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Testo a fronte: Edmundo Paz Soldán

redazione Scrittura, SUR, Traduzione

Il Testo a fronte di oggi è dedicato allo scrittore boliviano Edmundo Paz Soldán, con un estratto del romanzo Río fugitivo, di recente pubblicato da Fazi nella traduzione di Carla Rughetti. In questo brano vediamo Roberto, il protagonista, trovare il fratello Alfredo esanime.

Río fugitivo
di Edmundo Paz Soldán 

– En el fondo… Tiene que estar aquí. Yo lo vi entrar.

Entré a la salita del fondo, la salita donde solía escribir mis Ediciones Especiales, y lo vi. Estaba tirado de espaldas y con los ojos vacuos y bien abiertos mirando al techo. Gotas de sangre salían por la narzi, un hilillo de espuma chorreaba por las comisuras de los labios. Estaba inmóvil, manchados con barro los falmantes pantalonez azules de corduroy, mojada la polera gris con el Demonio de Tasmania en el pecho. Los zapatos negros estaban llenos de barro, y no veía en su muñeca el reloj que le había regalado para su cumpleaños, hacía apenas un mes. Su crispada mano derecha oprimía un alfil blanco. Quise gritar, pero no pude. Me hinqué, apoyé mi rostro en su pecho, busqué signos de vida y no los encontré. Busqué el latir del pulso en su muñeca, y no lo encontré. Vi un leve movimiento en sus labios y no supe si se trataba de algo positivo, o una contracción nerviosa muy común en la gente cuando acababa de morir y todavía no lo sabía. Acerqué mis labios a los suyos, me soprepuse al asco que me producía la espuma blacuzca que salía de su boca, y le di respiración artificial, no porque eso era lo que tenía que hacerse sino porque no sabía qué otra cosa hacer, sòlo conocía de casos similares en las películas y en las novelas y allí la clave era siempre la respiración artificial.

De nada sirvió: Alfredo persistía en morirse come había persistido con ardor en su vida, había cruzado a otro territorio en el que yo ya no lo encontraría, en el que de nada serviría que yo encendiera la luz. Él ya se había marchado de mí y comenzaba a buscarse otra familia y otros amigos y otros juegos, un pasatiempo diferente al de contar aviones en las tardes luminosas, un dibujo animado favorito que ya no sería el Demonio de Tasmania, unas mascotas diferentes a sus peces de nombres extravagantes que quizá también morirían al enterarse de su ausencia, era tan difícil sobrevivir con tanta muerte a cuestas.

Quise gritar, pero no pude. Quise llorar, y pude, abrazado a Alfredo. Y no sé si hacía frío, pero sentí mucho frío, y no sé si había soledad en el mundo, pero me sentí muy solo. Me sentí solo, y desolado, y pensé que tenía razón la persona que dijo que inconsolable era la palabra más triste y conmovedora de nuestro idioma. Sentí una pena inconsolable, que se extendía más allá de esa pieza nueva que ya no era nueva, y que podía penetrar a todos los vivos y los muertos con los que compartía mi aventura por los parajes de aquella vida de vez en cuando feliz y hermosa, pero casi siempre atroz y melancólica.

Río fugitivo
traduzione di Carla Rughetti 

«In fondo… Deve essere qui. L’ho visto entrare».

Entrai nella saletta, la saletta dove di solito scrivevo le mie «Ediciones Especiales», e lo vidi. Era sdraiato di spalle, gli occhi vacui e spalancati guardavano il soffitto. Gocce di sangue gli uscivano dal naso e un filino di schiuma gocciolava dai bordi delle labbra. Era immobile, i pantaloni fiammeggianti di velluto erano sporchi di fango, la maglietta grigia col Diavolo della Tasmania sul petto bagnata. Le scarpe nere erano piene di fango, e non gli vedevo, al polso, l’orologio che gli avevo regalato per il compleanno appena un mese prima. La sua mano destra, rigida, stringeva un alfiere bianco. Desideravo gridare, ma non potevo. Mi inginocchiai, appoggiai il viso sul suo petto, cercai dei segnali di vita, ma non li trovai. Cercai il battito del polso, ma non lo trovai. Vidi un lieve movimento delle sue labbra, non sapevo se si trattasse di qualcosa di positivo o di una contrazione nervosa molto comune nelle persone appena morte che ancora non 1o sanno. Avvicinai le mie labbra alle sue; superai 1o schifo che mi faceva la schiuma bianchiccia che gli usciva dalle labbra, gli feci la respirazione bocca a bocca, non perché fosse la cosa giusta, ma perché non sapevo cos’altro fare, avevo visto casi simili solo nei film e nei romanzi, e la chiave era sempre la respirazione bocca a bocca.

Non serviva a nulla: Alfredo era deciso a morire con lo stesso ardore con cui aveva vissuto; aveva attraversato un altro territorio dove io ormai non lo avrei più vi sto, dove non sarebbe servito a nulla accendere la luce. Mi aveva già lasciato, aveva già cominciato a cercare un’altra famiglia, altri amici e altri giochi, un passatempo diverso dal contare gli aeroplani nelle sere luminose, un cartone animato preferito che ormai non sarebbe più stato il Diavolo della Tasmania, delle mascotte diverse dai suoi pesci dai nomi stravaganti che forse sarebbero morti, rendendosi conto della sua assenza, era difficile sopravvivere a una simile perdita.

Desideravo gridare, ma non ci riuscivo. Desideravo piangere, e ci riuscii, abbracciato ad Alfredo. E non so se faceva freddo, ma sentii molto freddo; non so se esisteva la solitudine al mondo, ma mi sentii solo. Mi sentii solo e sconsolato, e pensai che aveva ragione la persona che disse che “inconsolabile” era la parola più triste e più commovente della nostra lingua. Provai un dolore inconsolabile, che si diffondeva oltre quella “parte nuova” che ormai non era più nuova, e che poteva penetrare tutti i vivi e i morti con i quali condividevo la mia avventura nei dintorni di quella vita a volte bella e felice, ma quasi sempre atroce e malinconica.

 

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