portada_expo_1397597310_tola_217-web-grande

Geografia dell’immaginazione peruviana

Valerie Miles Reportage, Scrittura, Società, SUR Lascia un commento

Nel 2015 la rivista letteraria Words without Borders ha dedicato un numero monografico alla rinascita della letteratura peruviana. Pubblichiamo oggi il saggio introduttivo di Valerie Miles, tradotto in italiano da Grafias, che ringraziamo.

di Valerie Miles
traduzione di Marella Fasano

Perù

José Tola, «La conquista» (dettaglio)

Il Perù è uno dei luoghi più affascinanti ed enigmatici della terra e Lima – la sua vibrante e grintosa capitale di dieci milioni di abitanti – una delle scene letterarie e gastronomiche più vivaci dell’America Latina di oggi. Nel 2006 Simon Romero sul New York Times parlava di due scrittori peruviani che avevano appena vinto importanti premi letterari spagnoli, Santiago Roncagliolo e Alonso Cueto (che scriverà un pezzo in uno dei prossimi numeri di WWB dedicato alla gastronomia), e con cauto ottimismo segnalava l’esplosione di case editrici indipendenti come Estruendomudo o la storica Peisa, entrambe dedite alla promozione delle opere di scrittori peruviani. Inoltre citava una nuova rivista, Etiqueta negra – diretta da Julio Villanueva Chang e ispirata a riviste affermate come la colombiana Malpensante e la messicana Gatopardo –, che avrebbe promosso nonfiction narrativa in stile New Yorker. Da allora sono comparse nuove riviste come Buensalvaje, che si sono diffuse in tutto il mondo ispanofono con riviste gemelle, e un’altra attrazione, il Lima book fair, come ho avuto modo di vedere di persona l’anno scorso, attira adesso folle di lettori e scrittori provenienti da tutto il mondo. È chiaro che il paese stia vivendo una rinascita letteraria, grazie alla durevole stabilità socio-economica e politica e senza dubbio in seguito al Nobel assegnato nel 2010 a Mario Vargas Llosa, l’ultimo della grande boom generation di scrittori emersa in America Latina durante gli anni Sessanta e Settanta (insieme a Gabriel García Márquez, Guillermo Cabrera Infante, Carlos Fuentes, Julio Cortázar, ecc.).

In una conversazione con Javier Cercas dello scorso giugno, Vargas Llosa faceva notare che al tempo in cui era cresciuto lui, negli anni Quaranta e Cinquanta, «nessuno in Perù voleva fare lo scrittore, era inconcepibile. La gente scriveva, ma era solo un hobby, non una professione. Adesso è cambiato tutto». A quell’epoca, dopo la seconda guerra mondiale, durante gli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, Parigi è stata la mecca degli scrittori latino-americani così come lo è stata per gli americani della lost generation negli anni Venti e Trenta. Era lì che si incontravano, per leggersi a vicenda o per scampare ai disordini politici nei loro paesi. Prima di arrivare a Parigi, Vargas Llosa non aveva mai letto Borges, e altri scrittori peruviani come Julio Ramón Ribeyro e Alfredo Bryce Echenique hanno vissuto lì per molti anni. E proprio questi sono stati tra gli scrittori più influenti per la generazione dei peruviani nati negli anni Sessanta, alcuni dei quali sono citati qui, come Enrique Prochazka, Fernando Iwasaki, Patricia de Souza e Ivan Thays.

Il Perù possiede una straordinaria miscela ricca di voci, genti e lingue diverse, un caleidoscopio di culture indigene, i creoli spagnoli e i meticci, le comunità di immigrati provenienti dall’Africa, dalla Cina e dal Giappone. La lingua inca, il quechua, resta tutt’oggi la lingua madre di milioni di peruviani; inoltre sono ancora parlate altre sessanta lingue native, molte delle quali hanno una radicata tradizione orale. In questo numero abbiamo incluso la registrazione di un racconto della cosmografia Tikuna nella lingua della più grande tribù dell’Amazzonia. Infatti, oltre la metà del paese è ricoperta dalla foresta pluviale tropicale, sebbene solo il cinque percento della popolazione viva lì. Il paesaggio urbano di Lima, il suo centro coloniale nonché sito del patrimonio mondiale dell’unesco, fa capolino sul Pacifico dove passa la corrente gelida di Humboldt, uno degli ecosistemi marini più produttivi della terra. Il più alto ghiacciaio delle Ande peruviane si erge in tutta la sua maestosità a 22.000 piedi sul livello del mare [6.705 metri, ndt]. È un paese di eccezionalità che si rivelano nella letteratura.

