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Hitler precursore di Kafka? (su Respirazione artificiale di Ricardo Piglia) 2/2

Osvaldo de la Torre Autori, Ricardo Piglia, SUR

Pubblichiamo oggi la conclusione del saggio su Respirazione artificiale di Ricardo Piglia.

[Qui la prima parte dell’articolo]

di Osvaldo de la Torre
traduzione di Dajana Morelli

Lo stile di Arlt va contro i valori estetici stabiliti («scrivere in modo corretto, accurato, senza gerundi… senza ripetizioni») perché cerca di includere «quanto è represso della letteratura argentina», vale a dire, adotta il discorso/i discorsi di quei gruppi emarginati dalla cultura dominante: gli immigranti, i poveri, i criminali, gli abitanti delle periferie. Le strutture nazionali soffrono un grave impatto a causa dell’immigrazione, la quale «distrugge la nostra identità, i nostri valori tradizionali… corrompe la lingua nazionale».

La letteratura, da quel momento «cambia funzione in Argentina; comincia ad avere una funzione, diciamo, specifica», che consiste nel «preservare e difendere la purezza della lingua nazionale di fronte al meticciato, all’incrocio, alla disgregazione provocata dagli immigrati». La letteratura ottiene la sua autonomia, si enfatizza la nozione di stile e questa comincia «a essere giudicata a partire da valori specifici, da valori […] puramente letterari e non, come succedeva nel diciannovesimo secolo, in base ai suoi valori politici o sociali».

Il fatto che al linguaggio siano imposti modelli concreti e strutture nitide e che venga valutato attraverso essi significa solo una cosa: che non esistono più modelli concreti e strutture nitide. La lingua si è trasformata in una macchina versatile, fuori controllo, e il nuovo compito dell’intellettuale consiste nell’interrompere la sua marcia demolitrice. Lo scrittore, così, «diventa il custode della purezza linguistica», colui che lotterà per evitare lo smembramento del corpo linguistico. L’esempio ideale di questo tipo di scrittore è Leopoldo Lugones, che «svolge un ruolo decisivo nella definizione dello stile letterario in Argentina». Per Renzi, come per Borges, Lugones scrive con il dizionario in mano, e si impegna a cancellare l’impatto delle lingue straniere sulla lingua nazionale. Lotta per conservare la nitidezza, la chiarezza, l’eleganza e l’ordine del discorso ufficiale.

Arlt, invece, «non intende il linguaggio come un’unità, come qualcosa di coerente e liscio, bensì come un conglomerato, una marea di gerghi e di voci». Le classi dominanti cercano di iniettare all’interno del linguaggio la chiarezza e la purezza, e facendo ciò lo imprigionano in uno schema asfissiante, lo sommergono, lo impiccano, lo imbavagliano, gli impongono un silenzio che non vuole accettare. Arlt è tra i pochi che si allontanano da questa tendenza tirannica e paranoica; al contrario, accetta la nascente molteplicità discorsiva, si lascia trascinare da questa giostra polifonica, rifiuta il «buon gusto», la civetteria, le buone maniere letterarie. La sua letteratura è fatta di «traduzioni», di «assemblaggi», di «avanzi». Il linguaggio mostruoso di Arlt aggredisce il lettore perché nel suo caso la letteratura equivale al linguaggio, sono la stessa cosa, «lo stile di Arlt è la sua narrativa. E la narrativa di Arlt è il suo stile: non c’è una cosa senza l’altra».

La letteratura argentina posteriore a Lugones si divide in due traiettorie, una assai transitata, l’altra quasi deserta: quella lungo la quale passeggiano i seguaci di Lugones, perché scrivere come Lugones equivale a scrivere bene, e quella in cui un Arlt screditato cammina facendo a pezzi il linguaggio ufficiale, ma rimpiazza questi pezzi con frammenti di voci immigranti ed esotiche. Borges segue la traiettoria di Lugones; nessuno può dubitare che i suoi racconti furono composti con intenso rigore in quanto a chiarezza e forma: sono brevi esplosioni di concisione linguistica, piccoli gioielli trasparenti ed esatti. Ciò non significa che Borges non abbia potuto ammirare l’opera di Arlt. Tutt’altro, Renzi assicura che Borges lesse e perfino esaltò Arlt. «Guarda», dice a Marconi, «ricorderai, ne sono sicuro, quel racconto del Manoscritto di Brodie intitolato “L’indegno”. Rileggilo, per favore, e vedrai. È Il giocattolo rabbioso. Voglio dire, aggiunse Renzi, una trasposizione tipicamente borgesiana, ecco, una miniatura del tema del Giocattolo rabbioso». Se il tema (l’attrazione per il mondo del crimine) è un’influenza del romanzo di Arlt, il timido omaggio lo svela nel nome di uno dei personaggi del racconto: un poliziotto che si chiama Alt. Considerando «il significato che hanno i nomi nei testi di Borges», non c’è dubbio, assicura Renzi, che si tratti di una sottile allusione a Arlt, allusione che è allo stesso tempo un omaggio, un saluto, un gesto di apprezzamento per la sua opera.

Le analisi letterarie di Renzi adottano, così, posizioni poco ortodosse, ma non distruttrici; tutt’altro, il suo metodo di lettura è attento ai piccoli dettagli, ai vincoli travestiti da coincidenze, alle allusioni velate, ai mormorii della letteratura; è, quindi, un metodo di lettura che ringiovanisce la tradizione letteraria e la sua critica, poiché ci permette di adottare approcci originali e caratteristici, ci permette di «leggere Borges a partire da Arlt», vale a dire, di mettere in relazione due figure in apparenza incompatibili. L’esame letterario di Renzi è un apporto effettivo e azzeccato, che richiede l’osservazione della letteratura da un luogo imprevisto, per rileggere, per reinterpretare il canone, per acuire i nostri sensi, nelle parole di Octavio Paz (riferendosi a Borges), Renzi «sconvolge tutti i punti di vista tradizionali e ci obbliga a vedere in un altro modo le cose che vediamo e i libri che leggiamo».

