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Roberto Arlt: un gorgo senza fondo

Francesca Lazzarato Autori, Roberto Arlt, SUR

In attesa dell’uscita di Scrittore fallito, pubblichiamo oggi una riflessione di Francesca Lazzarato sulla produzione di Roberto Arlt, e in particolare su Un viaggio terribile, nouvelle di recente pubblicata da Edizioni Arcoiris.
L’articolo è uscito su Il Manifesto il 15 giugno scorso.

«Un gorgo senza fondo»
di Francesca Lazzarato

Nel corso della sua breve vita (1900-1942), Roberto Artl ha scritto incessantemente, con quella «forza di conservare sino all’ultimo la disponibilità all’incertezza che è condizione essenziale dei capolavori», riconosciuta in lui da Juan José Saer. Un’opera imponente, inclassificabile e fuori da ogni canone, la sua, alla quale il lettore italiano si è avvicinato soprattutto attraverso i quattro romanzi (L’amore stregone, l’ultimo e il meno noto, è uscito per la prima volta quest’anno presso Intermezzi), mentre restano da tradurre gli innumerevoli racconti – a eccezione dell’ormai introvabile raccolta Le belve, la cui ultima edizione è quella di Baroni del 2002 –, i testi teatrali e infine le Aguafuertes porteñas, esempio straordinario di giornalismo narrativo che fortunatamente sta per essere antologizzato dall’editore Del Vecchio.

Tanto più interessante risulta dunque l’ultima proposta di Arcoiris, minuscola casa editrice salernitana che, nella sua sorprendente collanina di testi brevi dedicata a Gli eccentrici delle letterature latinoamericane, inserisce una nouvelle dell’autore argentino intitolata Un viaggio terribile (pag. 95 e. 10; la bella traduzione, la prima nella nostra lingua, è di Raul Schenardi, cui si deve anche la postfazione), scritta nel 1941 e pubblicata lo stesso anno: una storia bizzarra che, pur riprendendo ossessioni e motivi tipici di Arlt (la violenza, la presenza del male, la ricerca della felicità, la passione quasi ingenua per la scienza), non mancherà di stupire chi ha letto I sette pazzi o Il giocattolo rabbioso.

Proprio come nelle esotiche storie riunite in El creador de gorilas (1941) e ambientate in un’Africa in buona parte immaginaria, in Un viaggio terribile Arlt sembra allontanarsi dal realismo allucinato delle sue opere più note, nonché smentire l’opinione comune che lo vuole scrittore irreparabilmente argentino, anzi porteño, la cui luce, nota Cortazár, «si concentra e si limita all’interno del perimetro di una Buenos Aires che nessuno conosce meglio di lui». Lasciandosi alle spalle la città che è protagonista e sfondo di gran parte della sua narrativa, qui l’autore esce letteralmente in mare aperto per raccontare il  viaggio di un allegro truffatore costretto a imbarcarsi su una sorta di “nave dei folli” fin troppo allegorica, popolata da passeggeri che rappresentano altrettanti tipi caratteristici (il sacerdote presbiteriano ottuso e razzista, la devota zitella scozzese, la donna sensuale e disinibita, l’arabo lussurioso) e incarnano i difetti e i tic della borghesia, mentre l’improbabile equipaggio rimanda al popolo dei bassifondi presente in tante opere di Arlt. Disseminato di incidenti misteriosi, di furti, di amori nascenti, di manoscritti perduti, di baldorie celebrate sull’orlo del disastro, il viaggio sfiora la tragedia quando, in pieno oceano, la nave rischia di venire inghiottita da un gigantesco vortice, un maelström di ignota origine che suscita un terrore incontrollato tra i viaggiatori; e, se un salvataggio in extremis non mancherà, il finale sarà segnato da perdite e sorprese amare.

Nel corso del racconto il “realista” Arlt si avvicina sempre di più al fantastico, lo costeggia, lo sfiora, come già in altri testi in cui pare aver presente la lezione di Horacio Quiroga, da lui indicato come il suo cuentista preferito in un’intervista del 1929; ma non c’è dubbio che ancora più percettibile sia l’eco della letteratura popolare e dei suoi «fascicoli variopinti» citati nell’incipit di Il giocattolo rabbioso, indimenticabili avventure di carta cui si sovrappongono le impressioni registrate durante i rari e rapidi viaggi come inviato in Cile, Spagna, Marocco.  La nota più insolita (ma non troppo, per gli attenti lettori di Arlt e soprattutto per chi conosce il suo teatro sospeso tra crudeltà, farsa e grottesco) sta però nell’esercizio di uno humour nerissimo e senza freni, che si prende gioco di tutti i personaggi e perfino dello stesso autore, la cui attività di inventore senza fortuna si riflette nella pazzia della incantevole Annie, falso ingegnere chimico e autentico folle. Come sempre capace di spiazzare, Arlt riesce a rendere comica e quasi surreale la scena di un linciaggio, e anche qui smentisce una volta di più coloro che gli rimproveravano di “scrivere male” o che, come Onetti e Cortazár, si affrettavano a perdonarglielo: un luogo comune da cancellare, alla luce di uno stile diretto, denso di immagini e più che mai contemporaneo.

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