Herman Melville non era immune al fascino letterario della malinconia, ai «cieli senz’acque» di Lima che visitò nell’inverno del 1844, solo poco più di ventennio dopo l’indipendenza dal dominio coloniale spagnolo. Scrisse un’inquietante descrizione della città nel suo Moby Dick:

«E nemmeno sono affatto i ricordi dei suoi terremoti distruttori di cattedrali, né gli stampedi del suo mare impazzito, né la spietatezza dei suoi aridi cieli senz’acque, né la vista del suo immenso campo di guglie piegate, di volte divelte, di croci cadenti (come i pennoni obliqui di flotte ancorate), né i suoi viali suburbani di pareti precipitate l’una sull’altra come un mazzo di carte sparso: non è nessuna di queste cose soltanto che faccia di Lima senza lacrime, la più strana, la più triste città che si possa vedere»[1].

Ma Lima non era solo una città triste durante le dittature degli anni Settanta e Ottanta e per tutti i cupi e violenti anni Novanta, quando la città cadde preda della corruzione e del traffico della droga e la guerriglia maoista, capeggiata da Abimael Guzmán e dal Sentiero Luminoso, si spostò dalle zone rurali al cuore di Lima, costando la vita a quasi 70.000 persone. Un mosaico di voci e forme ricostruisce questa tematica – racconti, poesie, reportage – che restituisce il ritratto di due generazioni che raggiunsero la maggiore età proprio durante questi anni bui, quando Vargas Llosa, dopo essere stato battuto alle presidenziali da Alberto Fujimori nel 1990, definì il Perù «non un paese unito, ma più paesi che convivono nella diffidenza e nell’ignoranza reciproca, nel rancore e nel pregiudizio, chiuso in un vortice di violenze». Il fatto che il Perù si trovi nel bel mezzo di una rinascita culturale agevolata dalla stabilità politica ed economica, dimostra che una ripresa è possibile persino nel più cupo degli scenari.

La maggior parte degli scrittori di questo numero sono nati tra gli anni Sessanta e Settanta, fatta eccezione per Carmen Ollé, affermata e molto apprezzata poetessa che appartiene alla generazione degli scrittori che si sono affermati negli anni Settanta. Tutti gli altri scrittori hanno raggiunto la maggiore età durante i disordini politici e sociali degli anni Ottanta e Novanta; molti di loro hanno conosciuto le sofferenze dell’esilio insieme alle loro famiglie, oppure hanno trovato opportunità di lavoro o di studio in altre parti del mondo, dando vita a un vero e proprio esodo.

Questa selezione non è che la punta dell’iceberg: molte delle vibranti voci emergenti come Daniel Titinger, Karina Pacheco, Juan Manuel Robles, Jeremías Gamboa e Gustavo Faverón non vengono citate qui.

Perù

José Tola, «El mundo domenado por huracanes y ciclones»

Abbiamo selezionato tre estratti di un reportage che rendono omaggio alla forma della nonfiction narrativa che Etiqueta Negra ha promosso e incoraggiato negli anni e che è diventato il marchio di fabbrica del reportage peruviano. Sia Santiago Roncagliolo che Gabriela Wiener narrano avventure della giungla profonda. Santiago capisce che tra dignità e povertà «la differenza non sta nella disponibilità di denaro, ma nella creatività e nel modo in cui si decide di utilizzarlo e di spenderlo. E in un pizzico di magia, forse». Il delirante viaggio di Wiener, durante il quale scopre il nirvana dell’ayahuasca, ha proprio a che fare con quell’aspetto magico. Sergio Vilela scrive pagine intense sui disperati anni della guerra a Lima e di come una stella culinaria come Gastón Acurio abbia cominciato a cambiare l’idea che i peruviani avevano del loro paese, trasformandolo in un luogo «che era impensabile negli anni della guerra in cui sono cresciuto io».

Julio Durán scrive da Iquitos, Ivan Thays, Carmen Ollé e Victoria Guerrero da Lima, Patricia de Souza da Parigi, Gabriela Wiener da Madrid, Enrique Prochazka dalla Svezia, Fernando Iwasaki da Siviglia, Carlos Yushimito e Claudia Salazar Jiménez dagli Stati Uniti, Sergio Vilela da Bogotá e Santiago Roncagliolo da Barcellona. Gran parte di loro trascorre moltissimo tempo in Perù. Molti di quelli che erano espatriati sono già tornati per prendere parte al nuovo clima di rinascita, o sono in procinto di farlo. È interessante notare come questo dinamico milieu culturale venga fortemente alimentato delle istituzioni pubbliche, contrariamente alla miopia dei paesi europei che, in tempi di austerity, scelgono per prima cosa di ridurre all’osso proprio gli investimenti culturali. Di certo i turisti non accorrono in massa per ammirare le bellezze del sistema bancario di un paese.

