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#InCasaEditrice /5

In questi giorni la redazione si è sparpagliata nelle case di tutti noi: ecco allora i dispacci dalle sedi distaccate di SUR, che mai come adesso si sente una CASA editrice. Oggi scrive Dario Matrone, editor e redattore.

Cari lettori,
mentre continuo come tutti a sperimentare modi per affrontare queste inedite giornate di clausura, mi ritrovo con molto tempo da dedicare al mio lavoro. Porto avanti le bozze di un affascinante libro di critica letteraria, un volume di saggi di John Updike dal titolo Armoniose bugie, curato per noi da Giulio D’Antona e tradotto dall’ottimo Tommaso Pincio. Leggo un manoscritto di un autore inglese (non posso essere più specifico) che mi è stato passato da Martina Testa con la richiesta di un secondo parere, in vista di un’eventuale acquisizione. Partecipo a riunioni in videochiamata con i colleghi di SUR per rimaneggiare – giorno dopo giorno, inseguendo le capricciose esigenze del momento – la nostra programmazione editoriale.

 

 

Penso (pensiamo) ai libri futuri, perché emergenza o non emergenza un futuro continuiamo a immaginarlo e a progettarlo, e i libri in questo futuro continueranno a essere la nostra passione e la nostra missione. Ma penso anche al presente, ai libri che ho amato e su cui ho lavorato nell’ultimo periodo, e che sono usciti o stanno uscendo proprio in questi giorni.

Oggi voglio appunto presentarvi gli eroi di due libri che mi hanno accompagnato negli scorsi mesi e che non vedevo l’ora di accompagnare a mia volta nel mondo, nelle librerie e nelle vostre case.
Il primo è Euchrid Eucrow, il protagonista del romanzo d’esordio di Nick Cave E l’asina vide l’angelo [1]: un ragazzino muto e deforme, un reietto, che si trova da solo a combattere contro una comunità religiosa animata dal pregiudizio e dall’odio. Il secondo eroe (in realtà un’eroina) è Christine Clark, per tutti Oreo: un’adolescente di sangue misto, nata da una madre nera e un padre ebreo, che si imbarca in un viaggio surreale per New York alla scoperta del «segreto della sua nascita». Christine è la protagonista del primo (e unico) romanzo scritto dall’autrice afroamericana Fran Ross, intitolato appunto Oreo [2].

Nick Cave e Oreo

Dopo aver lavorato per tanto tempo sulle loro storie e sulle loro voci, insieme alle bravissime traduttrici Francesca Pe’ e Silvia Manzio, riesco quasi a vedermeli davanti, questi due personaggi. Da una parte lo storpio Euchrid, alto, curvo, magro e vestito di stracci, chiuso in un rifugio al limitare delle paludi, da dove spia i suoi nemici e cova nel suo mutismo un sogno solitario di rivincita. Dall’altra la bellissima e solare Oreo, con la pelle nera e la pettinatura afro, un «sorriso biscottato» sulle labbra, che attraversa le strade della metropoli sicura di sé, sempre pronta a rintuzzare le piccole e grandi sopraffazioni di un mondo di uomini con una battuta tagliente – o, quando l’umorismo non è più sufficiente, con una mossa di arti marziali ben assestata.
Sono due personaggi, e due libri, molto lontani fra loro, ma che a ben guardare sembrano fare appello in modo diverso alla stessa capacità di resistere che c’è in tutti noi. Con la rabbia, come Euchrid, o col sorriso, come Oreo. Risorse indispensabili, in questi giorni, quasi quanto i bei libri.

Vi lascio con un piccolo assaggio tratto proprio da Oreo, la scena in cui Christine elabora il suo personalissimo sistema di autodifesa. Non provate a imitarla, però.

