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Cile, cronache (e risate) dal trauma

Gabriella Saba SUR 1 Commento

Si apre domani il Salone del libro di Torino. Paese ospite, il Cile. Pubblichiamo il testo dell’intervento di Gabriella Saba, giornalista freelance che ha vissuto in Cile nei mesi drammatici del terremoto del 2010, uscito domenica scorsa sul supplemento letterario del “Corriere della sera”, ringraziando l’autrice.

di Gabriella Saba

Nella letteratura cilena del post dittatura ci sono ombre lunghe e ferite, humour nero, il tentativo di chiudere i conti con il passato (non solo politico) come nell’ultimo romanzo del trentottenne Alejandro Zambra, Modi di tornare a casa (Mondadori, 2012): storia di un ragazzino di nove anni che, all’epoca del regime, scopre che i genitori hanno una vita loro, che non c’entra con i bambini, una vita in cui si può decidere di defilarsi o battersi. «Da molto tempo pensavo di scrivere un libro sugli anni Ottanta e sulla dittatura», dichiara oggi Zambra. Realizzato nella forma della metafiction (la storia del bambino si interfaccia con quella dello scrittore che la racconta), il romanzo tocca il regime come metafora: il generale-despota è dapprima il personaggio televisivo che il ragazzino detesta perché compare alle ore più strane. Solo più tardi lo odierà perché è un assassino.

Strano fenomeno quello della letteratura cilena degli ultimi vent’anni. Decine di scrittori nello scenario di un dopo dittatura in cui il Cile fatica a ricomporsi. Il 5 ottobre del 1988 Pinochet perde il referendum e un anno dopo consegna alla democrazia un Paese solido e moderno ma lacerato, popolato da incubi e fantasmi che cerca di esorcizzare con l’ossessione consumista. Unico dittatore nella storia, il generale ha delegato il potere economico a un gruppo di specialisti neoliberali che hanno inventato un Cile nuovo, basato sulla combattività estrema e sulla scommessa individuale ma imbalsamato socialmente e privo di welfare. La letteratura si trova a ricostruire uno spazio artistico che era stato spazzato via o censurato e ad affrontare il senso di sconfitta e le cicatrici di diciassette anni di terrore: il Cile che racconta è frammentato e “silenziato” e vi si aggirano orfani di un’utopia e famiglie disfunzionali. Soltanto pochi autori si cimentano frontalmente con il tema della dittatura (uno di questi è Arturo Fontaine, vedi il romanzo La vida doble, 2010), ma indirettamente quell’epoca e le sue conseguenze permeano di sé i testi.

Appare e sparisce (fisicamente) Roberto Bolaño, che diventa un riferimento essenziale: è il primo grande scrittore arrivato dopo il boom e i giovani autori si rifanno alla sua prosa irridente e nomade che unisce Kerouac e Borges. Sette anni prima della sua morte, l’oggi quarantanovenne Alberto Fuguet fonda un movimento letterario che chiama McOndo: crasi di McDonald’s e Macondo, critica agli stereotipi del realismo magico a cui contrappone, provocatoriamente, la cultura pop nordamericana (dal rock alla televisione) e quella dei latini nelle metropoli. Regista oltre che scrittore, Fuguet è uno dei personaggi più vitali del panorama artistico cileno e l’anno scorso il suo romanzo Missing (pubblicato in Italia da La Nuova Frontiera) è stato elogiatissimo da Vargas Llosa: storia di un uomo che si mette alla ricerca dello zio, scomparso negli Stati Uniti dopo una vita avventurosa con tanto di truffe, carcere e passato hippie. Anche Fuguet è un ammiratore di Bolaño, che invece non è mai stato generoso con i colleghi cileni, e una delle poche eccezioni l’ha fatta per Pedro Lemebel, di cui Marcos y Marcos ha pubblicato nel 2009 Ho paura torero: 58 anni, travestito e di origine umile (una colpa che in Cile equivale a un peccato mortale), meticcio e comunista ma scomodo anche per la sinistra, cantore sboccato e geniale della omosessualità popolare e cronista della dittatura. In Loco afán racconta dei suoi amici travestiti (las locas) decimati dall’Aids, con umorismo e tenerezza. “Non mi interessa la medicina che si preoccupa dalle strategie di penetrazione dell’Aids, la superstar – dice –. Mi interessa la malattia dal punto di vista dei corpi, la ribellione allo sguardo cristiano attraverso l’inclinazione sarcastica del Terzo Mondo”. “Lemebel non ha bisogno di scrivere poesie per essere il migliore poeta della mia generazione”, scrisse Bolaño.