Leggere Kafka a partire da Hitler. Questa sembrerebbe essere la proposta di Tardewski. Come per Renzi, il suo metodo di lettura è perspicace e acuto, imprevisto e sagace. Non c’è finzione né storia invariabili, ma finzione storica, storia fittizia. L’incontro tra Kafka e Hitler può essere una menzogna dell’immaginazione, ma questa menzogna è così affascinante, così mostruosa, che ci convince inevitabilmente. Come il lettore, José Emilio Pacheco si chiede se l’incontro tra queste due figure sia realmente avvenuto. In fin dei conti, osserva, la verità importa poco, ciò che importa è l’insinuazione. La «scienza storiografica», al contrario della letteratura, «basa il suo rigore sulla schiavitù del documento». Un dato verificato, per questa scienza, è per definizione un dato documentato. La letteratura non è così esigente; se il testo che deve avvalorare il fatto non esiste, viene inventato, si fabbrica. E ciò che Tardewski (Piglia) inventa per corroborare le conversazioni tra Hitler e Kafka è quanto segue:

il Times Literary Supplement non esce la domenica (giorno in cui esce The Sunday Times con le sue recensioni) ma il giovedì. Per il resto, è chiaro, Brod non dice una parola riguardo a «Adolf». In nessuno dei volumi di Lettere consultati esistono quelle «citate» da Piglia. Invece nei Diari 1910-1923 sì compare l’inquietante annotazione: «La sua gravità mi uccide…»

Una data di pubblicazione erroneamente attribuita, una frase tronca e misteriosa, lettere apocrife; è attraverso questi artifici letterari che Tardewski (Piglia) espone la sua «grande scoperta» con una coerenza e una lucidità talmente dettagliate, che non possiamo far altro che approvare questa finzione e accettarla come verità. La letteratura si vede così trasfigurata in sostanza storica e la storia si cristallizza in gemma letteraria. Allora come non leggere Kafka a partire da Hitler? Quest’ultimo, riuniti nel caffè Arcos, a Praga, riferisce i suoi progetti fanatici, «i suoi sogni nasali, smisurati, in cui [Kafka] intravede la sua trasformazione nel Führer, il Capo, il Padrone assoluto di milioni di uomini, servi, schiavi, insetti sottoposti al suo dominio…» Kafka ascolta in Hitler  «la voce abominevole della storia», pensa che se le parole possono essere pronunciate possono anche essere realizzate:

Pensa che sia possibile che i progetti impossibili e atroci di quell’ometto ridicolo e famelico arrivino a realizzarsi e che il mondo si trasformi in ciò che le parole stavano costruendo: il castello dell’Ordine e la croce uncinata, la macchina del male che incide il proprio messaggio nella carne delle vittime.

La letteratura di Kafka è una trascrizione, un’anticipazione in parole, di questo progetto omicida, di questa macchina tirannica descritta e anelata da Hitler. Disegna un mondo in cui ogni persona è accusata all’improvviso, in cui lo Stato prende possesso dell’esistenza e del destino dei suoi cittadini. Kafka è colui che sa ascoltare, colui che sa presentire il senso occulto e criminale delle parole. Molti anni prima che il Terzo Reich concretasse queste premonizioni, Kafka descrive esseri umani trasformati in insetti, arrestati, schiacciati, morti come insetti, incapaci di aiutare se stessi, di aiutare chiunque, incapaci di lottare contro il Castello. Leggiamo, allora, Kafka a partire da Hitler, ossia, leggiamo Hitler come precursore di Kafka, anche se ciò rappresenta un’aberrazione interpretativa. La storia si confonde con la letteratura, non ci sono frontiere tra di esse. Ciò che Tardewski realizza non è solo una «scoperta», è un rinnovamento della letteratura, una relativizzazione della storia.

Tardewski definisce la sua scoperta come «l’inattesa associazione di due fatti isolati, di due idee che unendosi producono qualcosa di nuovo». Il metodo di lettura che vivifica, che resuscita la letteratura e la storia dalle loro ceneri è incarnato dal potere associativo nelle analisi letterarie dei personaggi di Respirazione Artificiale, soprattutto Tardewski e Renzi. La catena generazionale costituita da Enrique Ossorio, Marcelo Maggi ed Emilio Renzi è aiutata da due personaggi che in qualche modo pure vi appartengono: il senatore Luciano Ossorio e il polacco Vladimir Tardewski. Entrambi fungono da figure intermediarie: Luciano Ossorio fornisce a Maggi le lettere di suo nonno Enrique Ossorio; Tardewski conserva e consegna queste stesse lettere a Renzi. Tutti i personaggi, così, formano parte di un’intima tradizione letteraria. Obliqua, clandestina, marginale, costituita da precursori ed epigoni. Come metafora del processo di re-interpretazione letteraria, questa catena personifica un metodo di lettura il cui compito principale è riscrivere la storia, ri-spiegare la letteratura. Non appena si abbandona questo metodo di interpretazione, il corpo testuale scompare. Allora è necessario resuscitarlo mediante la «respirazione artificiale».

© Osvaldo de la Torre, 2005. Tutti i diritti riservati

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