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Godere della bellezza degli errori nella scrittura

Cristian Vázquez Editoria, Scrittura, Società, SUR Lascia un commento

In molti testi si aprono delle finestre involontarie su una bellezza che sarebbe stato impossibile cogliere se qualcuno non avesse scambiato una lettera o una parola per un’altra o se non avesse avuto un piccolo lapsus di incoerenza.
L’articolo, uscito originariamente su
Letras Libres, viene qui riprodotto per gentile concessione dell’autore. Buona lettura!

 di Cristian Vázquez
traduzione di Isabella Greco

 

1.

L’ultimo capitolo del libro Ser Escritor, del 1997, nel quale Abelardo Castillo rivolge la sua esperienza e i suoi consigli agli apprendisti del campo, contiene quasi cinquanta massime, definite dall’autore – forse per modestia o forse solo per un gioco di parole – «Minime». Una suggerisce: «Non preoccuparti troppo per gli errori di stampa. Nell’Ulisse di Joyce ce ne sono circa trecento e i professori continuano a trovarvi significati nascosti».

Oltre ai significati che, a torto o a ragione, possono scoprirvi «i professori», spesso dagli errori di stampa si può ricavare un altro elemento, forse più prezioso: la bellezza. Una bellezza inattesa, che emerge in un modo quasi magico, una specie di serendipità che certe volte vale la pena celebrare. Una delle sue forme più curiose è quella dei cosiddetti lapsus calami, errori o sbagli involontari e inconsapevoli in cui si incorre quando si scrive e che fanno perdere coerenza al testo ma che, a volte, gli conferiscono volo poetico o creatività.

In una delle scene finali di 2666, il monumentale romanzo di Roberto Bolaño, un gruppo di personaggi legati al mondo editoriale parla di lapsus calami (in latino, «errore di penna») menzionandone circa una ventina, come ad esempio: «Il cadavere aspettava, silenzioso, l’autopsia» (tratto dal romanzo Il favorito della sorte, di Octave Feuillet), «Comincio a vederci male, disse la povera cieca» (Béatrix, di Honoré de Balzac), «Dopo avergli tagliato la testa, lo seppellirono vivo» (La morte di Mongomer, di Henri Zvedan) o «Aveva le mani fredde come quelle di un serpente» (di Ponson du Terrail).

Ancora più divertenti delle citazioni stesse sono i commenti dei personaggi. Cercano di capire, ad esempio, com’era possibile che «Enrique passeggiava in giardino con le mani incrociate dietro la schiena, leggendo il romanzo del suo amico» (come racconta Il giorno fatale, di J.H. Rosny). «Forse», propone qualcuno, «questo Enrique aveva inventato uno strumento che gli permetteva di leggere senza sostenere il libro con le mani», e poi descrive che aspetto avrebbe avuto questo ipotetico zaino porta-libri, dotato di un bastoncino metallico con il quale il lettore, mediante un dispositivo complesso, poteva sfogliare le pagine con la bocca.

Questa lista di lapsus calami divenne famosa dopo la pubblicazione del romanzo di Bolaño, nel 2004, ma è evidente che lo scrittore cileno si ispirò a un articolo intitolato «Disparates literarios» (assurdità letterarie), di José Martínez de Sousa, pubblicato nel 1998. In questo testo, l’elenco è attribuito a un libro dal titolo Museo de errores, di un «letterato austriaco» di nome Max Sengen. Nel romanzo, tuttavia, i personaggi non consultano quel libro, ma un altro «di cui Archimboldi non riuscì a leggere il titolo». C’è chi ritiene si tratti di un piccolo omaggio di Bolaño a Martínez de Sousa, una delle massime autorità della tipografia, ortotipografia e bibliologia in lingua spagnola.

 

2.

Molto più comuni sono gli errori di battitura, che in certi casi sono fonte di aneddoti altrettanto divertenti. Uno dei più celebri si deve a un’opera di Marshall McLuhan. Si racconta che l’opera, pubblicata nel 1967, dovesse avere come titolo la famosa frase dell’intellettuale statunitense: The Medium Is The Message, ovvero, «Il medium è il messaggio». Qualcuno però in tipografia commise uno sbaglio. Vi lascio solo immaginare lo choc degli editori quando ricevettero le copie con un refuso in copertina: The Medium Is the Massage. Vale a dire: «il medium è il massaggio».

