Guillermo Cabrera Infante: due brevi testi

redazione Autori, SUR

Pubblichiamo oggi due brevi testi dello scrittore cubano Guillermo Cabrera Infante (1929-2005) tratti dal volume «Exorcismos de esti(l)o», ringraziando il traduttore che ce li ha forniti.

Che fare?
di Guillermo Cabrera Infante
Traduzione di Gordiano Lupi

Con Li Ssu, l’influente primo ministro che spinse l’imperatore Ch’in Shi Huan Ti a bruciare “tutti i libri precedenti” alla sua dinastia, trecento anni prima di Cristo; con i sobri ateniesi che assassinarono quella fonte di filosofia e di libri che fu Socrate; con la distruzione della biblioteca di Alessandria e della sua gemella Serapis, che non fu provocata accidentalmente da Giulio Cesare, né deliberatamente da Amrou, capitano del califfo Omar, come hanno fatto credere fino a poco tempo fa i suoi veri distruttori, certi assidui ri-scrittori della storia: i cristiani; con i monaci medioevali che cancellarono le pergamene con le commedie di Menandro, quasi tutte le poesie di Saffo e tutto Pindaro, per copiare sermoni e simonie; con il Sant’Uffizio dell’Inquisizione, con l’Indice dei Libri Proibiti, con Calvino; con la serva di Carlyle che, trasformando lei sola la tragedia collettiva in commedia domestica, utilizzò il manoscritto de La Rivoluzione Francese per accendere un fuoco riluttante; con la bigotta Miss Clemens che censurò gli scritti di Mark Twain prima che fossero stampati; con i terrorizzati nativi che appiccarono il fuoco alla capanna decorata dal diavolo in cui morì Gauguin; con la prima moglie di Hemingway, che perse, tra Parigi e Zurigo, una valigia di manoscritti originali; con gli agenti della NKVD che distrussero le ultime opere di Babel e quasi tutti i poemi postumi di Mandelshtam; con gli ufficiali delle SS che bruciarono nel ghetto di Drohobycz gli ultimi manoscritti di Bruno Schulz,  prima di sparargli un colpo alla nuca; con le due guerre mondiali che distrussero cattedrali, biblioteche, musei e la città di Dresda in una sola notte; con il commissario cubano che fece abbattere l’enorme murale di Amalia Peláez, responsabile teorico di aver ucciso con una delle sue ali crollate una donna che prendeva il sole nella piscina dell’Hotel Hilton, già denominato Habana Libre? Che fare con un passato immodificabile? Che fare con i molti Montags irredimibili che ci sta preparando un futuro pericoloso e incerto, o forse prevedibile? Che fare con un futuro, prossimo o posticipato, che la farà finita con le idee e con gli uomini del passato ma pure con i libri che tentano di far morire le idee? Che fare con il tempo che distruggerà tutto? Che fare con un domani remoto indiscernibile da un passato remoto? Che fare con l’eternità, contro il niente? Niente?

La cicala e la formica
di Guillermo Cabrera Infante
Traduzione di Gordiano Lupi

La formica lavorava come un elefante aspettando l’inverno, e siccome gli elefanti non hanno alcun motivo per attendere l’inverno il suo lavoro (quello della formica) era perfettamente inutile.
La cicala, chiamata Josefina, cantava a ogni ora del giorno, non lavorava mai e la sua unica attività consisteva nel perfezionare le corde vocali. Cantava sempre, persino la domenica, quando si esibiva in un coro, e siccome era molto pulita tutti i giorni si faceva la doccia. Di notte non cantava però russava in maniera melodiosa, secondo la sua opinione, mentre la sua vicina, la formica, riteneva che facesse soltanto un rumore odioso.
Un giorno passò davanti a casa della cicala un agente dell’imperialismo che dopo averla sentita cantare decise di trasformarsi in agente artistico. Offrì un lungo contratto alla cicala, che (peggio per lei) accettò incantata. Tutto il resto fu opera della cicala, mentre l’agente riscuoteva il dieci per cento.
Quando giunse l’inverno per la cicala fu il tempo della stagione artistica invernale, mentre per la formica arrivarono le piogge. La poveretta vide la sua dispensa travolta dalle acque. Disperata, andò a chiedere aiuto alla cicala, che non era più sua vicina di casa ma viveva nella miglior zona residenziale della città. La cicala, vanitosa e spinta da compassione, nominò la sua amica formica addetto stampa esclusivo.

Oggi la formica lavora ancora come un elefante, ma non deve aspettare l’inverno e visto che non attende non si dispera. La cicala continua a cantare, ha un grande successo artistico ma è sfortunata in amore, si è sposata tre volte e ha divorziato sei. In quanto all’agente, continua a riscuotere il suo dieci per cento, ancora per non fare niente.

 

Morale della favola: Il crimine non paga, ma l’ozio dà diritto a un dieci per cento. Non sempre, a volte pure a un quindici per cento.


 

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