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All’intrepido lettore

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«Quando si svegliò, il dinosauro era ancora lì», del guatemalteco Augusto Monterroso, è forse il microracconto più universalmente celebre e studiato. Ma i microracconti o microfinzioni sono un genere molto amato in America Latina e viene a ricordarcelo una recente antologia – Bagliori estremi. Microfinzioni argentine contemporanee – curata da Anna Boccuti e pubblicata dalla casa editrice Arcoiris nella collana “Gli eccentrici” diretta da Loris Tassi. Pubblichiamo oggi l’Introduzione al volume, ringraziando l’autrice e l’editore, e lunedì proporremo una scelta di testi.

di Anna Boccuti

1. Certi generi letterari sono come le piante: endemici di certe regioni, affondano le loro radici in alcune culture e lì prosperano rigogliosi, altrove invece non riescono ad attecchire. Sembra essere questo il caso della microfinzione, genere tanto diffuso in area ispanoamericana e ancora così poco familiare al curioso lettore italiano. Certo, non mancano nella produzione letteraria italiana brillanti esempi di prose minime: basti pensare ai cento racconti, lunghi tutti una pagina, raccolti in Centuria. Cento piccoli romanzi fiume (1979) di Giorgio Manganelli, oppure agli Autentici racconti apocrifi meno lunghi del mondo (1997) di Gianni Toti, uno dei più attivi divulgatori della microfinzione in Italia, in anni in cui i testi brevissimi non avevano ancora questo nome e non erano classificati all’interno di un genere. A un’epoca più recente appartengono Navi in bottiglia (2001) di Gabriele Romagnoli, Poco più di cento rapidi racconti (2002) e Altri rapidi racconti (2009) di Eliana Elia. Nel web troviamo tracce più consistenti di “microletteratura” (così ribattezzata in ambito italiano), ma il fenomeno è molto recente[1] [2].

Salvo le sporadiche e illustri eccezioni appena citate, il nostro intraprendente lettore non ha ancora avuto occasione di prendere confidenza con questi testi ibridi che, nell’arco di poche pagine o poche righe, mescolano prosa poetica, racconto, poesia, aforismi, sentenze, a volte motti di spirito: “piccole feroci creature”, le ha chiamate l’argentina Ana María Shua, restie a ogni ovvia catalogazione, testi impertinenti che sfuggono all’incasellamento e riprendono così la propensione alle forme inclassificabili (almeno secondo la ripartizione canonica dei generi) di cui abbonda la tradizione letteraria ispanoamericana.

Non è superfluo, a questo punto, ricordare che la letteratura nazionale dell’Argentina, a cui appartengono i ventuno scrittori inclusi in questa antologia, annovera sin dai suoi esordi come paese indipendente numerose opere in cui si incrociano generi ed estetiche diverse. Ne è un celebre esempio Facundo. Civiltà e barbarie (1845), di Domingo Faustino Sarmiento (1811-1888), al tempo stesso biografia del caudillo di provincia Facundo Quiroga, pamphlet contro il dittatore Rosas allora al potere, saggio sulla realtà argentina dell’epoca e progetto della società ventura, interamente percorso da un’innegabile vocazione romanzesca. Senza andare troppo indietro nel tempo, nella prima metà del XX secolo le Finzioni (1949) di Jorge Luis Borges (1899-1986) costituiscono un esempio eclatante di questa resistenza a una apparentemente rigida geometria dei generi: il volume riunisce racconti di sofisticata invenzione letteraria che assomigliano a saggi, in cui realtà e finzione si proiettano e confondono l’una nell’altra. Le finzioni di Borges, inoltre, si inseriscono in quella tradizione novecentesca della brevità che viene inaugurata già alla fine del secolo XIX con le cesellature dei poemi in prosa del Modernismo e poi rivisitata qualche decennio dopo con gli sperimentalismi delle avanguardie storiche. I racconti brevissimi presenti nell’antologia Bagliori estremi sono dunque eredi di quella volontà di rinnovamento delle forme (che è pure rinnovamento della percezione della realtà e delle sue modalità di rappresentazione) che fonda la letteratura del secolo XX e persiste sino ai nostri giorni.

