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All the Single Ladies: Rebecca Traister sul femminismo di ieri e di oggi

Pubblichiamo un’intervista a Rebecca Traister, autrice dei saggi Big Girls Don’t Cry (2010), sul contributo delle donne alle elezioni presidenziali del 2008, e All the Single Ladies (2016), sulla vita delle donne americane al di fuori dell’istituzione del matrimonio. L’intervista è apparsa originariamente su Signature [1]; ringraziamo l’autore.

di Scott Porch
traduzione di Giuliano Velli

Fino al 1980, per quasi un secolo l’età media in cui le donne americane si sposavano la prima volta era rimasta pressoché immutata. Le donne si sposavano intorno ai ventidue anni. Oggi, l’età media è ventisette e continua ad aumentare.

Cosa è cambiato?

«Negli anni Settanta il movimento femminista portò all’ingresso di un numero crescente di donne nella forza lavoro e le avvicinò alla parità salariale», dice Rebecca Traister, editorialista del New York Magazine e collaboratrice di Elle, che scrive assiduamente di femminismo e politica. «La rivoluzione sessuale e la legalizzazione del controllo delle nascite diedero alle donne una maggiore autonomia nel gestire la propria vita riproduttiva. Molte condizioni mutarono, consentendo alle donne di essere più indipendenti anche senza sposarsi».

In All the Single Ladies [2], successo inatteso della primavera che ha debuttato tra i best seller del New York Times, Traister prende in esame le numerose dinamiche che hanno cambiato la condizione delle donne americane. A quanto pare, quando sono economicamente indipendenti e non devono confrontarsi con l’aspettativa di sposarsi subito dopo il college, non lo fanno.

Signature ha raggiunto Traister per discutere del suo nuovo libro, del perché le donne americane aspettano di più prima di sposarsi o non si sposano affatto, e dell’effetto che tutte queste donne single potrebbero avere sulle elezioni presidenziali d’autunno.

Signature: Il titolo e l’argomento del libro mi fanno sospettare che il tuo editore abbia ricevuto molte richieste di copie dai recensori. Prima della pubblicazione avevi capito che il libro catturava lo spirito del periodo?

Rebecca Traister: No. Cioè, il mio libro precedente (Big Girls Don’t Cry [3]) parlava di femminismo e politica, e avevo la sensazione che questo trattasse un argomento di interesse più generale, ma la mia esperienza nell’editoria, e quella dei miei amici che hanno pubblicato libri, mi ha insegnato che è impossibile prevedere cosa attirerà l’interesse della gente. Non immaginavo che avrebbe ottenuto questo tipo di attenzione.

Sig: Come fa un libro di questo genere a diffondersi nel 2016? C’entra il sostegno di blogger e social media?

RT: Penso di sì, ma mi è difficile dare una valutazione. Come giornalista, quando scrivo ricevo molte reazioni dai social media femministi e da quelli di sinistra, ma è difficile paragonare questo a ciò che potrebbero dire i social media più generalisti.

Sig: Beyoncé ti ha contattato per il libro?

RT: No. (Ride.) Sono sicura che Beyoncé non conosce questo libro.

Sig: Pensi che una parte dell’interesse arrivi da donne – in particolare quelle che scrivono di cultura e problematiche sociali – per le quali il libro è una prova di come sono cambiate le cose?

RT: È interessante. Non saprei se il libro sia la prova che le cose sono cambiate. Ho parlato con tante donne che sentono che il libro rispecchia le loro esperienze, che si riconoscono in quello che scrivo perché non si è data abbastanza attenzione alla vita indipendente che conducono le donne adulte. Mi ha colpito quanti uomini si sono fatti sentire. Mi aspettavo che i lettori sarebbero stati soprattutto donne.

Sig: Pensi che la reazione degli uomini sia diversa da quella ricevuta dal libro di Hanna Rosin, che aveva un titolo deliberatamente più incendiario?

RT: The End of Men aveva un titolo incendiario, ma poi il libro era molto comprensivo con gli uomini. Si concentrava parecchio su tante delle sfide che gli uomini si trovano ad affrontare a causa dell’inoccupazione e dei mutamenti dell’economia determinati dalla tecnologia.

Sig: Usi la parola «single» come sinonimo di «indipendente», o intendi «nubile»?

RT: Uso «single» molto genericamente. Di fatto nel libro critico il termine perché non riflette appieno l’esperienza delle donne che vivono in modo indipendente. Il libro non parla di una scelta obbligata tra vita da sposata e vita da nubile. È su quello che succede quando abolisci questo vecchio modello in cui le donne erano dipendenti dal matrimonio economicamente, sessualmente e familiarmente, e il matrimonio era la prassi validante e il principio organizzatore delle loro vite.