Tutt’altri ambienti quelli descritti da Pablo Simonetti, anche lui gay dichiarato e molto attivo nelle lotte per i diritti degli omosessuali: autore popolarissimo di romanzidi amore e identità sessuale ambientati in una Santiago progressista e raffinata. E poi ci sono scrittrici come Alejandra Costamagna, 43 anni (pubblicata in Italia da Besa), una delle voci più interessanti del Cile d’oggi, il cui drive è la ricerca di un passato in cui si annida, dice, la comprensione del presente, perché soltanto se si rimuove il simulacro di normalità che ha nascosto per troppi anni la paura si può tornare a capire se stessi e a ricomporre i frammenti: nel suo primo romanzo En voz baja racconta la storia di una bambina che cerca di scoprire la verità sul padre arrestato e poi esiliato, e cresce con una madre che si rifugia nella menzogna e in una serie di relazioni per ridefinire la propria identità.

Claustrofobia e atmosfere cupe sono una cornice perfetta per il noir, che infatti va per la maggiore, antesignano è Ramón Díaz Eterovic, autore di una serie fortunata il cui protagonista, Heredia, maliconico e sconfitto dalla storia, è considerato uno dei più convincenti investigatori privati della letteratura latinoamericana. Díaz Eterovic ha 58 anni e scrive i suoi libri già dall’epoca del regime, così come altri tra cui Antonio Skármeta (esiliato e rientrato in Cile nel 1989), Jorge Edwards ed Hernán Rivera Letelier, realista post boom che racconta di minatori e maghi, di prostitute popolari, e ha vinto un anno fa il premio Alfaguara con L’arte della resurrezione (Mondadori 2012): storia di un uomo che scopre, all’improvviso, di essere Cristo. A pubblicare l’ultimo romanzo di Eterovic in Italia (L’oscura memoria delle armi, in libreria il 15 maggio) sarà la casa editrice Atmosphere, per cui usciranno tra maggio e giugno anche Imposta alla carne di Diamela Eltit, la cui scrittura di ricerca sull’identità di genere è studiata non solo nel suo Paese, e Fiori per un cyborg di Diego Muñoz Valenzuela: ingegnere chimico classe ’56, che ha affrontato a suo tempo il tema della dittatura, ma già vent’anni fa ha ritenuto che “la catarsi fosse in parte compiuta” ed è passato a romanzi come questo: racconto tragicomico di uno scienziato esperto in robotica che viene esiliato al tempo della regime e costruisce un robot uguale a lui con cui farà ritorno nel suo Paese, dove trova molti vecchi politici nei posti chiave.

Di qualche lustro più giovane, Álvaro Bisama, scrittore ed esponente di una letteratura pop, ha dato un contributo importante a quest’ultima fondando il movimento del Freak Power (letteratura fantastica che mescola cinema, rock e robotica), da cui si è allontanato di recente. Della stessa generazione letteraria la scrittrice quarantaduenne Maria José Viera-Gallo, autrice di romanzi intimi, ricchi di citazioni musicali dagli LCD Soundsystem agli Stone Roses. Il suo libro Verano robado, storia di una diciassettenne lasciata sola in una Santiago estiva e rovente, è ormai un libro cult. Nel più recente Memory Hotel, la scrittrice traccia invece una sorta di diario di una ragazza di famiglia ricca di sinistra che si innamora di un artista cileno e lo segue a New York, dove sarà una latina come tante e dove decide di restare anche dopo il divorzio: per sopravvivere deve adattarsi a fare lavori poco qualificanti che le permettono, però, di uscire da quella gabbia mentale che è, per lei, il celebre horrososo Chile della poesia di Enrique Lihn. Come ha dichiarato di recente Marcela Serrano, rientrata in Cile dopo molti anni passati in gran parte in Messico, la letteratura cilena sembra su una buona strada. “Ci sono diversi autori giovani e vitali. D’altro canto, è facile scrivere in Cile dato che non ci sono molti padri letterari (per non parlare di madri) e dunque il parricidio non è un’impresa così drammatica”.

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