Borges, però, è soltanto uno degli assidui frequentatori del genere breve in area rioplatense. Assieme a lui, anche Enrique Anderson Imbert (1910-2000), Julio Cortázar (1914-1984), Marco Denevi (1922-1998) – per limitarci ai classici –, dalla seconda metà del Novecento in poi iniziano quel gioco con il testo e i suoi limiti che, accentuandosi negli anni successivi, porterà all’estremo la tendenza alla concentrazione già costitutiva del racconto. I decenni a cavallo tra il secolo XX e XXI vedono infatti una ricca fioritura di testi brevi che sfidano le norme dei generi letterari codificati, accompagnata da una crescente attenzione verso questi “microracconti”, “microfinzioni” o “miniracconti”, testi “iperbrevi”, “racconti pigmei”, racconti “bonsai”, “racconti da palpebra”, “sudden fictions”, che si vanno poco a poco affermando come sotto-genere indipendente. Si tratta di un fermento sotterraneo ma costante, che si è tradotto negli ultimi tempi nella pubblicazione di numerose antologie (come quelle curate da Sandra Bianchi, Raúl Brasca e Luis Chitarroni, Laura Pollastri), nella nascita di case editrici specializzate e nel proliferare di riflessioni teoriche e congressi. La microfinzione costituisce dunque uno dei casi in cui il rapporto di imitazione o influenza culturale esercitato dall’Europa sull’America Latina sin dalle origini della sua letteratura, viene radicalmente negato e in America si assiste al prosperare di forme letterarie originali, autoctone e autonome che si proiettano su altre aree culturali al di là del subcontinente latinoamericano.

All’origine di questa antologia vi è l’intenzione di offrire al lettore italiano un assaggio degli ultimi esiti della microfinzione argentina. A tale esigenza rispondono pure i criteri di selezione – arbitraria come ogni selezione – degli autori: al fianco di nomi che vantano una traiettoria letteraria più lunga e articolata e il cui prestigio è ormai consolidato in ambito internazionale, tanto da essere tradotti e pubblicati anche in Italia, figurano autori più giovani, sia anagraficamente che professionalmente, spesso sconosciuti al lettore italiano. Si è inoltre prestata attenzione anche alla provenienza degli scrittori antologizzati, di modo che la dicitura “microfinzioni argentine” significasse davvero “delle diverse provincie che compongono la Repubblica Argentina” e non solo “della città di Buenos Aires”, come in genere succede. Per quanto riguarda l’organizzazione dei testi, si è scelto di non ordinarli secondo lo sviluppo cronologico, né ci si è attenuti a un solo ambito tematico. Ci è sembrato più utile proporre un percorso di lettura suddiviso in sezioni omogenee dal punto di vista tematico, per restituire al lettore un’idea complessiva delle diverse possibilità esplorate dal genere. Questa mescolanza di voci, origini, storie, rispecchia la vivacità e la varietà della microfinzione argentina contemporanea.

2. A dispetto dell’eterogeneità che abbiamo sottolineato finora, è possibile rinvenire caratteristiche comuni a tutti i racconti brevissimi? Si tratta di un genere chiaramente identificabile come tale? Di cosa parliamo, insomma, quando parliamo di microfinzione?

Il già citato Julio Cortázar, nel suo saggio “Alcuni aspetti del racconto”, riprendendo le formulazioni teoriche di due maestri del genere, lo statunitense Edgar Allan Poe e l’uruguayano Horacio Quiroga, così commentava le proprietà del racconto responsabili di quel “sequestro momentaneo del lettore” che è effetto tipico della narrativa breve:

E l’unico modo in cui si possa ottenere quel sequestro momentaneo del lettore è mediante uno stile basato sull’intensità e sulla tensione, uno stile in cui gli elementi formali ed espressivi si adattino, senza la benché minima concessione, all’indole del tema, gli diano la sua forma visiva e uditiva più penetrante e originale, lo rendano unico, originale, indimenticabile […]. Ciò che chiamo intensità in un racconto consiste nell’eliminazione di tutte le idee o le situazioni intermedie, di tutti i riempitivi o le fasi di transizione che il romanzo permette o addirittura esige[2] [3].

