Premiato un italiano “contrabbandiere di cultura” boliviana

redazione Editoria, Ritratti, SUR

di Raul Schenardi

Controllo nel colophon la data di pubblicazione in Italia di Felipe Delgado, romanzo dello scrittore boliviano Jaime Saenz e scopro che uscì nel 2001, per Crocetti (la casa editrice me la ricordavo, perché ero rimasto un po’ sorpreso dal fatto che un editore votato alla narrativa greca pubblicasse un romanzo boliviano). Un amico aficionado come me di letteratura latinoamericana me l’aveva consigliato caldamente, e siccome conoscevo l’autore solo di fama (fama peraltro un po’ ambigua, di “autore maledetto”, alcolizzato) riuscii a procurarmelo e a leggerlo – non dirò la bestialità “tutto d’un  fiato”: sono 688 pagine – con grande sorpresa e piacere. Tanto che a un anno dall’uscita scrissi una breve recensione per Pulp, dove di solito si recensiscono le novità, nella quale mi arrischiavo a definirlo “un inno alla vita”, malgrado sia un romanzo prevaso da un profondo nichilismo.
E pur senza confrontare l’edizione italiana con l’originale, mentre lo leggevo non potei fare altro che ammirare e invidiare la maestria del traduttore. Un anno dopo, quando Crocetti pubblicò Tirinea, del boliviano Jesús Urgazasti, vidi che il traduttore era lo stesso – una garanzia –, idem per Il Luna park dell’argentina Sylvia Iparraguirre.
Claudio Cinti, questo il suo nome, anconitano che vive da tempo a Venezia, ha ricevuto un importante riconoscimento il 12 giugno a Santa Cruz, in Bolivia, nel quadro della XII Fiera internazionale del libro che quest’anno aveva come ospite l’Italia. Nell’occasione il poeta Rubén Vargas ha dichiarato: «Claudio Cinti fa parte dell’attuale paesaggio letterario boliviano… Una generosa complicità di lunga data lo unisce alla nostra letteratura». Infatti è lungo l’elenco degli scrittori e poeti boliviani che Cinti ha promosso e tradotto nel nostro paese: oltre a Jaime Sáenz, Jesús Urzagasti, Óscar Cerruto, Luis H. Antezana, Pedro Shimose, Blanca Wiethüchter, Eduardo Mitre, Guillermo Bedregal, Ricardo Jaimes Freyre, Cé Mendizábal, Pablo Gozalves, Juan Ignacio Siles del Valle.
Ecco, secondo il racconto che lui stesso ha fatto a un quotidiano boliviano, com’è nata la sua passione per la letteratura di quel paese: «Un mio amico, Giampietro Pizzo, che viveva qui mi invitò [nel 1995] e mi fermai tre mesi. Grazie a lui cominciai a rendermi conto che c’era un mondo letterario immenso e bello in Bolivia, del tutto sconosciuto in Europa». A quel punto gli venne l’idea di introdurre/tradurre in Italia autori boliviani e nel 2000 trovò un editore (il solito Crocetti) per le poesie di Sáenz Percorrere questa distanza (tr. di G. Pizzo), per le Riflessioni machiavelliche di Pedro Shimose (tr. di C. Cinti, entrambi per Sinopia), e via via gli altri elencati sopra.
Shimose gli ha dedicato un’affettuosa nota giornalistica (“Un poeta veneziano a Santa Cruz”) in cui ricorda che nel 2005 Cinti è stato insignito del Premio internazionale di poesia Pasolini, e che la Bolivia ha ispirato diverse poesie incluse nella raccolta Ipapecuana (Sinopia, 2004). E aggiunge: «Quando Sinopia libri mi invitò a presentare in Italia il mio libro Riflessioni machiavelliche, Claudio fu un cicerone eccezionale. Visitammo insieme Padova, Firenze e Roma. Grazie a lui conobbi i segreti più riservati della Serenissima, la Repubblica di Vivaldi e Casanova, quella del mio maestro di disegno Hugo Pratt, quella dell’Isola dei Morti, del Lido dei festival di cinema, la Venezia entrañable del ghetto ebraico, con i suoi vicoli labirintici e i suoi gatti misteriosi, la Venezia cantata da Pound e intravista nella mia giovinezza grazie a una poesia di Ricardo Jaimes Freyre, mel 1920: «En la plaza de san Marcos encontré a la Marietina; / junto a un grupo de palomas su silueta, leve y fina, / se trazaba sobre el fondo de la iglesia bizantina…».
A proposito della traduzione delle poesie di Shimose, Cinti ha dichiarato alla stampa boliviana che «l’esperienza è stata particolarmente interessante. In questo raccolta Simose traduce liberamente brani dell’opera di Machiavelli per inserirle nelle sue poesie. Nella traduzione non si trattava solo di individuare quei brani per rimetterli nel posto che occupano nelle poesie». Per questo dovette immergersi nell’opera di Machiavelli, che leggeva parallelamente ai versi del poeta boliviano. Il risultato, dice Cinti sorridendo, «è un italiano del XVI secolo».
A proposito della traduzione di Felipe Delgado, Cinti ha detto che per lui è il capolavoro della letteratura boliviana, motivo per cui è stato un piacere tradurlo, e ha aggiunto: «Il lavoro del traduttore è affascinante, ma ogni volta è qualcosa di nuovo. Quando comincio a tradurre un libro è come se fosse il primo. Entrare nel mondo di uno scrittore è un’avventura».
In un altro articolo che gli è stato dedicato in questi giorni, si sottolinea giustamente che alla «prodezza» della traduzione di Felipe Delgado («quasi 700 pagine di una prosa profondamente impregnata della parlata di La Paz») bisogna aggiungerne un’altra: «Cinti ha tradotto il romanzo e ha trovato in Italia l’editore giusto: la casa editrice Crocetti di Milano. Il che ha consentito l’ingresso di Sáenz nella cerchia dei lettori italiani».
Non è un elogio di maniera: per chi ha sentore dei criteri e delle modalità che presiedono alle scelte editoriali, non è un’esagerazione parlare di «prodezza» quando un traduttore aficionado di una letteratura nazionale riesce a ottenere la pubblicazione dei «suoi» autori – mi riferisco a opere che non rientrano nelle «novità» o nei rating di vendita, come succede spesso per letterature periferiche rispetto al mercato editoriale mondiale. Così come non è di maniera, spero, questa nota succinta ma più che meritata, che vuole essere anche un riconoscimento e un incoraggiamento per tutti quei traduttori che non stanno semplicemente ad aspettare una proposta di contratto da parte di un editore, ma scoprono i «loro» autori e poi non si stancano di cercare il modo per farli pubblicare. È grazie alle loro appassionate ricerche se i lettori curiosi e attenti possono conoscere un mondo destinato altrimenti all’oblio.

