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Letteratura in un’era distratta

Adam Thirlwell BIGSUR, Editoria, Società

Quella che segue è una versione ridotta del discorso pronunciato da Adam Thirlwell il 30 aprile 2014 all’Horse Hospital di Londra durante la cerimonia di premiazione per il White Review Short Story Prize. Il brano è apparso originariamente su The White Review e viene riprodotto per concessione dell’autore.

di Adam Thirlwell
traduzione di Francesco Pacifico

Ci sono due categorie nel mondo letterario che vorrei celebrare in tutto e per tutto: lo scrittore solitario e la rivista. E prima di celebrare uno scrittore in particolare, voglio concedermi una brevissima pausa per considerare la seconda categoria: la rivista, categoria di cui The White Review è un esempio tanto elegante. Direi che il fatto che esista una rivista del genere prova che è possibile, forse, fare letteratura in quest’era distratta. Perché lo scrittore solitario ha bisogno della rivista, un grosso bisogno: della rivista e dei suoi editor solitari.

Perché, e parlo da romanziere malinconico, va ammesso che, davanti alla quantità di racconti già esistenti e miti e oggetti e prodotti di questo mondo, è un’idea folle voler aggiungere altro a questa massa enorme. Il desiderio che spinge a farlo è un piccolo enigma che ha a che fare con la vanità. E un possibile strumento per risolvere questo enigma è l’editor. Dopo tutto la pigrizia è una cosa naturale. L’opacità morale, l’autocompiacimento stilistico, la mancanza di senso dell’umorismo: ecco le caratteristiche tipiche dello scrittore solo con lo schermo del suo computer. Per evitare tali atteggiamenti è perciò efficace e deprimente, efficacemente deprimente, immaginare nella propria testa la presenza di un editor sarcastico e deluso, come totem di un’altra presenza assente: il lettore deluso.

Ma mentre è vero che se faccio un rapido elenco delle riviste dell’ultimo secolo che ho amato – a partire dal fantasma della White Review, La revue blanche, per passare a Criterion di T.S. Eliot, a Documents di Georges Bataille, a Botteghe Oscure di Marguerite Caetani, ai Cahiers du Cinéma, a Aspen di Phyllis Johnson, alla Paris Review – a volte sono associate a certi editor, oppure a un gruppo di persone, o a un manifesto, non so se alla fine gli editor, i gruppi o i manifesti siano il motivo per cui le riviste sono tanto importanti. Il vero meccanismo della rivista è la maniera in cui converte l’atto solitario di scrivere in qualcosa di sociale. Mette insieme degli scrittori, come in una specie di palazzo allegorico. Rende visibili opere e connessioni tra opere che altrimenti sarebbero rimaste invisibili. Trasforma la solitudine in un’aria tropicale, in un’atmosfera.

Ora, certo, una delle utilità di questo tipo di esperimento sociale è quella commerciale. Una rivista è una specie di venditore ambulante, che spinge al pubblico i suoi campioni. (Venditore ambulante è un complimento. Io vengo da una famiglia di venditori ambulanti della Lituania. È un’occupazione onorevole.) E, soprattutto in quest’era distratta, quel tipo di attenzione commerciale al dettaglio nell’interesse della letteratura è assolutamente positiva.

Mi chiedo però se le caratteristiche specifiche di quest’era distratta non rendano ancora più importanti le riviste. Una cosa che può far sentire un romanziere ancora più solo è passare accanto a una coda per degli hamburger hipster, o un negozio temporaneo che vende ciambelle. Il romanziere malinconico potrebbe trovarsi a pensare che l’epoca in cui si farà la coda per comprare metafiction in un negozio temporaneo arriverà solo in un lontano futuro fantascientifico. Non dimentichiamoci uno dei migliori aforismi di uno dei migliori editor di sempre, Georges Bataille, che osservò una volta: «Sfido qualunque collezionista ad amare un dipinto quanto un feticista ama una scarpa». Eppure, mi chiedo se la rivista sia il metodo con cui la letteratura può rendere i lettori più feticisti di quanto non siano mai stati: più disposti, in altre parole, a fare la coda.

Posso spiegare, forse, questa idea con un esempio da un’altra rivista, anzi precisamente Another Magazine, diretta da Jefferson Hack. In uno degli ultimi numeri era trascritta una conversazione tra il curatore Hans-Ulrich Obrist e l’artista Tino Sehgal. Viviamo, osservava Sehgal, in un’era in cui la capacità d’attenzione è molto limitata. E in una tale «economia dell’attenzione», «dove il tempo è un fattore più grande dello spazio», la forma d’arte ideale per lui dev’essere «qualcosa in un medium che affronti la questione della socialità e del tempo». Lo diceva per smontare maliziosamente l’arte visuale. Mi chiedo però se questo tipo di malizia non possa tornare utile per un nuovo genere di scrittura.

Mi sembra che questa attenzione al tempo, che per me significa attenzione per il lettore, sia ciò su cui una letteratura futura dovrà mettere l’accento quando le convenzioni saranno ormai collassate o stravolte. E se ho ragione, la rivista sarà una delle forme per investigare questa possibilità. Perché una rivista è un evento. Il suo principio base è il collage – e gli elementi di quel collage possono essere molto più strani e folli e selvaggi del libro medio, visto che una rivista può trattare forme assortite. E può assorbire lunghezze diverse. Può usare ciò che è già molto celebre per riflettere su ciò che lo è meno, e viceversa. Fondamentalmente, una rivista è un palazzo dei divertimenti in cui il lettore può stabilirsi dove vuole, e prendere ciò che vuole. Una rivista è uno spettacolo –un luogo dove tornare a vagare quando si vuole. È un posto, voglio dire, progettato dai suoi editor, dove gli oggetti unici e solitari che sono le narrazioni e le opere d’arte, sono disposti con cura, e quella disposizione li rende ancora più disponibili e desiderabili per il feticista letterario che passa di là – sono parte di un’atmosfera sempre più tropicale e febbrile: o per lo meno, questo è uno dei modi in cui mi piace vedere The White Review, e questo premio letterario.

© Adam Thirlwell, 2014. Tutti i diritti riservati. 

Adam Thirlwell è autore di Politics, La fuga, Mademoiselle O e Tenero & violento, tutti pubblicati da Guanda.

 

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