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Video Killed the Borges Star

Andrea Meregalli Ritratti, Scrittura, SUR

Il 14 giugno scorso si sono celebrati i trent’anni dalla morte di Borges. Gli amici di Finzioni, borgesiani per eccellenza, hanno preparato un bellissimo pezzo sull’inevitabile presenza di Borges in tutta la contemporaneità: ve lo riproponiamo oggi. L’articolo è di Andrea Meregalli, l’immagine di Federico Tamburini. Buona lettura!

di Andrea Meregalli

Un paio di settimane fa ho cominciato The Americans, su Netflix. È la storia di una coppia di spie russe che vive negli Stati Uniti, in incognito, durante gli anni della guerra fredda. In realtà, non ho visto che una mezza dozzina di episodi. In uno dei primi – forse il pilot – l’uomo, il marito, Miša aka Phillip, pensa di cedere alle pressioni del controspionaggio yankee e diventare americano anche nella sostanza, oltre che nella forma. Il suo credo comunista pare flebile e dalle parti di Washington non si sta malaccio. Funzionalmente al racconto, la donna, la moglie, Nadežda aka Elizabeth, contrappone un fervente socialismo.

Mentre guardavo cotanto manicheismo ho avuto come un déjà vu. Sapevo di avere già fruito di questa narrazione. Ho messo in pausa e domandato alla mia compagna dov’è che avessimo già fruito di questa narrazione. Dormiva.

Il giorno seguente – con un sorrisetto ebete e affettato – sono andato verso la Billy e ne ho cavato un libro che si intitola L’Aleph.

Droctulfo è stato un guerriero longobardo vissuto nel VI secolo. Durante l’assedio di Ravenna decide di difendere Bisanzio, si ammutina e combatte contro la sua stessa patria.

Borges lo racconta in «Storia del guerriero e della prigioniera» attraverso un Droctulfo sub specie aeternitatis, arimanno, che rimane folgorato dalla bellezza della città di Ravenna e abbandona i suoi.

La prigioniera, invece, è una donna inglese, originaria dello Yorkshire, sequestrata dagli indios durante la babele argentina della seconda metà del XIX secolo, che incontra la nonna di Borges – inglese anche lei, moglie di un militare, pronta a liberarla – e le dimostra il proprio adattamento e attaccamento allo stile di vita e alla causa indie. Sta benissimo tra quella gente, non ha nessuna intenzione di andarsene, figuriamoci di essere liberata. Verso la fine del racconto qualcuno sgozza una pecora e la biondina “dagli occhi di quell’azzurro stinto che gli inglesi chiamano grigio” smonta da cavallo, si getta al suolo e ne beve il sangue caldo.

La sera dopo mi trovo in un garage a giocare a poker. Siamo tutti un po’ brilli. Il mio amico N tira fuori l’argomento libri (e dire che ci stavamo così divertendo).

Anni fa, seguendo un mio consiglio, N ha comprato Finzioni e Rayuela ma non è stata cosa.

Minchia, che peso. Lo so, rispondo. Si parlano addosso, vero? In un certo senso, dico.

Scambiamo un paio di battute sulla lettura. Sugli e-reader. Sugli stili di scrittura. Tranne N e il sottoscritto nessuno degli astanti ha mai letto una riga di Borges. Probabilmente non l’hanno mai sentito nominare. Qualcuno chiede chi sia Borges, infatti. E siamo al cospetto di un parterre di sette ragazzi curiosi, informati, eccetera. Dico, uno scrittore argentino, senza tanta convinzione, e mi sorprendo a rimuginare sull’anonimato di Borges. Le tette di una giocatrice di pallacanestro, nel frattempo, diventano il nuovo oggetto della discussione ma io continuo a pensare a come sia possibile che nessuno conosca Borges e laddove si propagano immagini di una ragazza molto in salute e poco vestita io son lì che rifletto su Borges. E poi dico, avete visto Donnie Darko?

Donnie Darko è un film del 2001 con Jake Gyllenhaal, Drew Barrymore e Patrick Swayze che fa il pedofilo. È diventata una pellicola di culto un paio d’anni più tardi, quando è cominciata l’esegesi della trama e sono circolate le versioni più eterogenee del finale. Credo si possa abbozzare l’apparentamento di Donnie Darko con l’interpretazione a molti mondi della meccanica quantistica, teoria formulata nel 1957 da Hugh Everett III e che dice – il mio sunto è consapevolmente dozzinale – che ogni possibile scelta rispetto a un evento porta alla formazione di altrettanti universi paralleli. E per dirla con Wikipedia: «[…] gli universi costituenti sono strutturalmente identici, e possono esistere in stati diversi anche se possiedono le stesse leggi fisiche e gli stessi valori delle costanti fondamentali. Gli universi costituenti sono inoltre non-comunicanti, nel senso che non può esservi transito di informazioni tra di essi […]».

