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Miguel Ángel Asturias nelle parole di César Aira

César Aira Ritratti, SUR

Continuiamo a presentarvi le voci del Diccionario de autores latinoamericanos di César Aira dedicate ai premi nobel della letteratura latinoamericana. Oggi parliamo dell’autore guatemalteco Miguel Ángel Asturias, che avevamo già approfondito qui e qui.

di César Aira
traduzione di Raul Schenardi 

Miguel Ángel Asturias nacque in Guatemala nel 1899 da una famiglia ricca e in vista. Si laureò in Giurisprudenza nella sua città natale e poi studiò Antropologia e Preistoria americana a Parigi, con George Raynaud; visse nella capitale francese negli anni Venti, e lì realizzò una traduzione del Popol-Vuh a partire dalla versione al francese di Raynaud e scrisse il suo primo libro importante (preceduto da altri di poesia), Leyendas de Guatemala (1930), nel quale sfoggia già il suo ricchissimo stile barocco, con elementi estranei alla lingua spagnola derivati dall’idioma e dal pensiero maya. Al suo ritorno in patria scrisse quello che sarebbe diventato il suo romanzo più famoso, El señor Presidente, che si ispirava alla cruenta e carnevalesca dittatura di Estrada Cabrera, caduta nel 1921. Per motivi di carattere politico il romanzo poté essere pubblicato soltanto nel 1946 e a quel punto significò la consacrazione del suo autore. Si è ricordato il precedente di Valle Inclán con Tirano Banderas, ma Asturias supera di gran lunga il modello, che da semplice caricatura esotica, fredda e artificiosa, si trasforma in un tragico incubo di formidabile vigore stilistico. Ancora migliore è il suo libro successivo, Hombres de maíz (1949), poetica visione della miseria e del misticismo dei contadini guatemaltechi. I suoi tre romanzi successivi formano un ciclo nel quale le posizioni antimperialiste dell’autore raggiungono la massima virulenza: Viento fuerte (1950), El Papa verde (1954) e Los ojos de los enterrados (1960); a cui bisogna aggiungere il volume di racconti Week-end en Guatemala (1956). Le denunce nei confronti della Cia, dei nordamericani in genere e in particolare contro la compagnia United Fruit sono riversate nella magnifica prosa di Asturias, fra lo spagnolo e il cakchiquel, e sempre con grande maestria narrativa.

Nel 1954, alla caduta di Jacobo Arbenz, Asturias dovette prendere la via dell’esilio e andò in Argentina; visse dieci anni a Buenos Aires e si trasferì in Europa dopo un incidente poliziesco durante la repressione anticomunista del governo fantoccio di Guido. La sua produzione cambiò tono e la qualità letteraria diminuì sensibilmente; si caratterizzò sempre di più per un esotismo di carattere turistico, per le nostalgie giovanili, i luoghi comuni magico-religiosi e una crescente confusione generale. Le sue ultime opere sono El alhajadito (1961), Mulata de tal (1963), El espejo de Lida Sal (1967), Maladrón (1969), Viernes de Dolores (1972), Tres de cuatro soles (1977). Nel 1967 ottenne il premio Nobel per la letteratura. Negli ultimi anni di vita fu diplomatico e morì a Madrid nel 1974.

Le sue poesie giovanili sono riunite in Sien de alondra (1948) e quelle della maturità in Clarivigilia primaveral (1965). Fu un poeta classico, spoglio, e predilesse il sonetto (un libriccino pubblicato a Buenos Aires si intitola Ejercicios poéticos en forma de soneto sobre temas de Horacio, 1952). Il suo stile più personale si manifesta nelle traduzioni di poesia indigena: Poesía precolombina, 1960. I suoi saggi sono stati riuniti in América, fábula de fábulas (1972) e El adjectivo y sus arrugas (1981).

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