto chiamato Seasteding Insistute, per creare città galleggianti politicamente autonome nella Polinesia francese, con zone economiche speciali che, secondo il video promozionale da loro stessi diffuso, rappresenterebbero un’alternativa al cambiamento climatico «se si dovesse perdere terra per via del livello crescente del mare». È probabile che queste fantasie di creare feudi corporativi nei quali non esiste altra legge che la loro resteranno semplicemente fantasie deliranti di multimilionari che non sanno in quale altro modo soddisfare il proprio ego smisurato, ma la loro stessa esistenza è già significativa, poiché ci dice che non gli basta quel che hanno ottenuto fino a questo momento e che, proprio come il signor Burns dei Simpsons, sarebbero disposti a cambiare ogni cosa per ottenere ancora un po’ di più. Non è nemmeno un caso sapere che molti multimilionari hanno acquistato bunker postapocalittici, 10 metri sotto terra, dove pianificano di rifugiarsi se l’ordine sociale arrivasse al punto di disintegrarsi, poiché per quanto appaiano sempre sorridenti e disinvolti nelle loro foto su Instagram, il senso di colpa per il danno collettivo che stanno causando li spinge a prepararsi in caso riuscissero davvero a portare i propri sogni fino alle loro più estreme conseguenze.

 

CINQUE

Don’t get any / Big ideas / They’re not / Going to happen

 

Qual è il tipo di individuo che queste società stanno creando, sia dal punto di vista lavorativo che individuale, come cittadino? Dal punto di vista lavorativo, la precarizzazione del lavoro induce uno stato di angoscia perpetuo per paura di perderlo, unito a un’angoscia sociale che provoca il bisogno di possedere sempre il più recente device tecnologico, o di apparire belli e raggianti nelle foto di Instagram, almeno quanto tutti gli altri. È uno stato dell’anima che si incarna molto bene nella canzone dei Radiohead «Everything in Its Right Place», e in particolare in quella frase struggente che si ripete senza sosta per tutto il brano: «Yesterday I woke up sucking a lemon». In questo paradigma, i colleghi di lavoro diventano avversari dei quali bisogna occuparsi, o che bisogna superare. Come ha scritto lo psicanalista britannico Darian Leader, in un tale contesto di pressione costante, il crescente consumo di antidepressivi è una risposta naturale, senza la quale il sistema produttivo non sarebbe in grado di sostenersi. Anche qui risuonano echi orwelliani, visto quanto è importante in 1984 provvedere incessantemente al rifornimento di alcol, sia per rendere più sopportabile il peso della vita, sia per ottenere il conseguente effetto di docilità politica.

Di fronte a questo panorama, si produce ciò che pensatori come Mark Fisher hanno descritto come un’epidemia di malattie mentali che, paradossalmente, finiscono per essere una risposta sana di fronte alla schizofrenia del sistema, che ha almeno due versanti: sul piano individuale, il discorso del successo e dell’accumulazione deposita sull’individuo la responsabilità di ottenere una vita che, a livello di massa, è impossibile raggiungere, poiché è ampiamente dimostrato che l’enorme maggioranza delle persone muore appartenendo alla stessa classe sociale a cui appartenevano alla nascita. È impossibile che tutti diventino il nuovo Bill Gates, eppure, se non riesci a diventare il nuovo Bill Gates, sembra che la colpa sia tua, perché non sei all’altezza, non hai talento. Sul piano invece collettivo, questa schizofrenia appare come un abisso tra il discorso democratico, inclusivo, egualitario, meritocratico, e una realtà sconcertante che di fatto esclude da molti diritti primari buona parte della popolazione, e che perfino in termini di diritti per quanto riguarda il lavoro, l’orientamento sessuale, la riproduzione, la libertà di stampa sta affrontando un crescente attacco, perfino in paesi dove fino a pochi anni fa sarebbe parso impossibile.

Per concludere, e ovviamente generalizzando molto, credo si possa affermare che viviamo in società orwelliane in un senso politico e socioeconomico, abitate dall’individuo alienato che attraversa da cima a fondo praticamente tutta la musica dei Radiohead. All’inizio avevo pensato di dedicare un’ultima parte di questo intervento a esplorare le falle nel sistema o le iniziative che puntano a un cambiamento di questi paradigmi, che permettono di pensare a uno stato di cose diverso, strutturato intorno a meccanismi ed emozioni che non si basano, come abbiamo visto, sull’odio, la concorrenza, l’angoscia, la precarietà, ma poiché sono molto grato di questo invito e della possibilità di essere qui oggi a parlare con voi, e poiché siamo al Festival della Disperazione, mi sembrava di cattivo gusto chiudere con qualcosa che andasse contro lo spirito di questa grande iniziativa.

Grazie a tutti!

 

© Eduardo Rabasa, 2019. Tutti i diritti riservati.

per la foto: © Festival della disperazione, 2019. Tutti i diritti riservati.

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