Donnie Darko tratta il tema degli universi paralleli e del multiverso, appunto, ipotesi che postula l’esistenza di universi coesistenti fuori del nostro spaziotempo.

«Il giardino dei sentieri che si biforcano» è un racconto di Borges scritto nel 1941. È ambientato durante la prima guerra mondiale e il protagonista è un uomo di nazionalità cinese, una spia, al soldo dell’impero tedesco. Nella narrazione compare uno pseudobiblion intitolato «Il giardino dei sentieri che si biforcano», un’opera letteraria che cerca di descrivere tutti i possibili risultati di un evento, ognuno dei quali conduce ad una ulteriore moltiplicazione di conseguenze, in una continua ramificazione dei possibili futuri. L’autore de «Il giardino dei sentieri che si biforcano» voleva costruire un labirinto e il libro, infine, è il labirinto.

«Questa trama di tempi che s’accostano, si biforcano, si tagliano o s’ignorano per secoli, comprende tutte le possibilità. Nella maggior parte di questi tempi noi non esistiamo; in alcuni esiste lei e io no; in altri io, e non lei; in altri, entrambi. In questo, che un caso favorevole mi concede, lei è venuto a casa mia; in un altro, traversando il giardino, lei mi ha trovato cadavere; in un altro io dico queste medesime parole, ma sono un errore, un fantasma».

[«Il giardino dei sentieri che si biforcano», Finzioni, Einaudi].

(Oppure gli One Direction e l’abbandono di Zayn Malik. Cosa ha detto Stephen Hawking? «In un universo parallelo è ancora con la band».)

E quindi?, chiede N.

Dico, in un certo senso fruiamo quel pesantone di Borges sottoforma di Donnie Darko o di Zayn Malik o di Hugh Everett III.

E a quel punto interviene un altro tizio, J, ma allora Doctor Who? L’idea del viaggio nel tempo per cui il tempo non è un vettore che va in avanti tipo Ritorno al Futuro ma una bolla che si espande, e dunque che tutto ciò che succede, passato, presente e futuro sta succedendo contemporaneamente, dipende solo dal punto di vista da cui lo guardi. Premonition is only remembering in the wrong direction, insomma? E dico, appunto! E aggiungo, Borges è dappertutto, è in tutto quello che ci piace, prendiamo Matrix.

Matrix non sto nemmeno qui a raccontarvelo. Passiamo direttamente a Tlön, Uqbar, Orbis Tertius, il primo racconto di Finzioni, 1940. Dentro c’è tanta, tanta roba. Tra le altre, c’è una negazione del mondo che prende le mosse dall’opera filosofica di un feticcio borgesiano, George Berkeley (il vescovo idealista scozzese, il tizio dell’università), che diceva Esse est percipi. L’antesignano di Matrix è ovunque. Nel finale del racconto Tlön sta sostituendo il mondo, sta diventando il mondo attraverso nuovi linguaggi, nuove matematiche, nuovi oggetti. Matrix è già il nuovo mondo e Keanu Reeves percepisce una realtà che non esiste, la realtà olografica del 1999.

Bah, dice N.

Cristopher Nolan, dico io.

«Nessuno lo vide sbarcare nella notte unanime, nessuno vide la canoa di bambù incagliarsi nel fango sacro; […]». È l’incipit di «Le rovine circolari», un racconto di Borges, e ora non so se avete presente l’opening scene di Inception.

Quando andai a vedere Inception al cinema, nel 2010, la gente applaudì i titoli di coda. Ed è un gran film. Ma è un film di Borges. Quel film è tratto da «Le rovine circolari». (Lo stesso Nolan in più di un’occasione ha riconosciuto il proprio debito nei confronti di Borges).

Va beh, non è che possiamo ricondurre tutto a Borges, dice N, che nel frattempo è stato eliminato dalla partita di poker, mentre io sono ancora nel vivo dell’azione e quella sera vincerò parecchi soldi (in un universo parallelo). Dico, figuriamoci se possiamo ricondurre tutto a Borges. E aggiungo, la scena del tesseratto in Interstellar, ce l’hai presente? Matthew McConaughey all’interno di un ipercubo quadridimensionale (la quarta dimensione è il tempo) dal quale gode di un belvedere sullo scibile, un punto attraverso il quale convergono tutti gli spazi, tutti i tempi e tutte le possibilità, un punto che comprende l’universo.

(Si ode una voce dire Hodor.)

«L’Aleph», il racconto di Borges, senza salire nello spazio – piuttosto scendendo in una cantina di calle Garay, Buenos Aires – narra il medesimo misticismo nel 1945.