Concludo con due poesie da Riflessioni machiavelliche di Pedro Shimose, Sinopia 2004, tr. di Claudio Cinti. Altri versi si possono leggere sul sito della casa editrice:

CRONACA FIORENTINA

Crebbe tra pugnali e veleni.
(Dalle finestre
pendono
gli impiccati).
I Papi
non andavano
per il sottile.
I principi devoti
guerreggiavano,
torturavano,
rubavano
fornicavano.

Lui
si limitava a ubbidire,
mentre i banchieri
difendevano i diritti della rosa;
lui
guadagnava appena 128 fiorini d’oro all’anno
(non era male,
ma era poco).

L’ambizione non dormiva nelle città
mentre
lui,
poveruomo pieno di progetti,
viaggiava
e osservava
e scriveva:
« … che avendo
3 garzoni
et 3 bestie alle spalle,
io non posso vivere
di promesse ».

Caduto in disgrazia,
lo rimuovono dal suo incarico,
lo imprigionano
lo torturano.
Fu cosí che conobbe gli uomini
– lui, mite e gentile –
e codificò l’infamia.

POLITICO DISOCCUPATO

Di buon mattino
s’alza,
esce a caccia di beccafichi,
vagola per il bosco,
osserva il lavoro de’ legnaiuoli,
si siede presso le fonti
e legge i poeti
che gli parlano
di amori ed esili.

Va all’osteria,
mangia e beve
con la gente umile,
giuoca alla cricca e s’ingaglioffa
in grandi discussioni con
il canovaio,
il mugnaio,
il beccaio

(inveisce,
li abburatta,
si sbraccia)

Di notte
torna alle sue stanze,
si spoglia quella veste cotidiana
e – in panni condecenti –
conversa
co’ grandi uomini antichi;
domanda la ragione
delle loro azioni,
legge,
medita,
sdimentica ogni affanno
non teme la povertà
la morte, non lo sbigottisce.

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