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Quattro persone

Alejandro Zambra Alejandro Zambra, Autori, Scrittura, SUR Lascia un commento

Cosa significa scrivere per chi lo fa di professione? È un’attività solitaria o collettiva? Pubblichiamo oggi un breve articolo in cui l’autore cileno Alejandro Zambra ci racconta quanto siano importanti le opinioni dei lettori fidati, che rimangono silenziosamente impresse tra le righe.

di Alejandro Zambra
traduzione di Giulia Zavagna

 

Quanto è solitario il lavoro di uno scrittore?

Me lo chiede un amabile sconosciuto, per pura curiosità, alla fine di una sessione di letture. Gli rispondo esitando, non sono sicuro. Penso al luogo comune dello scrittore rinchiuso per lunghe ore, che lotta con le proprie convinzioni, con i propri desideri. Ricordo quel frammento così drammatico e in qualche modo comico in cui Kafka confessa il desiderio di chiudersi in una caverna, con solo una lampada e il necessario per scrivere: «Mi porteranno da mangiare e me lo lasceranno sempre lontano da dove mi trovo, dietro la porta più esterna della caverna. Andare a prendere il cibo, in camicia da notte, attraversando tutti i cunicoli, sarà la mia unica passeggiata».

Scrivendo ci assentiamo dal mondo e a volte passano giorni interni in cui usciamo solo a comprare le sigarette o a portar fuori il cane (anche se in quei casi è il cane che porta fuori noi). Ma non sono sicuro che scrivere sia un mestiere solitario. Almeno per me la lettura ha sempre avuto un lato collettivo. Sono cresciuto condividendo i miei testi con gli altri e sinceramente non credo che esista una miglior scuola di scrittura delle riunioni tra amici intorno a un manoscritto e a qualche birra. Amici disposti ad ascoltare, a suggerire, a non essere d’accordo, a cancellare; amici le cui opinioni a volte modificano in modo inaspettato e decisivo quello che scriviamo.

Abbiamo messo insieme i nostri primi libri grazie a quelle sessioni lunghe, divertenti e anche dure e inquietanti, perché non era facile accettare che la poesia scritta nella trafficata solitudine stava iniziando a diventare un testo collettivo, e a volte un po’ estraneo. Non era nemmeno piacevole verificare come gli altri tralasciavano una frase o un verso che noi credevamo importante. C’è stato un tempo in cui ci vedevamo quasi ogni giorno per leggere e ricordo una sera in cui ci siamo visti con il proposito di tradurre dei testi di Joan Brossa, anche se nessuno di noi sapeva il catalano. Non dev’essere così difficile, dicevamo, armati di un semplice dizionario di cento pagine, quando non c’erano ancora internet né le scorciatoie di Google. Il risultato è stato, naturalmente, disastroso e spassosissimo.

Ma stavo parlando degli interlocutori, che secondo Natalia Ginzburg di solito sono tre o quattro persone di cui ci fidiamo ciecamente e alla cui opinione teniamo. Nel suo caso quelle quattro persone erano due amiche, un critico e in particolare suo figlio maggiore, con cui si creava una strana scena, perché dopo aver ascoltato i racconti della madre, il figlio la riempiva di insulti e ingiurie. Ascoltare quegli insulti significava per l’autrice, curiosamente, sapere che il testo andava bene.

L’opinione di Natalia Ginzburg coincide con quella famosa poesia di Ezra Pound: «Metto insieme queste parole per quattro persone / Alcuni altri le possono sentire / Oh mondo, mi dispiace per te / Tu non conosci queste quattro persone». Nel mio caso gli interlocutori sono sei o sette o forse di più. Ora che ci penso, quando ho presentato in pubblico il mio nuovo romanzo ho voluto scrivere un testo per ringraziare le persone che avevano letto il manoscritto, ma la lista era così lunga che ho preferito fare semplicemente un saluto generale.

Il mondo letterario ha una brutta fama e ci sono persone convinte che gli scrittori passino le giornate a discutere e a darsi gomitate. A volte capita qualcosa del genere. Spesso, in certi casi. Ma è anche un mondo solidale, un modo in cui si condivide. Mi impressiona sempre constatare quanto sia profondamente collettivo il lavoro di un regista teatrale o di un cineasta, e spesso è un sollievo pensare che il nostro mestiere non consiste in nulla più che riempire in solitudine qualche pagine. Ma non dimentico quei generosi interlocutori le cui opinioni alla fine restano silenziosamente impresse nelle pagine di un libro.

 

Settembre, 2011

© Alejandro Zambra, 2011.  Tutti i diritti riservati.

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