Le storie che vi riportiamo dimostrano che nella letteratura peruviana contemporanea vi è una grande varietà di stili, dove l’approccio individuale sente la necessità di rientrare all’interno di alcune imposizioni stilistiche comuni. Sebbene cronologicamente appartengano a specifiche generazioni, non hanno alcun manifesto. Non ubbidiscono a un’estetica consolidata, tuttavia hanno trovato i mezzi per dar voce ai propri mondi in maniera singolare e originale. Gran parte delle loro opere è ambientata in contesti urbani, sebbene non necessariamente a Lima data la diversa provenienza degli scrittori. Questo è evidente nella triste storia che racconta Patricia de Souza, di quando era una povera studentessa di filosofia in un luogo come Parigi che, come il romanzo di Mario Vargas Llosa Avventure della ragazza cattiva[2], ripercorre e sfata il mito di Parigi come centro della cultura letteraria, esattamente come fece Bolaño nel suo I detective selvaggi[3], dimostrando come la Ville Lumière sia ormai vecchia come il mondo. La storia di Enrique Prochazka, che fa parte di un romanzo in fase di scrittura, mostra un ritmo preciso e un’inquietante esaltazione della lotta tra gli uomini sulle gelide Ande. La tematica del turismo è solo accennata sullo sfondo.

Gli scrittori qui dimostrano chiaramente di voler raccontare una storia piuttosto che sperimentare con la forma per la forma in sé. Tendono a evitare il concettuale, essendo al tempo stesso abili e profondi conoscitori delle tecniche narrative per ricavare da una storia l’effetto migliore: per riuscire a scuotere, turbare, stuzzicare, suscitare nel lettore forti emozioni. Questo avviene non tanto grazie a imprese linguistiche pirotecniche, quanto alla trama e yushimitoalla tecnica – con l’eccezione, se possibile, di Carlos Yushimito, che usa la lingua per creare una specie diderangement des senses, un costante slittamento che allude al significato, che non è mai completamente rivelato. La storia è divisa in tre puntate: nelle due che usciranno nei prossimi numeri vedremo l’uso di questa tecnica in alcuni passi di straordinaria bellezza.

Si tratta di due generazioni composte da quel genere di scrittori professionisti che Mario Vargas Llosa definiva la rinascita di una nuova flora e fauna letteraria. Non sono scrittori autoindulgenti, non scrivono dando le spalle al lettore. Sono cosmopoliti anche quando sono strettamente legati alle tradizioni peruviane perché hanno letto moltissimo, parlano altre lingue e si relazionano con la letteratura mondiale. Il fatto di vivere in un paese periferico li ha portati a confrontarsi con molte altre tradizioni – europee e americane, Joyce, Kafka, Dinesen, Faulkner, Woolf – leggendo anche compatrioti: Vargas Llosa, Julio Ramón Ribeyro, Bryce Echenique, José María Arguedas e altri scrittori latino-americani e spagnoli, da Borges a Bolaño, da Javier Marías a Silvina Ocampo. Di conseguenza, sono di gran lunga più colti e molto più letti rispetto ai loro colleghi americani. Le innumerevoli esperienze vissute durante l’esodo o da studenti all’estero sono servite da materiale di partenza che va ad aggiungersi alla miscela, mentre la loro attività sui blog e sui social network dimostra che non sono poi così lontani da casa e che si tengono in contatto con i lettori peruviani.

carmen_olleTutto questo va a costruire una geografia dell’immaginazione letteraria peruviana contemporanea le cui caratteristiche includono l’humor nero di Claudia Salazar Jiménez, la ricercata crudeltà evocativa dei mondi immaginari di Carlos Yushimito o di Patricia de Souza, imisteri dei rituali e della morte nella storia di Fernando Iwasaki, le torbide tensioni e le sofferenze che infligge la violenza umana nelle storie di Julio Durán e Ivan Thays. Evocano i paesaggi interiori di personaggi che lottano disperatamente per non perdersi nel vortice dell’esistenza. E che non sempre ci riescono. Carmen Ollé è uno dei punti di riferimento per le poetesse più giovani come Victoria Guerrero, la cui straziante poesia sulla malattia della sorella continua a lungo ad avere effetto dopo la sua lettura. E infine, le testimonianze narrative scritte da Santiago RoncaglioloGabriela Wiener e Sergio Vilela che parlano dei loro tempi e del loro Perù, un dialogo sullo sfondo del mito della creazione del popolo Tikuna, un esempio di ciò che resta sul fondo di tutto questo senza far rumore, le antiche culture ancora esistenti, che si aggrappano ai propri riti e rituali in questa sconfinata terra travolgente che è il Perù.

 

[1] Herman Melville, Moby-Dick; or, The Whale, Harper and Brothers, Londra 1851; Moby Dick o la Balena, traduzione di Cesare Pavese, Einaudi, Torino 1942 [versione riveduta della prima traduzione del Moby Dick che Pavese pubblicò presso l’editore Frassinelli a Torino nel 1932].

[2] Mario Vargas Llosa, Travesuras de la niña mala, Alfaguara, Madrid 2006; Avventure della ragazza cattiva, traduzione di Glauco Felici, Einaudi, Torino 2006.

[3] Roberto Bolaño, Los detectives salvajes, Anagrama, Barcellona 1998; I detective selvaggi, traduzione di Maria Nicola, Sellerio, Palermo 2003; successivamente I detective selvaggi, traduzione di Ilide Carmignani, Adelphi, Milano 2014.

© Valerie Miles, 2015. Tutti i diritti riservati.

Condividi