Mcluhan, che era un tipo brillante, fece di quel difetto una virtù. «Lasciatelo così! È geniale e va dritto al punto», esclamò, secondo quanto racconta Eric, il figlio maggiore, sul sito web MarshallMcLuhan.com.Pertanto, ci sono ben quattro interpretazioni possibili per l’ultima parola del titolo: massage («massaggio»), mass age («l’epoca delle masse»), message («messaggio») e messa age («l’epoca del caos, della confusione»). The Medium is The Massage fu il primo libro che McLuhan pubblicò dopo il successo a livello mondiale, tre anni prima, di Understanding Media, ovvero, «capire i media». Senza dubbio, Mcluhan aveva capito tutto.

 

3.

Perfino gli errori di ortografia possono creare nuovi mondi. Victor Hugo, nei Miserabili, racconta una storia molto curiosa. Un cuoco di cognome Hucheloup aveva inventato un piatto di carpe ripiene, che chiamava carpes au gras (letteralmente, «carpe al grasso»). Affisse fuori dalla sua taverna un cartello per annunciarle, ma sbagliò la preposizione: CARPES HO GRAS. Passarono le settimane e le intemperie cancellarono un paio di lettere, così che il cartello finì per recitare: CARPE HO RAS. «Quindi, con l’aiuto del tempo e della pioggia», scriveva Hugo, «un umile annuncio gastronomico si era trasformato in una riflessione profonda».

A cosa si riferisce? Al fatto che la frase sembra un’allusione al famoso carpe diem, «cogli l’attimo», che Orazio introdusse nelle sue Odi. «Fai buon uso delle ore», finisce per raccomandarsi il cuoco. «E fu così», conclude Victor Hugo, «che quel tale Hucheloup, che non sapeva il francese, si era ritrovato a sapere il latino, ad aver fatto nascere della filosofia dalla cucina e, volendo semplicemente eclissare il grande chef Careme, aveva finito per uguagliarsi a Orazio. La cosa più straordinaria, però, è che voleva anche dire: “Entrate nella mia taverna”».

 

4.

Il fatto che un errore di stampa si trasformi in un successo mi fa venire in mente quella frase di Samuel Beckett tanto amata dagli ottimisti: «Prova ancora. Sbaglia ancora. Sbaglia meglio». (Nell’originale: Try again. Fail again. Fail better. Quel Fail si traduce anche, forse per dare più enfasi alla frase, come «fallisci» («fracasa» in spagnolo). Fracasa mejor, infatti, è il titolo di un libro pubblicato qualche mese fa in Argentina, una sorta di manuale di auto-aiuto per spiriti intraprendenti che raccoglie casi di «fallimenti e falliti che hanno cambiato il mondo». Ovviamente, è stato un bestseller). Quale modo migliore di sbagliare che dare vita, senza volerlo, a un titolo ingegnoso e polisemico per un libro o a un cartello, che oltre a invitare a mangiare in una trattoria, trasmette un insegnamento filosofico?

Il fatto è che la frase di Beckett è stata fraintesa. Ovvero, anche la sua lettura ottimistica è sbagliata. Beckett era profondamente pessimista e, per averne una conferma, basta leggere la frase che segue la famosa citazione nel contesto originale, l’opera teatrale Peggio tutta: «Sbaglia di nuovo. Sbaglia meglio. O meglio, peggio. Sbaglia ancora peggio. Sempre peggio. Fino ad ammalarti del tutto. Vomita del tutto». In un articolo del The New Inquiry, lo scrittore Ned Beauman paragona l’uso ottimistico di questa citazione con l’abuso capitalista e consumista della mitica effigie di Che Guevara, ma ammette che forse lo stesso Beckett lo avrebbe trovato divertente. «Nessuna dimostrazione dell’inutilità della vita o della vacuità del linguaggio», sostiene Beauman, «è così profonda da non poter, un giorno, trasformarsi in un magnete rassicurante da attaccare al frigorifero». E ciò, a sua volta, finisce per dare ragione al pessimismo. Vale a dire, lo mette al suo posto.

Spesso succede che gli estremi arrivino a convergere e il pessimismo sembra fare un giro su sé stesso per ritornare nel punto di partenza: l’ottimismo. Chi dal mondo non si aspetta più nulla si entusiasma e sorride di fronte alla più piccola buona notizia. Come chi segue il consiglio che Fernando Pessoa dà nel suo Libro dell’inquietudine: «Visto che non possiamo ricavare bellezza dalla vita, cerchiamo almeno di ricavare bellezza del non poter ricavare bellezza dalla vita». Come non deliziarsi con l’errata corrige di un giornale che spiega che nel passaggio in cui aveva scritto che a un candidato alla presidenza piaceva passare il tempo «con Toy Story» in realtà avrebbe dovuto scrivere «con Tolstoy»? Rilassarsi e godersi la bellezza degli errori sembra, decisamente, un’idea geniale.

© Cristian Vázquez, 2019. Tutti i diritti riservati

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