Oggi la vita di una donna può prendere infinite strade, incluso il matrimonio tradizionale etero precoce. Ma anche un matrimonio in età avanzata, quello omosessuale, una coabitazione a lungo termine senza matrimonio, lunghi periodi di astinenza o promiscuità, figli dentro e fuori il matrimonio. È difficile riassumere tutto ciò nel titolo di un libro, quindi uso «single» per intendere genericamente una gamma più ampia di esperienze.

Sig: Per scrivere il libro hai esaminato tonnellate di dati: tasso di matrimoni, tasso di divorzi, dati economici ecc. Il rapido aumento dell’età in cui ci si sposa era quello più significativo?

RT: Sì. L’aumento dell’età in cui ci si sposa era improvvisamente nel campo di applicazione della storia americana. Fino al 1980, l’età media in cui ci si sposava la prima volta fluttuava tra i 20 e i 22 anni. Nel 1990 è arrivata a circa 23. Adesso è oltre i 27. Nell’arco di tre o quattro decenni, questo non solo è un cambiamento, ma è un cambiamento enorme. Le persone si sposano più tardi, e si sposano meno.

Il primo grande risultato del femminismo degli anni Sessanta e Settanta è stato il boom di divorzi negli anni Settanta e Ottanta. Questo, in parte, ha avuto un impatto su come i figli del boom dei divorzi guardavano al matrimonio. Le condizioni sono cambiate al punto che il matrimonio non era più la necessità economica e sociale di un tempo, e tanti ragazzi cresciuti in famiglie di divorziati negli anni Ottanta e Novanta erano meno ansiosi di sposarsi, in parte perché vivevano in un mondo in cui potevano guadagnarsi da vivere, avere una vita sessuale emancipata, e perché avevano vissuto sulla propria pelle le conseguenze di un matrimonio sbagliato.

Sig: Diciotto mesi fa avresti immaginato che tante giovani donne single avrebbero sostenuto Bernie Sanders invece di Hillary Clinton?

RT: Si sono verificate entrambe le cose. Nei primi stati dove si è votato, un alto numero di donne non sposate ha sostenuto Bernie Sanders. Ma nel South Carolina, le donne non sposate hanno sostenuto in ampia misura Hillary Clinton. Diciotto mesi fa avrei detto che speravo di vedere più donne partecipare alle primarie, incluse Elizabeth Warren e Kirsten Gillibrand. Se mi avessi chiesto se avrei immaginato che il candidato più di sinistra in un’elezione primaria a due avrebbe tolto tanti voti a Hillary, allora sì l’avrei previsto.

Sig: È quello che è successo nel 2008?

RT: Nel 2008, la Clinton e Obama come politici si somigliavano. Obama era decisamente pubblicizzato come il candidato più progressista, e questo spiega in parte perché i più progressisti, donne incluse, lo preferirono.

Sig: Quanto pensi che sarebbe rischioso per Donald Trump introdurre tante invettive sessiste nelle elezioni presidenziali?

RT: Non penso che si preoccupi dei rischi. Ha già attaccato Hillary per le infedeltà del marito. Ha già ritwittato qualcuno che aveva detto una cosa tipo: «Non è riuscita a soddisfare il marito, come riuscirà a soddisfare il paese?» Ha chiamato Megyn Kelly un’oca. Non lo preoccupa che la gente pensi che è un sessista. Fa parte del suo fascino. (Ride.) Traffica spudoratamente in misoginia, xenofobia e razzismo.

Sig: Vedi qualche problematica particolare che guida il femminismo americano in questo momento?

RT: Ce ne sono tantissime. Alcune femministe sono stimolate dalle problematiche dell’identità sessuale e di genere. Tante sono estremamente coinvolte nella difesa e nell’ampliamento dei diritti e dell’accesso alla riproduzione. Molte sono impegnate sulle problematiche della violenza sessuale. E molte altre si interessano del movimento Black Lives Matter. Tante sono coinvolte nelle politiche sociali come il congedo di maternità e la malattia retribuita sul posto di lavoro.

I movimenti sociali di oggi sono diversi da quelli del passato. Non c’è necessariamente un leader accentratore o marce per le strade. I social media e la tecnologia hanno democraticizzato le dinamiche dei movimenti e hanno contribuito alla loro diffusione, il che è positivo. Non c’è una cosa sola che guida il femminismo verso il futuro. Ci sono tanti interessi interconnessi.

© Scott Porch, 2016. Tutti i diritti riservati.

Scott Porch scrive di tv e nuovi media per Decider e collabora a numerose altre testate come Daily Beast, New York Times, Playboy, Signature, Salon e Wired. Il suo sito internet è scottporch.com [4]. Il suo account Twitter è @ScottPorch [5].