(peraltro quel tesseratto immaginato da Nolan assomiglia architettonicamente alla «Biblioteca di Babele» descritta in Finzioni, dove alcuni viaggiatori sono alla ricerca del libro che contiene la verità ultima (e la confutazione della verità ultima) (e la confutazione della confutazione della verità ultima) (e l’esatta cronaca di questa amena serata). Figo, no?)

Insomma, dice N, è solo fantascienza.

Un paio annuiscono e rumoreggiano con le fiches in atteggiamento solenne e marziale. Qualcuno dice che va a casa. Sorrido.

Credo di sapere perfettamente quando è il caso di farla finita ma mi coglie come un borborigmo e lo dico a voce troppo alta che la fantascienza non esiste e che la fantascienza è un’assurdità e che la fantascienza è una grande cazzata.

Buenos Aires, 1984. Conversazione radiofonica tra Osvaldo Ferrari e Jorge Luis Borges.

OF: Alcuni sostengono che nel futuro non ci sarà spazio per la letteratura fantastica.
JLB: Perché?
OF: E che verrà rimpiazzata dalla fantascienza. Lo pensa anche lei?
JLB: Innanzitutto fantascienza è una traduzione sbagliata. Perché quando in inglese ci sono parole composte, la prima ha valore di aggettivo; quindi «science fiction» dovrebbe, secondo la grammatica, secondo la logica, essere tradotta come «finzione scientifica» e non come «fantascienza», che è un’assurdità. Ad esempio, se si dice «waterfall», non viene tradotto come «acqua caduta» ma come «caduta d’acqua, cascata». Non so come sia stato possibile incorrere in un simile errore; e tutto il mondo parla di fantascienza, una vera assurdità. È finzione scientifica, neanche una parola composta. Ma qual era la domanda? Mi sono perso nelle etimologie (ridono entrambi).

Questa mattina ho acceso Spotify ed è partito il video promo di trenta secondi, come ogni giorno. Era il trailer di un film che si intitola Criminal, con Kevin Costner. La trama, da Wikipedia: «I ricordi del defunto agente della Cia Bill Pope vengono trapiantati nel condannato a morte Jericho Stewart, al fine di completare la sua missione e sventare una minaccia internazionale».

Ah, ho pensato, sembra quel racconto di Borges, «La memoria di Shakespeare», in cui un uomo, uno scrittore, riceve in dono i ricordi personali di Shakespeare e finisce con lo smarrire la propria identità.

Che singolare coincidenza!

Ho mandato un whatsapp al gruppo «amici del poker», evidenziando il nesso.

Non ha risposto nessuno.

* * *

Che Borges non esista per buona parte dei miei conoscenti, nonostante la quasi totalità ne adori la discrezione che ha assunto in alcune fruizioni culturali moderne, restituisce la cifra, la misura della qualità narrativa borgesiana e restituisce, nondimeno, la barbarie del destino, come ricorda Alan Pauls nel recente Il fattore Borges, edizioni sur.

Borges, intellettuale per antonomasia, lettore microscopico, scrittore feticista, ridotto ad essere ascoltato – dice Pauls – in radio, sui giornali e in televisione. Borges, aggiungo, fenomeno pop in contumacia del XXI secolo, eminenza grigia che pochi leggono ma la cui eccedenza inconsapevole allieta molti, al cinema oppure in televisione.

In almeno tre libri di Borges – Altre inquisizioniIl libro degli esseri immaginari e L’Aleph – si racconta, riadattata, la credenza ebraica dei Lamed-Vav Tzadikim, 36 uomini giusti dalla cui condotta dipende il destino dell’umanità.

Scrive profeticamente Borges in «L’uomo sulla soglia»: «È fama che non v’è generazione che non conti quattro uomini retti che segretamente sorreggono l’universo e lo giustificano davanti al Signore. […] Ma dove trovarli, se vivono sperduti per il mondo anonimi e non si riconoscono quando si vedono e se neppure essi conoscono l’alto magistero che esercitano?»

Oggi, a trent’anni dalla morte, sono lontane le avanguardie novecentesche della giovinezza e la prosa elegante e chirurgica della maturità ma quanto è vicino l’uomo che disgraziatamente è stato Borges? Borges immaginava che sarebbe stato così influente per le forme d’intrattenimento culturali del nuovo millennio? In verità, non è importante e non gli sarebbe importato: la gente si sorbe e non si sorbe Borges come meglio crede.

L’elogio dell’ombra è per chi la vede oppure la vuole vedere.

È che io – l’ombra di Borges – la vedo dappertutto.

 

© Andrea Meregalli, 2016. Tutti i diritti riservati.

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