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Cile, terra di poeti

[1]

Raúl Zurita

di Raul Schenardi

Il Cile è terra di poeti, si sa, e il Salone del libro di Torino quest’anno dedica ampio spazio alla poesia cilena: dai due premi Nobel, Gabriela Mistral e Pablo Neruda, a Nicanor Parra, premio Cervantes nel 2011, ai meno noti Oscar Hahn e Raúl Zurita.

Di Nicanor Parra abbiamo parlato in occasione dell’assegnazione del premio [2].

Ricordo che Bolaño – un altro cileno a cui sono state dedicate diverse iniziative al Salone – ha sempre dichiarato la sua preferenza per Parra. Neanch’io ho dubbi. A suo tempo scrissi questa breve nota per la rivista “BlowUp” sui rapporti fra Parra e Neruda:

Alla domanda se voleva essere il miglior poeta del Cile, Nicanor Parra rispose con la sua proverbiale ironia che si accontentava di essere il miglior poeta di Isla Negra, località dove viveva anche Pablo Neruda. E non fece mai mistero del fatto che: «Neruda fu sempre un problema per me. Una sfida, un ostacolo che incontravo sulla mia strada». Così affrontò la sfida sul piano della poetica creando l’anti-poesia, ovvero la sovversione delle pretese totalizzanti del Vate. Niente di più lontano infatti dal tono sacerdotale di Neruda, dalle sue metafore ampollose e immaginifiche, che il sommesso chiacchiericcio dell’uomo comune, impantanato in banali situazioni quotidiane, che Parra riproduce nei suoi versi. E se Neruda si ispirò a Whitman per il suo Canto general, Parra influenzò Ginsberg e Ferlinghetti, che negli anni ’60 tradussero e pubblicarono i suoi versi negli Usa.

Pur proclamando in varie occasioni rispetto e persino un certo affetto per la vaca sagrada delle lettere cilene, Nicanor non si negò mai il piacere di scherzare sul suo nome (cioè sulla sua fama). Come quando dichiarò allo scrittore Carlos Franz: «Avrai notato che sono l’unico poeta cileno senza pseudonimo (allusione a Neruda, Mistral, De Rokha e Vicente Huidobro). Il fatto è che un antipoeta non può inventarsi uno pseudonimo. Ha bisogno di un nome reale che sia vacante, per occuparlo. Capisci? Alla fine l’ho trovato: Neftalí Reyes. Il prossimo libro lo firmerò come Neftalí Reyes. E sotto, fra parentesi e cancellato: Nicanor Parra.» Ora, Neftalí Reyes è il vero nome di Neruda.

E chissà come avrà preso «Pablito» il discorso in suo onore pronunciato nel 1962, dove Nicanor fissa in modo incontrovertibile la differenza tra sé – «l’antipoeta che viene considerato persona non grata» – e Neruda, tra il «francotiratore» e il «poeta soldato che non esce mai senza il suo mitra».

Mitra in pugno, Neruda si conquistò il Nobel per la letteratura, laddove Parra più modestamente rivendicava per sé quello della lettura: «Il Nobel della Lettura dovrebbero darlo a me / che sono il lettore ideale / e leggo tutto quello che mi capita. / Leggo i nomi delle strade / e le insegne luminose / e i muri dei bagni / e le nuove liste di prezzi».

Due parole su Raúl Zurita: classe 1950, praticamente sconosciuto in Italia, è figlio di un’italiana e l’italiano è stata la sua prima lingua. Tutta la sua opera poetica è stata indelebilmente segnata dal colpo di Stato di Pinochet nel 1973. In un’intervista rilasciata proprio in questi giorni in Spagna, dove si trova per assistere a un seminario ad Alicante, ha affermato che il colpo di Stato del 1973 è stato la colonna vertebrale della sua opera, “come se da allora avessi scritto un solo libro, incentrato su quel giorno”.

Gli si può credere sulla parola: militante comunista, subì la repressione di Pinochet, il carcere e la tortura.