Tensione e intensità sono pertanto il risultato di quella condensazione narrativa estrema che esibiscono le microfinzioni raccolte in questa antologia, contenute nello spazio di una pagina o addirittura giocate nell’incisività fulminea di una riga, come nel microtesto di Fabián Vique: «Dio non gioca a dadi. Gioca a nascondino». Viene da chiedersi se – e come – un testo così breve riesca a mantenere il proprio carattere narrativo, ovvero la capacità di raccontare (in questo caso, evocare o alludere) una storia, e in che modo la brevità determini i meccanismi della narrazione senza intaccarli.

Difatti, la speciale condensazione delle microfinzioni non è un tratto causato dalla brevità intesa come ridotta dimensione dei testi, quanto piuttosto il felice risultato delle strategie utilizzate, che imprimono una sorprendente accelerazione al racconto attraverso inaspettate scorciatoie. Anche per ragioni di concisione, allora, le microfinzioni dialogano frequentemente con altri scritti e discorsi canonici e ricorrono alla citazione e alla parodia, cioè all’intertestualità, per intessere il proprio discorso e costruire il suo significato. In questo volume, i testi riuniti nella sezione “Alla ricerca delle sorgenti” si intersecano, a più livelli, con una molteplicità di altri racconti e discorsi sulla genesi del mondo; allo stesso modo, le microfinzioni di “Storia, storie” offrono varianti ironiche di diversi momenti della storia ufficiale. Ma è nella sezione “Versioni” dove si fa più esplicita la tendenza intertestuale del genere microfinzione. Qui, il lettore di buona memoria non tarderà a individuare in controluce gli antecedenti letterari, che si caricano di sensi inediti attraverso la riscrittura. L’accostamento ad altre opere e il loro riconoscimento fungono dunque da scintilla che accende il significato, non espresso apertamente ma affidato alla cooperazione di chi legge. La complicità tra l’autore e l’intrepido lettore, fondata sulla condivisione di un medesimo repertorio letterario, si rivela perciò un elemento indispensabile alla comprensione del testo e di conseguenza al suo godimento, come nel caso della microfinzione di Mario Goloboff Toujours Recommencée. Il ricorso nel titolo di un verso di Le cimetière marin, di Paul Valéry, famoso poema dedicato al mare, è l’indizio che permette di scovare le allusioni a personaggi e testi variamente legate al tema “marino” – da Giona a Ulisse, da Cervantes a Robinson Crusoe –, con la menzione finale della raccolta poetica Come marinaio in terra dello spagnolo Rafael Alberti.

Altrove, i riferimenti nascosti richiedono una certa competenza dell’area culturale da cui questi testi provengono, come in Storia ciclica, di Norah Scarpa Filsinger. L’evocazione qui è duplice, dal momento che si allude sia a fatti della storia che a opere letterarie. Per quanto riguarda i fatti storici, l’episodio narrato rimanda alla prima fallimentare fondazione di Buenos Aires, nel 1516, a opera di Juan Díaz de Solís, il quale, appena sbarcato sulle rive del Río de la Plata, venne ucciso dai Guaraní, popolazione aborigena locale. Il testo racchiude più d’una allusione alla letteratura argentina: “il fiume color di leone” della microfinzione è lo stesso del poeta argentino d’inizio Novecento, Leopoldo Lugones; mentre il riferimento a Juan Díaz del finale è il rovesciamento ironico di un verso della poesia di Borges Fondazione mitica di Buenos Aires (1929), che a sua volta racconta questo stesso tragico fatto. Nel componimento di Borges, il Río de la Plata è il luogo «dove digiunò Juan Díaz e gli indios mangiarono»[3] [4]; nella microfinzione di Scarpa Filsinger «dove mangiò Juan Díaz e digiunarono gli indios».