Più o meno in quel periodo Oreo ricevette una lettera della madre destinata a influenzare profondamente la sua forma mentis. La lettera conteneva la sua quota fissa di digressioni, come quella sulla paranoia verso i dentisti bianchi: «Poniamo che hai un dentista bianco, poniamo che guarda caso nutre un odio represso verso i neri e poi poniamo che quando arrivi tu ha pure la luna storta. Non potrebbe essere che guarda caso spinge quel vecchio trapano un po’ troppo forte e che va un po’ più a fondo del necessario? È solo una domanda, non voglio traumatizzarti per tutta la vita. Tu tra l’altro hai ancora dei denti da latte perfetti. Ma già che siamo in tema di dentisti, voglio parlarti del dottor Goodbody. Il dottor Goodbody inizia a spruzzare collutorio ancor prima che tu prenda appuntamento. E il suo nebulizzatore è la copia sputata di un lanciafiamme. Ma come biasimarlo per la sua schizzinosità quando si pensa a tutti gli effluvi fetidi, ai liquami di fogna, allo schifo che emana la bocca di certa gente? Quello che il dottor Goodbody non ha capito però è che un paziente che va dal dentista è come una casalinga che fa le pulizie prima che passi la donna. Tutto un viavai di idropulsori, fili interdentali, collutori e dentifrici – per non parlare della carta vetrata!»
Questa digressione era la premessa logica all’argomento principale della lettera: l’oppressione delle donne. «È un argomento su cui ho riflettuto molto e credo di essere giunta a una conclusione. Ho tentato di includere nella mia teoria tutte le considerazioni sociologiche, mitologiche, religiose, filosofiche, muscolari, economiche, culturali, musicali, fisiologiche, etiche, intellettuali, metafisiche, antropologiche, ginecologiche, storiche, ormonali, ambientali, giudiziarie, legali, morali, etniche, governative, linguistiche, psicologiche, schizofreniche, glottali, razziali, poetiche, dentali [ecco il nesso logico], artistiche, militari e urinarie dall’epoca preistorica ai giorni nostri. E sono riuscita a sintetizzarle in una tesi definitiva: gli uomini possono spaccare la faccia alle donne».
La lettera proseguiva descrivendo le implicazioni della sua tesi sulla teoria del cosiddetto matriarcato nero: cioè facendola letteralmente a pezzi. In seguito Helen avrebbe potuto aggiungere (con un lapsus calami dovuto alla fame): «Non c’è peggior salame maschilista di un salame maschilista nero», ma quel giorno si limitò a constatare come la sua stessa madre continuasse a rimettersi al marito nonostante fosse paralizzato, preferendo restare sul sicuro nel caso in cui si fosse ripreso. Come ripeteva sempre Louise: «’Nsiamai [che lei pronunciava tutto attaccato, come fosse una parola cinese] che si sveglia e mi scambia i connotati».
La lettera di Helen fece una tale impressione su Oreo da convincerla a prendere due decisioni: avrebbe scelto un motto e sviluppato un sistema di autodifesa. Il motto fu Nemo me impune lacessit (nessuno mi sfida impunemente). «Non mi farò comandare da nessun negro. Se qualcuno ci prova lo piglio a klop nelle kishkas!», disse, mescolando le inflessioni di sua nonna – nera dalla pelle bianca – e (attraverso sua madre) di suo nonno – bianco dalla pelle scura – come faceva ogni volta che era stressata.
Chiamò il suo sistema di autodifesa Guida Essenziale per Neutralizzare gli Interstizi Omogenei, o GENIO. Il GENIO si fondava sull’inclinazione tutta orientale ad attaccare le zone più morbide e vulnerabili del corpo oppure, in sostanza, a creare tali interstizi dove in precedenza non esistevano, per esempio dove fino a un secondo prima non c’era altro che una distesa di pelle liscia e senza escoriazioni e una struttura di ossa solide e senza fratture. In quest’ottica Oreo sviluppò una serie di colpi che rendevano obsoleti gli altri metodi di autodifesa – jujitsu, karate, kung fu, savate, judo, aikido, mikado, kikuyu, kendo, hondo e shlong – incorporandone le mosse più efficaci e migliorandole.
Con un ventaglio di colpi (o kōlp, come li chiamava lei) del calibro del kā-tsot, cal-chōn, lē-gnat, dzu-kāt, gan-tchō, spāk-mus, rān-dell, spēz-gamb, ma-tsāt, tche-phōn, skār-pat, gomi-tāt, ba-tōst, spēz-os, la stazza e i muscoli dell’avversario erano praticamente ininfluenti. Che fosse alto o basso, grasso o magro, ben piantato o mingherlino, bastava che Oreo raggiungesse uno stato di estrema concentrazione noto come mah-sākr per affrontare qualsiasi individuo fino a tre volte più grande e pesante di lei e fargli un culo così.
Una volta entrò inavvertitamente nello stato di mahsākr mentre era in macchina con suo zio. Stavano passando a un incrocio quando un uomo la vide ed emise un verso di suzione per manifestare apprezzamento nei confronti del suo aspetto. Senza nemmeno rendersi conto di aver sentito quei suoni primitivi, Oreo si ritrovò in uno stato di mah-sākr talmente avanzato che, quando tirò il posacenere scambiandolo per la maniglia della portiera, trasformò involontariamente la macchina dello zio nell’unica club coupé a tre porte d’America.

Fran Ross, Oreo [2], traduzione di Silvia Manzio

A presto e buone letture,
Dario