Zurita comunque non si è limitato a scrivere e pubblicare poesie. Come ha dichiarato nell’intervista già citata: “Mi parve che i linguaggi della letteratura cilena precedenti al colpo di Stato del 1973 non riuscissero a dare conto della frattura che si era prodotta nelle nostre vite”. E poi, con una evocazione di Artaud: “Al poeta tocca essere la prima vittima, quella che rappresenta tutti gli altri. Ma deve essere anche il primo dei caduti che si rialza per annunciare che vengono tempi nuovi”.

E così, alla pubblicazione dei suoi versi ha cominciato a unire la realizzazione di performance, nelle quali si è spinto persino a gesti autolesionisti, per esprimere “l’impotenza di fronte alla realtà e la necessità di dire senza parole”. Memorabile anche la performance newyorkese del 1982: dopo aver ottenuto il sostegno finanziario di varie università statunitensi e il supporto materiale del MIT, il poeta ha fatto tracciare in cielo da alcuni aerei i quindici versi di La vida nueva, con lettere fatte di fumo, a più di 4000 metri d’altezza. (Ricordate Stella distante di Bolaño?) Eccoli:

MI DIOS ES HAMBRE

MI DIOS ES NIEVE

MI DIOS ES NO

MI DIOS ES DESENGAÑO

MI DIOS ES CARROÑA

MI DIOS ES PARAÍSO

MI DIOS ES PAMPA

MI DIOS ES CHICANO

MI DIOS ES CÁNCER

MI DIOS ES VACÍO

MI DIOS ES HERIDA

MI DIOS ES GHETTO

MI DIOS ES DOLOR

MI DIOS ES

MI AMOR DE DIOS

Il motivo per cui scelse di scriverle in spagnolo lo spiegò così: “Scrissi in cielo quei versi della mia poesia in spagnolo come omaggio ai gruppi minoritari, rappresentati in quel caso dalla popolazione di lingua spagnola degli Stati Uniti, le persone che si trovano nelle peggiori condizioni di vita della società nordamericana”.

Un altro grande happening realizzato da Zurita nel 1993 è stato una rievocazione dei geroglifici di Nazca: la frase “Ni pena ni miedo” scritta nel deserto di Atacama, nel nord del Cile, in dimensioni gigantesche: 3 km di lunghezza per 400 metri di larghezza (si può vedere con Google Earth).

Per chi volesse approfondire, alcuni link utili:

http://es.wikipedia.org/wiki/Ra%C3%BAl_Zurita [3]

http://www.poemas-del-alma.com/raul-zurita.htm [4]

http://www.memoriachilena.cl/temas/index.asp?id_ut=raulzurita%281951-%29 [5]

E per concludere, una sua poesia.

Las playas de Chile (I)

No eran esos los chilenos destinos que
lloraron alejándose toda la playa se
iba haciendo una pura llaga en sus ojos

No eran esas playas que encontraron sino más bien el clarear del ciclo
frente a sus ojos albo como si no fuera de ellos en todo Chile espejeando
las abiertas llagas que lavaban

i. Empapado de lágrimas arrojó sus vestimentas al agua

ii. Desnudo lo hubieran visto acurrucarse hecho un ovillo sobre
sí tembloroso con las manos cubriéndose el purular de sus heridas

iii. Como un espíritu lo hubieran ustedes visto cómo se abrazó
así mismo lívido gimiente mientras se le iba esfumando el color
del cielo en sus ojos

Porque no eran esas las playas que encontraron sino el volcarse de
todas las llagas sobre ellos blancas dolidas sobre sí cayéndoles como
una bendición que les fijara en sus pupilas

iv. Porque hasta lo que nunca fue renació alborando por esas playas

v. Ese era el resplandor de sus propias llagas abiertas en la costa

vi. Ese era el relumbrar de todas las playas que recién allí le salu-
daron la lavada visión de sus ojos

Porque no eran esas las que encontraron sino sus propias llagas exten-
diéndose hasta ser la playa donde todo Chile comenzó a arrojar sus
vestimentas al agua radiantes esplendorosos lavando frente a otros los
bastardos destinos que lloraron.