L’accento ironico del finale non è esclusivo della microfinzione che abbiamo appena ricordato ma, al contrario, è un’intonazione ricorrente della voce narrante attraverso la quale si esprime l’intenzione ludica e al tempo stesso critica che anima gran parte del genere. L’ironia, per l’appunto, ora lieve, ora corrosiva, non afferma verità ma attenta a quelle esistenti, facendo vacillare grazie al dubbio nozioni, credenze, convenzioni acquisite. L’immaginazione paradossale e iperbolica che sovente l’accompagna non fa che amplificarne gli effetti, come vediamo in “One way”, di David Lagmanovich, in cui il conformismo della società statunitense è messo alla berlina tramite l’invenzione di una città dove qualsiasi forma di circolazione – stradale e non – avviene in una sola direzione.

Queste ipotesi, al limite del paradosso e dell’immaginazione surreale, quando non addirittura cariche di suggestioni metafisiche, si esprimono attraverso una vera e propria detonazione, diventando ancora più efficaci grazie a un altro degli elementi della strategia narrativa del racconto breve: il finale a effetto. Si potrà obiettare che quest’ultima non è una prerogativa del racconto brevissimo: in effetti, già Quiroga, uno degli autori letti e presi a modello da Cortázar, nel suo Decálogo del perfecto cuentista (1927) asseriva che l’intera struttura del racconto, sin dalle prime righe, deve tendere verso il finale e sbalordire il lettore, lasciarlo senza parole. Nella microfinzione, però, lo sconcerto è ottenuto sia a livello formale – proprio in virtù di questo protendersi della narrazione, sin dall’esordio, verso la sua conclusione – che a livello tematico, soprattutto in quei microracconti che rappresentano la dissoluzione della realtà e del soggetto. Così, nella sezione “Oltre la veglia”, vengono raggruppati testi che insinuano l’intercambiabilità o l’inesistenza di frontiere tra la veglia e il sogno, mentre nella sezione “Rifrazioni” sono l’identità del soggetto e l’irripetibilità delle sue azioni a essere messe in discussione.

Anche l’unicità del testo e della letteratura diviene oggetto di raffinata riflessione, come vediamo nelle microfinzioni che abbiamo scelto quale “Soglia”, ovvero entrata e uscita del libro: in tutti i casi, si tratta di sconfinamenti che ampliano la nozione della realtà che abitiamo e mirano a scardinare le verità date, suscitando nuovi interrogativi. Non semplicemente testi brevi, dunque, e quindi statici nello spazio bianco della pagina, ma testi vivi, dinamici come lo è l’atto della lettura, rapidi come il precipitare della finzione verso il finale che costruisce il significato e lo rivela al lettore il più delle volte come uno squarcio nel cielo, un lampo istantaneo oppure un bagliore estremo che continua a irradiarsi oltre gli orizzonti del testo.

 


[1] [5] Al 2009 risale il concorso “Microletteratura”, lanciato dalla casa editrice Feltrinelli, che avrebbe premiato i più bei racconti non superiori ai centoventotto caratteri, lunghezza vicina a quella prevista per le comunicazioni sul social network Twitter, dall’estensione massima di 140 caratteri, tanto che si è parlato anche di Twitter Letteratura. Il quotidiano Il Sole 24 ore on-line (14 novembre 2009) invita i propri lettori a pubblicare “romanzi in 140 caratteri”. La produzione di testi brevi appare, nel panorama italiano, indissolubilmente legata alle nuove tecnologie ma non sembra se ne ipotizzi un’esistenza al di fuori del supporto elettronico. Inoltre, non ci sono allusioni all’esistenza di una produzione letteraria analoga nei decenni precedenti: la prosa brevissima sembrerebbe quasi un’invenzione degli ultimi anni.

[2] [6] Julio Cortázar, “Alcuni aspetti del racconto”, in ID, Racconti, a cura di Ernesto Franco, Einaudi-Gallimard, Torino 1994, p. 1321.

[3] [7] Jorge Luis Borges, “Fondazione mitica di Buenos Aires”, in ID, Tutte le opere, a cura di Domenico Porzio, I Meridiani Mondadori, Milano 1984, 2 voll., vol. 1, p. 141.